La fiscalità diretta degli NFT per i privati

La fiscalità diretta degli NFT per i privati

Corr. Trib. 7/2023, pag. 689 e segg.

Gli NFT rientrano nella categoria delle cripto-attività che recano la rappresentazione digitale di un diritto e quindi per i privati il loro regime fiscale deve essere individuato avendo riguardo alla natura giuridica dei diritti da essi rappresentati. Pertanto i proventi conseguiti dall’autore o dai suoi aventi causa mediante le cessioni degli NFT sono imponibili come compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno, per l’utilizzazione di diritti connessi o per prestazioni di servizi, mentre i proventi realizzati dai cessionari mediante la loro cessione dovrebbero essere imponibili come plusvalenze da cessione di cripto-attività.

Gli NFT sono le cripto-attività che, insieme alle criptovalute, hanno riscontrato maggiore fortuna sul mercato digitale. Nel presente contributo si cercherà di ricostruire prima di tutto il loro contenuto e regime giuridico, potendo risultare fuorvianti le informazioni reperibili sul web. Si sottoporrà poi ad analisi il nuovo regime fiscale dei redditi delle cripto-attività per i privati introdotto dalla Legge di bilancio 2023. Tale analisi costituirà, infine, la base per individuare il regime fiscale, sempre limitatamente ai privati, dei proventi conseguiti dagli autori o dai loro aventi causa per la cessione degli NFT o del diritto a coniarli, nonché delle plusvalenze realizzate dai cessionari mediante la successiva cessione degli NFT da loro acquistati.

Il contenuto degli NFT

Gli NFT costituiscono un particolare tipo di token, e cioè di codice alfanumerico registrato su registri distribuiti, che è infungibile in quanto è associato ad un’attività digitale che per scelta del suo creatore è emessa in un unico esemplare (1) appartenente o meno ad una collezione. Pertanto, essi non sono fra di loro interscambiabili in quanto rappresentano attività digitali eterogenee, e quindi sono di regola acquistati con finalità di investimento e non per utilizzarli come mezzi di pagamento.

Tuttavia gli NFT possono anche rappresentare una pluralità di esemplari identici della medesima attività digitale e, al pari delle litografie, possono essere resi non interscambiabili tramite la loro numerazione progressiva.

Gli NFT possono rappresentare qualunque attività digitale, quali ad esempio opere figurative, musicali, letterarie, fotografiche, audiovisive, generative, disegni industriali artistici, sequenze di immagini, semplici fotografie, bozzetti teatrali, riprese di eventi sportivi, strumenti di gioco, indossabili, terreni virtuali o altri attività digitali dei metaversi, ma anche le riproduzioni digitali di attività materiali e loro frazioni.

Gli NFT sono creati tramite il c.d. procedimento di minting o conio, registrando sul registro distribuito il relativo codice alfanumerico e abbinandolo con l’hash ed i metadati dell’attività digitale a cui sono associati, il link a tale attività, lo smart contract e cioè il software che provvede al trasferimento degli NFT e ai connessi pagamenti e, dopo essere stati creati, sono custoditi nel wallet digitale.

Il regime giuridico degli NFT

Gli NFT rientrano fra le “cripto-attività” nell’accezione fornitane dal punto 5), par. 1 dell’art. 3 del Regolamento (UE) 2023/1114 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 maggio 2023 “relativo ai mercati delle criptoattività”, c.d. MICA, proprio perché costituiscono “la rappresentazione digitale di … un diritto che può essere trasferito e memorizzato elettronicamente, utilizzando la tecnologia a registro distribuito o una tecnologia analoga”, ma non sono soggetti alla disciplina di tale Regolamento, qualora siano unici ed infungibili, in quanto il par. 3 dell’art. 2 esclude espressamente la sua applicabilità “alle cripto-attività che sono uniche e non fungibili con altre cripto-attività”.

Le attività digitali rappresentate dagli NFT sono di regola già soggette ad un proprio regime giuridico, che è differenziato in funzione della loro diversa natura giuridica e della legge applicabile. In particolare, secondo la legge italiana, le opere figurative, musicali, letterarie, fotografiche, audiovisive, i disegni industriali artistici e le altre opere dell’ingegno digitali sono soggette alla disciplina dei diritti di autore, le semplici fotografie, i bozzetti teatrali e le riprese di eventi sportivi possono essere soggetti al regime dei diritti connessi al diritto di autore, i terreni virtuali, gli indossabili, gli strumenti di gioco e le altre attività digitali dei metaversi sono soggetti al regime delle prestazioni di servizi.

Tuttavia il titolare delle attività digitali di regola si limita a concedere a titolo oneroso ai primi cessionari degli NFT soltanto una mera licenza di utilizzazione personale delle attività digitali loro associate (2) (Primary sales) e quindi non solo non cede loro la titolarità di tali attività, ma neppure il mero diritto ad utilizzarle economicamente (3). Pertanto costoro non possono sfruttare commercialmente le attività digitali ad essi associate, ma soltanto esporle, mostrarle o condividerle su piattaforme social, blogs, gallerie digitali o altre piattaforme digitali, mondi, gallerie, musei o altri ambienti virtuali.

La concessione della licenza si perfeziona nei modi ordinari tramite lo scambio di volontà fra le parti e cioè di regola con l’offerta al pubblico formulata sul web e la successiva accettazione di tale offerta da parte dei primi cessionari. Conseguentemente, il contenuto dei diritti spettanti ai primi cessionari è definito dalle condizioni della predetta offerta pubblicate sul sito web (quali SuperRare, Opensea, Rarible).

Con la licenza di utilizzazione personale l’autore o i suoi aventi causa accordano di regola in via preventiva ai primi cessionari il diritto di cedere a titolo oneroso questa medesima licenza a terzi con diritto di tali successivi cessionari di cederla a loro volta a terzi dietro riconoscimento di un compenso determinato in percentuale rispetto al corrispettivo di tali future cessioni (c.d. Secondary sales). Pertanto, la licenza di utilizzazione personale può essere successivamente trasferita fra un numero potenzialmente indeterminato di utenti.

I compensi riconosciuti agli autori o ai loro aventi causa dai cessionari per le prime cessioni e per quelle successive degli NFT risultano configurabili come il corrispettivo per l’assunzione di un’obbligazione di permettere derivante dalla concessione della licenza e del diritto di cederla a terzi. Di conseguenza, tali compensi costituiscono royalties o compensi per prestazioni di servizi in funzione della natura giuridica delle attività digitali a cui siano associati.

Per contro, la cessione degli NFT non è soggetta al c.d. diritto di seguito e cioè al diritto dell’autore di ricevere un compenso per ogni successiva cessione delle sue opere ai sensi del par. 2 dell’art. 4 della Direttiva 2001/29/CE del 22 maggio 2001, del Parlamento Europeo e del Consiglio e dell’art. 144 della Legge sul diritto di autore. Ed infatti è orientamento della Corte di Giustizia che tali disposizioni riconoscono tale diritto soltanto nel caso in cui l’autore abbia ceduto l’originale fisico per il fatto che con tale cessione si consuma il diritto di sfruttamento economico dell’autore (4). Pertanto il diritto di seguito non spetta anche nel caso in cui l’autore ceda una copia digitale dell’originale fisico.

Naturalmente il fatto che gli NFT sono di regola rappresentativi soltanto di una licenza di utilizzazione personale delle attività digitali sottostanti non esclude che l’autore possa decidere anche di cedere i diritti di utilizzazione economica di tali attività a titolo parziale, sottoponendone l’esercizio a limitazioni temporali o geografiche ovvero a titolo integrale e definitivo.

Gli NFT non sembrano configurabili come beni materiali in quanto sono privi di consistenza fisica, consistendo esclusivamente in un codice alfanumerico registrato sul registro distribuito. La stessa definizione di cripto-attività fornita dal Regolamento MICA depone in questo senso laddove considera come cripto-attività le “rappresentazioni digitali” e, quindi, le forme di estrinsecazione digitale di un valore o di un diritto. Anche il legislatore ha sposato questa tesi ove, nel comma 1 dell’art. 1 del D.L. 17 marzo 2023, n. 25 (5), ha parlato di “forma digitale” degli strumenti finanziari e l’ha identificata nella loro esclusiva esistenza come “scritturazioni” su un registro per la circolazione digitale. Pertanto gli NFT sono assimilabili solo in via figurativa al corpus mecanicum che consente di godere del corpus misticum dell’opera intellettuale incorporata (6).

Inoltre, gli NFT non sembrano configurabili ex se neppure come titoli di credito secondo la legge italiana proprio perché sono privi di una consistenza fisica (7) e la legittimazione all’esercizio del diritto di utilizzazione personale o economica dell’attività digitale ad essi associata è conferita esclusivamente dalla titolarità delle chiavi del wallet tramite cui possono essere detenuti e non dal supporto materiale in cui le chiavi sono se del caso detenute (8). Il legislatore ha sposato tale tesi per i token rappresentativi di diritti in quanto per assoggettare i nuovi “strumenti finanziari digitali” alla disciplina dei titoli di credito ha ritenuto necessario estendere espressamente ad essi tale disciplina con gli artt. 5 e 6 del D.L. n. 25/2023.

Tuttavia gli NFT sembrano assolvere ad una funzione analoga a quella che l’art. 2002 c.c. conferisce ai titoli impropri, laddove statuisce che per tali si intendono quei “documenti che servono … a consentire il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione”, costituendo lo strumento per consentire la circolazione della licenza di utilizzazione personale o economica dell’attività digitale concessa dall’autore o dai suoi aventi causa e da essi rappresentata, senza le forme che sarebbero richieste per la sua cessione.

La registrazione del codice alfanumerico dell’NFT sul registro distribuito e del codice hash dell’attività digitale consente di certificare in via indiretta l’identità di colui che ne è titolare e quindi può disporne elettronicamente in quanto tali codici sono abbinati alla chiave pubblica del suo wallet.

Tuttavia la titolarità degli NFT non rende certa anche la titolarità dei diritti sull’attività digitale da essi rappresentata in quanto il loro autore potrebbe aver coniato un’attività digitale di cui non è titolare per non averla previamente acquisita a titolo originario o derivativo, commettendo in tal modo una violazione dei diritti del legittimo titolare di tale attività. Né d’altro canto può applicarsi agli NFT il principio del possesso di buona fede vale titolo sancito dall’art. 1153 c.c. per il fatto che, come si è visto, non sono configurabili come beni mobili, consistendo in un mero codice alfanumerico privo di una consistenza fisica.

La certezza della titolarità può sussistere soltanto se l’autore dell’attività digitale abbia coniato l’NFT in quanto l’hash di tale attività digitale sia stato abbinato sul registro distribuito al codice alfanumerico di tale NFT e alla chiave pubblica del suo wallet.

Il nuovo regime fiscale per i privati dei proventi delle cripto-attività

I commi 126 ss. della Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (“Legge n. 197/2022”) hanno disciplinato ex novo il regime fiscale dei redditi delle cripto-attività conseguiti fuori dell’esercizio d’impresa. In particolare, tale comma ha innanzitutto introdotto un’unitaria ed omnicomprensiva fattispecie impositiva nella lett. c-sexies) dell’art. 67, comma 1, del T.U.I.R., pur riconoscendo nella relativa relazione che le criptoattività “non hanno univoca natura e qualificazione giuridica”. Questa scelta trova evidentemente giustificazione nella volontà di assoggettare tali redditi ad uno stesso regime fiscale, indipendentemente dalla loro diversa natura, ma può essere fonte di distorsioni laddove comporti l’applicazione di un regime fiscale diverso da quello che si sarebbe applicato se i diritti rappresentati dagli NFT non fossero stati tokenizzati.

IL PROBLEMA APERTO
Titolarità dei diritti sull’attività digitale
La registrazione del codice alfanumerico dell’NFT sul registro distribuito e del codice hash dell’attività digitale consente di certificare in via indiretta l’identità di colui che ne è titolare e quindi può disporne elettronicamente in quanto tali codici sono abbinati alla chiave pubblica del suo wallet. Tuttavia la titolarità degli NFT non rende certa anche la titolarità dei diritti sull’attività digitale da essi rappresentata in quanto il loro autore potrebbe aver coniato un’attività digitale di cui non è titolare per non averla previamente acquisita a titolo originario o derivativo, commettendo in tal modo una violazione dei diritti del legittimo titolare di tale attività. La certezza della titolarità può sussistere soltanto se l’autore dell’attività digitale abbia coniato l’NFT in quanto l’hash di tale attività digitale sia stato abbinato sul registro distribuito al codice alfanumerico di tale NFT e alla chiave pubblica del suo wallet.

In particolare, il primo periodo di tale disposizione qualifica come redditi diversi “le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominate, non inferiori complessivamente a 2.000 euro nel periodo d’imposta”. Inoltre, il secondo periodo definisce come “cripto-attività” “una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”. Tale nuova fattispecie impositiva ha mutuato la traduzione italiana della definizione di cripto-attività prevista nel punto 2) dell’art. 3 della proposta di Regolamento MICA, che è quasi identica a quella finale inserita del n. 5), par. 1 di tale articolo, salvo il riferimento non più ai diritti al plurale, bensì al diritto al singolare (9). Pertanto, sono qualificabili come redditi diversi in forza di tale disposizione soltanto i redditi realizzati mediante la cessione a titolo oneroso di token memorizzati su registri distribuiti rappresentativi di un valore o di un diritto.

I redditi realizzati mediante la cessione a titolo oneroso, rimborso o detenzione di cripto-attività di cui alla lett. c-sexies) non concorrono a formare la massa dei redditi diversi di natura finanziaria, ma formano una massa distinta ai sensi del comma 9-bis dell’art. 68 del T.U.I.R. e sono assoggettati ad imposta sostitutiva del 26% al pari dei redditi diversi di natura finanziaria.

Inoltre, coerentemente, le eccedenze delle minusvalenze rispetto alle plusvalenze sono utilizzabili a compensazione delle sole plusvalenze realizzate mediante la cessione o rimborso di cripto-attività nei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto. Ed infatti, sebbene la predetta disposizione stabilisca che, “se le minusvalenze sono superiori alle plusvalenze per un importo superiore a 2.000 euro, l’eccedenza è riportata in deduzione integralmente dall’ammontare delle plusvalenze dei periodi successivi, ma non oltre il quarto”, nella relazione è precisato che “le minusvalenze realizzate sono deducibili limitatamente dalle plusvalenze derivanti dalla stessa tipologia di attività, nel periodo d’imposta in cui sono realizzate e nei quattro periodi d’imposta successivi”.

L’estensione ai redditi delle cripto-attività dei regimi dichiarativo, amministrato e gestito

La nuova massa dei redditi delle cripto-attività conseguiti fuori dell’esercizio d’impresa deve essere autonomamente assoggettata ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella dichiarazione dei redditi con l’aliquota del 26% ai sensi del comma 2 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 461/1997.

Tuttavia il nuovo comma 1 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 461/1997 ha esteso l’applicabilità del regime del risparmio amministrato anche ai “rimborsi, le cessioni, le permute o la detenzione di cripto-attività di cui alla lettera c-sexies)” e, quindi, a tutti i redditi inclusi in tale disposizione. Pertanto la fruizione di tale regime è estesa a tutte le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di cripto-attività.

L’opzione per il risparmio amministrato per i redditi dei privati può essere esercitata dai soli soggetti residenti, mentre si considera esercitata per default da parte dei soggetti non residenti, salvo rinuncia. Di conseguenza, gli intermediari che soddisfino i presupposti per l’applicazione del risparmio amministrato avrebbero l’obbligo di applicare ex lege tale regime nei confronti di tali soggetti. Tuttavia la sussistenza di un tale obbligo dovrebbe ritenersi subordinata all’emanazione della relativa normativa di attuazione anche ai sensi del comma 2 dell’art. 1 dello Statuto del contribuente.

L’opzione per il risparmio amministrato può essere esercitata ai sensi del comma 1 dell’art. 6 del D.Lgs. 461/1997 e dei D.M. 2 giugno 1998 e 25 giugno 2002 anche per tutte le cripto-attività nei confronti di banche, SIM, società fiduciarie, Poste Italiane, agenti di cambio, società di gestione del risparmio, residenti in Italia o non residenti con stabile organizzazione. Tuttavia il nuovo comma 1-bis dell’art. 6 del D.Lgs. 461/1997 ha ammesso l’esercizio di tale opzione “per le plusvalenze e gli altri proventi di cui alla lettera c-sexies)” e, quindi, per tutti i proventi derivanti da cripto-attività anche nei confronti degli “operatori non finanziari di cui alle lettere i) e i-bis) del comma 5 dell’art. 3 del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231”.

Senonché tali due previsioni hanno come destinatari esclusivamente i “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale” di cui alla lett. ff) del predetto D.Lgs., nonché i “prestatori di servizi di portafoglio digitale” e cioè “servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti”, al solo “fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali” di cui alla successiva lett. ff-bis). Pertanto, gli operatori non finanziari che forniscano esclusivamente servizi relativi all’utilizzo di cripto-attività diverse dalle valute virtuali non sembrerebbero abilitati ad applicare il risparmio amministrato.

L’esercizio dell’opzione per l’amministrato è subordinato alle medesime condizioni previste per i redditi dei rapporti di cui alle lett. c-quater) e c-quinquies) dell’art. 67 del T.U.I.R. e, quindi, alla duplice condizione che gli intermediari intervengano nei rapporti o nelle cessioni come “intermediari professionali o come controparti” ed il contribuente intrattenga con loro “rapporti di custodia, amministrazione, deposito”. Pertanto, secondo quanto chiarito dall’AdE, è sufficiente, per quanto attiene alla prima condizione, che gli intermediari intervengano nella riscossione dei proventi (10), mentre, per quanto attiene alla seconda, che, nel caso in cui non siano intestatari o custodi delle attività finanziarie, abbiano ricevuto dal contribuente il mandato in amministrazione (11), con o senza rappresentanza, a riscuotere tali proventi o intrattengano con lui un rapporto di conto corrente (12).

L’art. 7 del D.Lgs. n. 461/1997, come integrato dalla Legge n. 197/2022, ha esteso l’opzione per il risparmio gestito anche per i redditi delle cripto-attività di cui alla lett. c-sexies). Tuttavia, poiché secondo l’AdE tale regime può essere fruito soltanto per le attività legittimamente conferibili in gestione (13), la sua applicazione sembra preclusa per i redditi delle cripto-attività che non lo siano e, quindi, per le cripto-attività non qualificabili come strumenti finanziari. Ed infatti, il comma 5-quinquies dell’art. 1 del T.U.F. definisce come “gestione di portafogli” esclusivamente “la gestione … di portafogli di investimento che includono uno o più strumenti finanziari e nell’ambito di un mandato conferito dai clienti”.

L’opzione per il risparmio gestito rimane esercitabile nei confronti di banche, SIM, SGR e società fiduciarie di gestione ai sensi dell’art. 2 del D.M. 31 marzo 1999 in quanto soltanto tali intermediari possono fornire servizi di gestione di portafogli di investimento al pubblico ai sensi dell’art. 18 del T.U.F.

SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Proventi dell’autore di un’attività digitale
Si ritiene che i proventi realizzati da parte dall’autore di un’attività digitale o dei suoi aventi causa fuori dall’esercizio d’impresa, mediante la concessione del diritto a coniare gli NFT (c.d. lazy minting), nonché mediante la cessione di NTF a favore dei primi cessionari (Primary sales), non siano qualificabili come redditi diversi ai sensi della lett. c-sexies), comma 1, art. 67, del T.U.I.R., in quanto non danno luogo ad una cessione a titolo oneroso di una cripto-attività. Ed infatti, in tal modo, l’autore e i suoi aventi causa non trasferiscono un diritto già esistente, costituendo gli NFT mere rappresentazioni digitali, ma costituiscono ex novo un diritto di utilizzazione personale o economica delle attività digitali associate agli NFT, oggetto di diritti di autore, diritti connessi o altri diritti tramite la concessione della licenza. Pertanto, i relativi compensi non trovano contropartita nell’incremento o decremento di valore delle attività digitali derivante dall’andamento del relativo mercato, bensì nella concessione della licenza e, quindi, nell’utilizzazione delle attività digitali.

Il regime fiscale dei proventi degli NFT conseguiti dall’autore fuori dell’esercizio di impresa

Come si è visto, gli NFT costituiscono sicuramente “cripto-attività” secondo la definizione fornitane dal MICA.

Tuttavia, si ritiene che i proventi realizzati da parte dall’autore ovvero dei suoi aventi causa fuori dall’esercizio d’impresa, mediante la concessione del diritto a coniare gli NFT (c.d. lazy minting), nonché mediante la cessione di NTF a favore dei primi cessionari (Primary sales) non siano qualificabili come redditi diversi ai sensi della lett. c-sexies) in quanto non danno luogo ad una cessione a titolo oneroso di una cripto-attività. Ed infatti, in tal modo, l’autore e i suoi aventi causa non trasferiscono un diritto già esistente, costituendo gli NFT mere rappresentazioni digitali, ma costituiscono ex novo un diritto di utilizzazione personale o economica delle attività digitali associate agli NFT, oggetto di diritti di autore, diritti connessi o altri diritti tramite la concessione della licenza. Pertanto, i relativi compensi non trovano contropartita nell’incremento o decremento di valore delle attività digitali derivante dall’andamento del relativo mercato, bensì nella concessione della licenza e, quindi, nell’utilizzazione delle attività digitali.

Analoga conclusione deve, a mio avviso, ritenersi valida anche per i compensi riconosciuti agli autori o ai loro aventi causa per le cessioni successive di NFT eseguite fuori dell’esercizio d’impresa in quanto anche il riconoscimento di tali compensi trova contropartita nella concessione di un diritto di utilizzazione personale o economico.

La non qualificabilità come redditi diversi ai sensi della lett. c-sexies) dei compensi conseguiti fuori dell’esercizio d’impresa dall’autore per le prime cessioni e quelle successive comporta che tali compensi sono qualificabili come redditi di lavoro autonomo o come redditi diversi soggetti ad IRPEF o IRES in funzione della natura giuridica dell’attività digitale a cui siano associati, nonché dei diritti riconosciuti su tale attività digitale.

In particolare, i proventi conseguiti dagli autori o dai loro aventi causa mediante le prime cessioni di NFT rappresentativi di diritti di utilizzazione di diritti di autore su opere dell’ingegno sono imponibili come royalties ai sensi della lett. b) dell’art. 53, comma 2, laddove considera come tali i proventi “derivanti dall’utilizzazione economica da parte dell’autore … di opere dell’ingegno” o ai sensi della lett. g) del successivo art. 67 e, secondo che i predetti autori o aventi causa siano o meno residenti, sono assoggettabili, rispettivamente, alla ritenuta d’acconto del 20% ai sensi del comma 1 dell’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973 o a quella d’imposta del 30%, ai sensi del successivo comma 4, laddove statuisce che i “compensi di cui all’art. 23 comma 2, lett. c) del T.U.I.R.” e cioè “i compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno” “corrisposti a non residenti sono soggetti ad una ritenuta del trenta per cento a titolo di imposta sulla parte imponibile del loro ammontare”. Analoga conclusione deve ritenersi valida anche per i proventi conseguiti dagli autori o dai loro aventi causa per le successive cessioni degli NFT in quanto tali proventi remunerano la concessione del diritto di cederli a terzi (14).

Inoltre, i proventi conseguiti dagli autori o dai loro aventi causa mediante le prime cessioni e quelle successive di NFT rappresentativi dei diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, stando alle indicazioni dell’A.F., sembrano imponibili come royalties non solo nel caso in cui tali diritti siano ceduti solo in via temporanea e/o parziale, ma anche nel caso in cui siano ceduti in via definitiva e integrale. È infatti suo orientamento che i proventi realizzati mediante la cessione a titolo oneroso di diritti di autore sono imponibili come “proventi derivanti dall’utilizzazione economica da parte dell’autore … di opere dell’ingegno” nella categoria dei redditi di lavoro autonomo (15), anche se la cessione comporti l’alienazione definitiva di tali diritti e non la loro utilizzazione.

Per contro, non sono invece imponibili come royalties ai sensi della lett. b) dell’art. 53, comma 2, i compensi conseguiti dagli autori o loro aventi causa per le prime cessioni e quelle successive di NFT rappresentativi di diritti connessi al diritto di autore non relativi ad opere dell’ingegno, e cioè, ad esempio, i diritti relativi alle riprese di eventi sportivi, a semplici fotografie, bozzetti teatrali ovvero ad altre attività digitali proprio per il fatto che la predetta disposizione, come si è visto, qualifica come tali soltanto i compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno e il primo e quarto comma dell’art. 25 del D.P.R. n. 600 considerano assoggettabili a ritenuta solo tali compensi. Conseguentemente, i proventi conseguiti dagli autori o dai loro aventi causa per le prime cessioni e quelle successive dei predetti NFT sono configurabili ai sensi della lett. l) dell’art. 67 del T.U.I.R. come redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere e, secondo che costoro siano o meno residenti in Italia, sono assoggettabili a ritenuta ai sensi dell’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973.

Problematica risulta invece l’individuazione del regime fiscale dei proventi conseguiti dagli autori e dai loro aventi causa per le prime cessioni e quelle successive di NFT rappresentativi di diritti connessi al diritto di autore relativi ad opere dell’ingegno, e cioè, ad esempio, dei diritti dei produttori di fonogrammi, opere cinematografiche, audiovisive, nonché degli interpreti ed esecutori di opere dell’ingegno. La Cassazione (16) e l’Agenzia delle entrate (17) hanno sostenuto che i proventi conseguiti da soggetti residenti in Italia per l’utilizzazione economica di diritti connessi al diritto di autore relativi ad opere dell’ingegno, anche se siano conseguiti dallo stesso autore, non sono riconducibili fra i “proventi derivanti dall’utilizzazione economica da parte dell’autore … di opere dell’ingegno” di cui alla lett. b) dell’art. 53, comma 2, del T.U.I.R., bensì fra i redditi di lavoro autonomo di cui al precedente comma 1, con la conseguente inapplicabilità delle riduzioni forfetarie e dell’esclusione da IRAP, ritenendo giustificabile per la loro diversa natura giuridica l’applicazione di un trattamento fiscale differenziato (18). Per contro, l’Agenzia delle entrate, in due risposte ad interpelli (19), ha dato per acquisito che i proventi così individuati conseguiti da soggetti non residenti siano configurabili come “compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno” di cui all’art. 23 del T.U.I.R. e siano quindi, assoggettabili alla ritenuta d’imposta del 30% di cui al comma 4 dell’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973, avendo ritenuto soggetti a tale ritenuta i compensi corrisposti ad una cantante non residente per le registrazioni delle sue esecuzioni e ad una casa di produzione non residente per le sue registrazioni di musiche. Pertanto, anche per i predetti proventi rischia di perpetuarsi il controsenso di considerarli diversamente qualificabili secondo che siano conseguiti da soggetti residenti o non residenti, anche se ambedue le disposizioni richiamate menzionino i soli compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno.

Naturalmente, nel caso in cui la cessione di NFT da parte degli autori o dei loro aventi causa residenti in Italia costituisca oggetto dell’esercizio abituale di un’arte o professione, i proventi da loro conseguiti sono qualificabili come redditi di lavoro autonomo ai sensi del comma 1 dell’art. 53 del T.U.I.R. La creazione e cessione di NFT da parte dei loro autori dà luogo all’esercizio di un’arte o professione e non di un’attività d’impresa ai sensi dell’art. 2338 c.c. e pertanto i redditi che ne derivano rimangono qualificabili come redditi di lavoro autonomo.

Tuttavia i redditi derivanti dalla creazione e cessione di NFT sono qualificabili come redditi d’impresa, tanto nel caso in cui tale attività sia svolta da una persona fisica nell’ambito di un’attività organizzata in forma di impresa (20), proprio in virtù della predetta disposizione, quanto nel caso in cui sia svolta da società in nome collettivo o in accomandita semplice di cui all’art. 5 del T.U.I.R. o da società o enti commerciali soggetti ad IRES di cui alle lett. a) e b) dell’art. 73 del T.U.I.R., in virtù della presunzione assoluta di legge sancita dagli artt. 6 e 81 del T.U.I.R.

Infine, l’attività di acquisto e cessione di NFT posta in essere da soggetti diversi dagli autori nel caso in cui sia svolta per professione abituale dà luogo all’esercizio di un’attività d’impresa e quindi i redditi che ne derivano sono qualificabili come redditi di impresa.

Il regime fiscale dei proventi conseguiti dai cessionari fuori dell’esercizio d’impresa mediante cessione di NFT

Prima del 1° gennaio 2023 i proventi realizzati dai cessionari mediante la cessione a titolo oneroso a terzi di NFT rappresentativi di licenze di utilizzazione personale di opere dell’ingegno o di altre attività digitali non erano imponibili in quanto non erano riconducibili fra le fattispecie impositive previste dal T.U.I.R., posto che la lett. c-quinquies) dell’art. 67 del T.U.I.R. considera qualificabili come redditi diversi di natura finanziaria esclusivamente i proventi realizzati mediante la cessione di rapporti produttivi di redditi di capitale e non anche di rapporti produttivi di redditi di lavoro autonomo o diversi.

Meno chiaro è se era valida analoga conclusione anche per quanto attiene agli NFT rappresentativi di licenze di utilizzazione economica di opere dell’ingegno. Ed infatti la lett. g) dell’art. 67 del T.U.I.R., specularmente alla lett. b) dell’art. 53 del T.U.I.R., considera come redditi diversi tutti i redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno e, come si è visto, l’Agenzia delle entrate è orientata a ritenere che siano qualificabili come tali anche i proventi realizzati mediante la cessione di diritti di utilizzazione economica di opere dell’ingegno.

La nuova lett. c-sexies), statuendo che sono redditi diversi anche “le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso … di cripto-attività”, parrebbe includere nella predetta categoria anche le plusvalenze realizzate mediante la cessione da parte dei cessionari degli NFT da loro acquistati dagli autori o da altri cessionari in quanto tale cessione comporta la cessione a titolo oneroso di una rappresentazione digitale di diritti memorizzati su DLT e quindi di una cripto-attività.

Senonché, se così fosse, tale scelta sarebbe censurabile per il fatto che comporta l’assoggettamento delle cessioni a titolo oneroso di NFT ad un regime fiscale deteriore rispetto al regime fiscale di non imponibilità a cui sono soggette le cessioni a titolo oneroso non solo delle corrispondenti attività fisiche, ma anche di attività digitali non rappresentate da token ovvero di attività digitali che, pur se rappresentate da token, non sono memorizzate su registri DLT, senza che sia ravvisabile alcuna adeguata giustificazione.

Le plusvalenze realizzate da privati mediante la cessione di NFT, nel caso in cui siano qualificabili come redditi diversi, sono assoggettabili in dichiarazione ad imposta sostitutiva del 26%. Tuttavia il cedente può optare per il regime del risparmio amministrato tramite intermediari finanziari o prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali, sempreché, come si è visto, costoro intervengano nella cessione degli NFT o nella riscossione dei relativi proventi e ne abbiano assunto l’intestazione, la custodia o l’amministrazione (21).

SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Plusvalenze realizzate mediante la cessione di NFT
Le plusvalenze realizzate da privati mediante la cessione di NFT, nel caso in cui siano qualificabili come redditi diversi, sono assoggettabili in dichiarazione ad imposta sostitutiva del 26%. Tuttavia il cedente può optare per il regime del risparmio amministrato tramite intermediari finanziari o prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali, sempreché costoro intervengano nella cessione degli NFT o nella riscossione dei relativi proventi e ne abbiano assunto l’intestazione, la custodia o l’amministrazione.

La decorrenza del nuovo regime fiscale per i redditi di cripto-attività e NFT

Per quanto attiene alla decorrenza dei commi 126 ss. della Legge n. 197/2022 non è stata introdotta una disciplina generale. Soltanto nel comma 127 è stata inserita una norma che appare però di dubbio significato, laddove recita che “le plusvalenze relative a operazioni aventi a oggetto cripto-attività, comunque denominate, eseguite prima della data di entrata in vigore della presente legge si considerano realizzate ai sensi dell’art. 67 del T.U.I.R. e le relative minusvalenze realizzate prima della medesima data possono essere portate in deduzione ai sensi dell’art. 68, comma 5, del medesimo Testo Unico”.

In particolare, questa norma non sembra volta a rendere applicabile, in via di interpretazione autentica, la vecchia formulazione dell’art. 67 del T.U.I.R. ai redditi delle operazioni su cripto-attività eseguite prima del 1° gennaio 2023 non solo perché non lo dice e non identifica la statuizione dell’art. 67 del T.U.I.R. che intenderebbe interpretare, ma anche perché, menzionando tale articolo senza ulteriori specificazioni, dovrebbe risultare applicabile alla sua nuova formulazione, che, introducendo la nuova fattispecie della lett. c-sexies), riveste valenza innovativa.

Inoltre, la norma medesima non pare configurabile come una norma retroattiva in senso proprio, che esplichi effetto nei periodi d’imposta precedenti al 2023, rendendo retroattivamente imponibili le plusvalenze relative alle operazioni aventi a oggetto cripto-attività eseguite prima della data del 1° gennaio 2023 sulla base della nuova formulazione dell’art. 67 del T.U.I.R., non solo perché non deroga in via espressa il principio d’irretroattività della legge tributaria sancito dall’art. 3 dello Statuto del contribuente, ma anche perché non reca alcuna indicazione da cui si desuma una siffatta volontà, non specificando che tali plusvalenze si dovrebbero considerare imponibili in ciascuno dei periodi d’imposta in cui le operazioni sono state eseguite.

Infine, la norma non sembra neppure una norma retroattiva in senso improprio che esplichi i suoi effetti dalla data della sua entrata in vigore e quindi nel periodo d’imposta 2023, rendendo imponibili in tale periodo d’imposta le plusvalenze relative alle operazioni su cripto-attività eseguite prima di tale data sulla base della nuova formulazione dell’art. 67 del T.U.I.R. Ed infatti in tal caso si porrebbe in contrasto con il comma 138 dell’art. 1 della Legge n. 197/2022, che, consentendo di regolarizzare l’omessa dichiarazione dei redditi delle cripto-attività detenute entro la data del 31 dicembre 2021 mediante il prelievo di un’imposta sostitutiva forfetaria, presuppone implicitamente che tali redditi sarebbero imponibili sulla base della vecchia formulazione della predetta disposizione in ciascuno dei periodi d’imposta in cui tali operazioni siano state eseguite e, comunque, renderebbe imponibili redditi che potrebbero essere stati già tassati.

L’unica interpretazione che sembra proponibile è che la predetta norma sia volta a confermare che le plusvalenze realizzate prima della data del 1° gennaio 2023 rimangono imponibili come redditi diversi di natura finanziaria soltanto nei casi e alle condizioni previste dalle lett. c), c-bis) e c-ter) dell’art. 67 del T.U.I.R. vigente alla predetta data. Depone in questo senso la scelta di considerare le minusvalenze realizzate prima della data medesima non solo deducibili ai sensi del comma 5 dell’art. 68 del T.U.I.R., che disciplinava e disciplina tuttora la determinazione dei soli redditi diversi di natura finanziaria di cui alle lett. da c-ter) a lett. c-quinquies), ma anche determinabili ai sensi del comma 6 dell’art. 68 del medesimo T.U.I.R., che disciplinava e disciplina tuttora la determinazione delle plusvalenze indicate nelle lett. c), c-bis) e c-ter) dell’art. 67 del T.U.I.R. Pertanto, argomentando a contrario, devono invece ritenersi imponibili come redditi diversi in forza della lett. c-sexies) e del comma 9-bis dell’art. 68 del T.U.I.R. i redditi realizzati a partire dal 1° gennaio 2023, con implicita deroga alla regola sancita dal comma 1 dell’art. 1 dello Statuto del contribuente secondo cui “per i tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”.

Per quanto attiene alle plusvalenze realizzate prima del 1° gennaio 2023 mediante la cessione a titolo oneroso o il rimborso di NFT, tale interpretazione sembra comportare che le predette plusvalenze rimangono non imponibili per le ragioni prima esposte.

Note:

(1) Le condizioni del sito SuperRare recitano che “dovrà esservi soltanto un solo token digitale per una data opera d’arte e pertanto l’artista riconosce, comprende e concorda che coniare un’opera sulla piattaforma costituisce un’espressa rappresentazione, garanzia e pattuizione che l’artista non ha coniato e non conierà o non indurrà altri a coniare un altro token per una stessa opera”.

(2) Secondo le condizioni del sito SuperRare, “creando l’item sulla piattaforma l’artista esplicitamente garantisce una licenza limitata, mondiale, non cedibile, non sub-licenziabile, esente da royalties di mostrare l’opera d’arte sottostante i SuperRare Items legalmente posseduti e propriamente ottenuti dal collezionista”.

(3) Del resto, la legge sul diritto d’autore statuisce all’art. 109 che “la cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione, regolati da questa legge” e all’art. 110 che “la trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere provata per iscritto”.

(4) CGE,19 dicembre 2019, causa C-263/18, Tom Kabinet.

(5) Convertito, con modificazioni, dalla legge 10 maggio 2023, n. 52.

(6) Secondo la piattaforma SuperRare, “possedere un item di SuperRare è simile a possedere un’opera d’arte fisica” in quanto “si possiede un token crittografico rappresentativo dell’opera creativa dell’artista al pari di un’opera d’arte fisica, ma non si possiede l’opera d’arte creativa in quanto tale”.

(7) N. De Luca – M. de Mari, “Tokenizzazione di azioni e azioni tokens come fattispecie ‘nativa’”, in Quaderno Giuridico “Tokenizzazione di azioni ed azioni tokens”, edito dalla Consob, ha affermato che “è preferibile la tesi secondo cui titolo di credito non può essere altro che una situazione soggettiva attiva trasferibile, rappresentata su di un supporto materiale, anche diverso dalla carta, alla cui circolazione secondo le regole mobiliari (e con le formalità eventualmente necessarie per la possessio ad legitimationem) si ricollega quella della situazione soggettiva incorporata”.

(8) N. De Luca – M. de Mari, op. cit., chiariscono che “quando il token è creato con regole che rendono indifferente all’emittente il soggetto che esercita i diritti valendosi del supporto materiale o del lettore, questi ultimi assumono funzione di strumento necessario e sufficiente di legittimazione e circolano perciò attraendo le regole mobiliari degli acquisti, e cioè in definitiva quelle dei titoli di credito al portatore”, mentre “quando invece il token contiene anche dati di identificazione del titolare che possono essere modificati, ma che non sono variabili in funzione dell’identità del detentore del supporto materiale o del lettore che consente l’utilizzo del token, allora questi ultimi sono sì necessari per la legittimazione ma inidonei a (far) circolare (i diritti in essi rappresentati o leggibili) con gli effetti dei titoli di credito: non basta, infatti, la traditio del supporto materiale, ma occorre la modificazione dei dati dell’avente diritto”.

(9) Nella versione italiana della definizione il requisito della trasferibilità per via elettronica è chiaramente riferito al valore o al diritto, invece che alla rappresentazione digitale, anche se un valore ed un diritto non sembra trasferibile elettronicamente.

(10) Risoluzione 8 marzo 2012, n. 23/E.

(11) Risoluzione 31 maggio 2011, n. 61/E, risoluzione n. 23/E/2012, cit., e risp. n. 578/2022.

(12) C.M. 24 giugno 1998, n. 165/E.

(13) Par. 3.4. C.M. n. 165/E/1998.

(14) Rimane da capire come potrebbero essere applicate le ritenute nel caso in cui i proventi siano direttamente prelevati a carico dei sostituti d’imposta dagli smart contract. (15) Risposta 24 febbraio 2022, n. 5-07576; risoluzione 21 luglio 2008, n. 311/E; R.M. 14 febbraio 1996, n. 68.

(16) Cass. 8 ottobre 2020, nn. 21694, 21695, 21696.

(17) Risoluzione 28 giugno 2007, n. 145/E.

(18) Cass. 29 settembre 2006, n. 21220.

(19) Risp. n. 493/2020, ma soprattutto n. 616/2020.

(20) Risoluzione 15 novembre 2004, n.132/E.

(21) Anche in questo caso rimane da capire come gli intermediari possano applicare l’imposta sostitutiva nel caso in cui i proventi siano addebitati direttamente dagli smart contract.

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