Ottenuta prima conferma dalla Cassazione che il nuovo art. 20 del TUR non consente di attribuire rilevanza agli elementi extratestuali e che l’abuso del diritto non può essere contestato nel corso del giudizio

Ottenuta prima conferma dalla Cassazione che il nuovo art. 20 del TUR non consente di attribuire rilevanza agli elementi extratestuali e che l’abuso del diritto non può essere contestato nel corso del giudizio

Sono lieto di segnalare che la Corte di Cassazione con la sentenza del 1° aprile 2021, n. 9065 ha statuito che l’art. 20 del TUR, nella nuova formulazione introdotta dalla legge finanziaria 2018 a cui poi la legge finanziaria 2019 ha attributo valenza di interpretazione autentica impone all’Agenzia delle Entrate non solo per il futuro, ma anche per il passato di applicare l’imposta di registro sulla base degli effetti giuridici di ciascun atto, prescindendo da elementi desumibili da altri atti, anche se collegati, e che l’abuso del diritto fiscale non può essere contestato in corso di giudizio, concludendo che i tre distinti contratti con cui una società produttrice di profumi aveva ceduto i relativi diritti di proprietà intellettuale, rinunciato ai diritti sulle relative essenze e ceduto gli stampi utilizzati per produrli non possono essere riqualificati come una cessione frazionata di ramo di azienda assoggettabile ad imposta proporzionale di registro.

Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione riguardava una casa di moda che, essendo scaduta la licenza da essa concessa ad una società per la produzione e commercializzazione di profumi con il proprio marchio, aveva concesso una nuova licenza ad altra società per la produzione e commercializzazione dei medesimi profumi. La controversia fiscale è sorta perché nel 2005 la vecchia licenziataria aveva concluso con la casa di moda un primo contratto con cui le aveva ceduto le informazioni ed i diritti di proprietà intellettuale sui profumi e sulle loro confezioni, nonché un secondo contratto con cui aveva rinunciato a suo favore ai diritti sulle essenze necessarie per produrli, e, con un terzo contratto nel 2006 aveva ceduto gli stampi ad una terza società appartenente al medesimo gruppo della nuova licenziataria. Ed infatti, con avviso di liquidazione del 2010 l’Ufficio aveva riqualificato i tre contratti come una cessione frazionata di un ramo di azienda ai sensi del vecchio art. 20 del TUR e l’aveva assoggettata ad imposta di registro con l’aliquota proporzionale, notificando l’avviso di liquidazione alla casa di moda, nonché alla società licenziante e a quella licenziataria.

La CTR della Lombardia aveva confermato l’avviso di liquidazione sulla base dell’assunto che “quanto ceduto coi suddetti contratti” configurerebbe “nel suo insieme, un ramo di azienda” in quanto “la proprietà intellettuale relativa al packaging, alla pubblicità ed alla produzione dei profumi; il know-how relativo ai fornitori di essenze, alla realizzazione della pubblicità, ai costi di produzione, al packaging ed agli ingredienti dei profumi, con la facoltà di ottenerne la fornitura in esclusiva, la proprietà o la facoltà di utilizzo in esclusiva degli stampi di produzione impiegati nella realizzazione di alcune componenti del packaging dei prodotti” sarebbero qualificabili come “l’insieme dei diritti e delle conoscenze tipiche, indispensabili per produrre e vendere senza interruzione i profumi già fabbricati e commercializzati” dalla vecchia licenziante.

Ebbene la Corte di Cassazione, dopo aver dato atto del proprio orientamento sul vecchio art. 20 del TUR, delle modifiche apportate a tale disposizione e delle sentenze della Corte Costituzionale che hanno ritenuto costituzionalmente legittimo il nuovo art. 20 del TUR, ha statuito che nella sentenza impugnata “la CTR della Lombardia non ha fatto corretta applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, così come interpretato alla luce della norma di interpretazione autentica introdotta con l’art. 1, comma 87, lettera a), l.n. 205 del 2017, poiché ha ritenuto applicabile l’imposta di registro a singoli atti i quali, unitariamente considerati, presentavano natura di atti traslativi i cui effetti consistevano nella cessione di beni e/o diritti, attribuendo rilevanza decisiva, ai fini dell’accertamento della contestata cessione di azienda, ad elementi extratestuali, rinvenuti nei diversi atti in oggetto sul presupposto del loro collegamento negoziale o, comunque, di una loro preordinazione alla realizzazione di un risultato economico unitario” e pertanto ha annullato tale sentenza senza rinvio. Pertanto la Corte ha confermato che il nuovo art. 20 del TUR non consenta di riqualificare come una vendita frazionata di azienda la conclusione di distinti atti traslativi, anche se fra di loro collegati, allorché trovi fondamento in elementi desumibili dal complesso di tali atti (in questo senso si veda l’articolo “La lettura della Corte costituzionale dell’art. 20 T.U.R. e il suo impatto sulle vecchie e nuove operazioni”, Corriere tributario n. 3/2021).    

Inoltre, la Corte di Cassazione ha rigettato l’eccezione formulata dall’Agenzia delle Entrate nella memoria secondo cui la condotta posta in essere dai contribuenti avrebbe dato luogo ad un abuso del diritto fiscale, accogliendo quindi le difese articolate nella memoria contestualmente prodotta in giudizio, in quanto “la mancata contestazione nell’atto impositivo delle disposizioni antielusive non consente di poter dare ingresso ad una valutazione degli atti in esame a siffatti parametri di legittimità” e cioè al divieto di abuso del diritto fiscale “pena un inammissibile allargamento del thema decidendum nel giudizio tributario, che non può estendersi a presupposti di fatto e di diritto non contestati con l’atto impositivo”. Pertanto, la Suprema Corte, così argomentando, sembra aver implicitamente disatteso l’orientamento da essa espresso in talune recenti sentenze secondo cui il divieto di rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto nel corso del giudizio sancito dal comma 9 dell’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente non troverebbe applicazione per le operazioni realizzate prima della data della sua entrata in vigore (e cioè del 1° ottobre 2015), nel caso in cui siano state già contestate a tale data (a questo riguardo si veda l’articolo sopra richiamato).

D’altro canto, la Corte Cassazione ha pure rigettato l’ulteriore e sorprendente eccezione formulata dall’Avvocatura secondo cui sarebbero qualificabili come elementi extratestuali soltanto gli elementi che “non trovano in materia immediata e diretta un legame con le espressioni e le dichiarazioni contenute nell’atto oggetto di imposizione e che ne contemplano il contenuto volitivo permettendone di apprezzare gli effetti giuridici”. Ed infatti secondo la Corte medesima tale eccezione si scontra con l’orientamento da essa espresso nell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale secondo cui in forza del nuovo art. 20 TUR “non rilevano … più gli elementi evincibili da atti eventualmente collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali” in quanto “una siffatta interpretazione del dato legislativo si impone sia in ragione del tenore letterale della norma, sia della volontà del legislatore, quale desumibile (anche) dai lavori preparatori” alla legge finanziaria del 2018 “in cui si dà atto…” non solo che l’imposta di registro deve essere applicata “prescindendo da elementi interpretativi esterni all’atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonché dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici “collegati” con quelli da registrare”, ma anche che “non rilevano … per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà ad esempio essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote)”. Pertanto, così argomentando, la Corte di Cassazione è sembrata sposare le in toto le considerazioni espresse dal Governo nella relazione illustrativa del nuovo art. 20 del TUR.           

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