La Cassazione conferma che la motivazione di una sentenza relativa ad una pretesa frode IVA pur se articolata risulta apparente se reca asserzioni astratte disancorate dai fatti di causa e non indica gli elementi di prova dedotti dalle parti

La Cassazione conferma che la motivazione di una sentenza relativa ad una pretesa frode IVA pur se articolata risulta apparente se reca asserzioni astratte disancorate dai fatti di causa e non indica gli elementi di prova dedotti dalle parti

La Corte di Cassazione con l’allegata ordinanza del 6 maggio 2021, n. 11983 ha annullato con rinvio la sentenza della CTR del Lazio che aveva confermato i rilievi con cui l’AdE aveva contestato ad una società del settore informatico di aver partecipato ad una frode IVA per aver realizzato operazioni di acquisto soggettivamente inesistenti. La Suprema Corte ha infatti ritenuto che la motivazione di cui era corredata tale sentenza, pur se alquanto articolata, era apparente per il fatto che era basata soltanto “su asserzioni astratte prive di un riscontro concreto con rifermento ai fatti controversi senza indicare quali fossero gli elementi presuntivi” dedotti dall’Ufficio

In particolare, l’AdE aveva contestato alla predetta società per più periodi d’imposta di aver utilizzato fatture relative ad acquisti di prodotti informatici, a suo dire, oggettivamente inesistenti emesse da altre società e pertanto le era stata negata tanto la deducibilità dall’imponibile IRES dei costi relativi a tali acquisti, quanto la detraibilità dell’IVA. Tale società aveva presentato ricorso alla CTP di Roma avverso gli avvisi di accertamento con cui era stata formulata a suo carico tale contestazione.    

Per accertare l’effettività delle operazioni la Commissione adita aveva nominato un CTU, il quale nella sua perizia aveva attestato che “per gli anni oggetto di contestazione … risulta provata l’esistenza delle operazioni sottese alle fatture oggetto di contestazionee che i “prezzi unitari … applicati dalle società oggetto di contestazione … sono in linea con l’andamento del mercato. Tale Commissione sulla base della CTU aveva ammesso in deduzione i costi delle operazioni asseritamente oggettivamente inesistenti, ma aveva confermato l’indetraibilità dell’IVA, sulla base dell’assunto che le operazioni di acquisto di prodotti informatici sarebbero state soggettivamente inesistenti e la ricorrente ne sarebbe stata consapevole.   

La sola società aveva presentato appello alla CTR del Lazio che aveva confermato la sentenza della CTP di Roma con una motivazione che, pur se alquanto articolata, era del tutto priva di un autentico contenuto decisorio.

In particolare, il giudice di appello dopo aver formulato una statuizione non solo generica, ma anche disallineata rispetto a quanto accertato dal CTU e cioè la statuizione secondo cui “la sentenza impugnata ha correttamente messo in evidenza l’utilizzo nella fattispecie di un congegno studiato ed attuato allo scopo di frodare il fisco … ed ha ritenuto che tale comportamento non possa andare esente da responsabilità nel momento in cui realizza tale scopo, compiendo operazioni che solo formalmente appaiono regolari”, ha motivato tale statuizione sulla base delle considerazioni del tutto astratte ed apodittiche secondo cui gli avvisi di accertamento sono “sufficientemente motivato(i) mediante il richiamo dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio direttamente o per mezzo della polizia tributaria, spettando al giudice tributario di merito la valutazione della sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, sia singolarmente che nel loro complesso”, e, quando il giudice “ritenga, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità … che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa – con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all’esistenza della frode carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o quantomeno alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’Erariola domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata e si sposta sul contribuente l’onere di provare documentalmente, nei modi indicati dalla legge, la spettanza della detrazione”, ma tale onere non sarebbe “assolto dal contribuente” in quanto egli non avrebbe “fornito valida prova delle sue affermazioni contrastanti con la pretesa erariale”, né avrebbe esposto “alcun motivato giudizio d’insufficienza degli indizi oggetti dall’amministrazione, limitandosi ad affermazioni estremamente generiche, che non rivelano la natura specifica dei singoli indizi esaminati né le ragioni della ritenuta insufficienza”, senza quindi non solo esaminare, ma neanche indicare tanto le prove prodotte dall’Ufficio, quanto quelle prodotte dalla società.

La società a questo punto presentava, per mio tramite, ricorso alla Corte Cassazione la quale con l’ordinanza allegata ha annullato integralmente la sentenza della CTR del Lazio, rinviando la decisione del giudizio ad altra sezione di tale CTR. In particolare, la Suprema Corte ha rilevato che il giudice di appello “ha basato la decisione su asserzioni astratte prive di un riscontro concreto con riferimento ai fatti controversi senza indicare quali fossero gli elementi presuntivi sui quali si fondava la contestazione dell’Ufficio in ordine alla soggettiva inesistenza delle operazioni (ovvero gli elementi di fatto circa l’assunto carattere di “cartiere” delle società fatturanti e gli elemento oggettivi e specifici dai quali trarre, nella specie, la consapevolezza della contribuente che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta)”. Pertanto, Essa, dopo aver trascritto alcuni passi della sentenza, ha concluso che “nella specie la motivazione della sentenza, come reso evidente dal contenuto della stessa sopra trascritto “non solo non è autosufficiente nel senso che solo dalla lettura della stessa e non aliunde sia possibile rendersi conto delle ragioni di fatto e di diritto che stanno alla base della decisione” (Cass. n. 777 del 2011), ma le considerazioni svolte “non disvelano il percorso logico-giudico seguito dal decidente” e “l’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende meramente apparente la motivazione della decisione impugnata”.

Il caso prospettato, al di là del merito della contestazione, conferma che il principale obbiettivo a cui dovrebbe mirare la riforma del processo tributario è porre in grado i giudici di eseguire un pieno scrutinio delle ragioni e degli elementi di prova addotti dalle parti, anche nel caso dei giudizi più complessi sul piano documentale o tecnico, tramite una loro collaborazione a tempo pieno, nonché il riconoscimento di adeguati incentivi.    

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