Indebita trasformazione del divieto di abuso del diritto in divieto di scelta del regime fiscale meno oneroso

Indebita trasformazione del divieto di abuso del diritto in divieto di scelta del regime fiscale meno oneroso

Corr. Trib. 35/2012, pag. 2707 e segg.

Possono dare luogo ad un abuso del diritto fiscale soltanto le operazioni che siano preordinate ad ottenere un risparmio d’imposta qualificabile come indebito in quanto derivante dall’aggiramento di specifici divieti od obblighi previsti dalla legge tributaria e che non sarebbero state realizzate in assenza di tale risparmio d’imposta. Pertanto, l’Amministrazione finanziaria non può ritenersi legittimata a contestare le operazioni realizzate per un valido obiettivo extrafiscale, quand’anche abbiano comportato un minor carico fiscale rispetto ad altre possibili operazioni alternative.

La presentazione presso la Camera del Deputati del D.D.L. di delega A.C. n. 5291 (1), con cui si propone al Parlamento, fra l’altro, di delegare il Governo ad introdurre una nuova «disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale» (2), riapre il dibattito sui presupposti costitutivi dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale. È chiaro infatti che l’attuazione della delega dovrebbe garantire quel quadro di certezza e di stabilità che fino a oggi è mancato proprio attraverso una chiara e precisa individuazione di tali presupposti. Pertanto, nel presente intervento, si cercherà di fornirne una ricostruzione univoca sulla scorta degli orientamenti della giurisprudenza comunitaria e di legittimità e della normativa antielusiva vigente.

I presupposti del divieto di abuso del diritto fiscale nella giurisprudenza comunitaria

Per l’individuazione dei presupposti dell’abuso del diritto fiscale non può che muoversi dalla giurisprudenza comunitaria. Il divieto di abuso del diritto fiscale è stato infatti inizialmente concepito dalla Cassazione come diretta trasposizione nel diritto interno del principio di divieto di abuso del diritto teorizzato dalla Corte di giustizia in materia extrafiscale e poi esteso in materia fiscale dalla sentenza Halifax (3). Ed infatti, in un primo tempo, la Suprema Corte aveva ritenuto che tale principio potesse trovare diretta applicazione nell’ordinamento interno anche in materie fiscali non armonizzate (4). Soltanto con le sent. 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057 (5) le Sezioni Unite, «pur aderendo all’indirizzo … affermatosi nella giurisprudenza della Sezione tributaria … fondato sul riconoscimento dell’esistenza di un generale principio antielusivo», hanno dovutamente (6) chiarito che «la fonte di tale principio, in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano» ovverosia «i principi di capacità contributiva (art. 53, primo comma, Cost.) e di progressività dell’imposizione (art. 53, secondo comma, Cost.)». Con la conseguenza che sarebbe «insito nell’ordinamento come diretta derivazione delle norme costituzionali il principio secondo cui il contribuente non può trarre vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale».

Peraltro, la Cassazione ha continuato a nutrire il dubbio che il principio di divieto di abuso del diritto comunitario potesse trovare diretta applicazione nell’ordinamento nazionale anche in materie fiscali non armonizzate. Tant’è vero che la Suprema Corte, dovendo applicare il condono delle liti fiscali pendenti ad una controversia relativa alla legittimità di un’operazione di cessione dell’usufrutto di azioni che si assumeva abusiva, aveva sottoposto alla Corte di giustizia, fra l’altro, anche la questione se «il principio del contrasto all’abuso del diritto in materia fiscale, così come definito nelle sentenze nelle cause C-255/02, Halifax, cit., e C-425/06, Part Service (7), costituisca un principio fondamentale del diritto comunitario soltanto in materia di imposte armonizzate e nelle materie regolate da norme di diritto comunitario secondario, ovvero si estenda, quale ipotesi di abuso di libertà fondamentali, alle materie di imposte non armonizzate, quali le imposte dirette, quando l’imposizione ha per oggetto fatti economici transnazionali» (8). Dando risposta a tale quesito, il giudice comunitario ha statuito che il principio di divieto di abuso del diritto non può estendersi anche a materie non armonizzate, escludendo che possa essere invocato quando il giudizio «non ha ad oggetto una controversia in cui i contribuenti si avvalgono o potrebbero avvalersi in modo fraudolento o abusivo di una norma del diritto dell’Unione» e non «siano in discussione l’applicazione di una norma nazionale che comporti una restrizione ad una delle libertà garantite dal Trattato F.U.E.» (9). Sennonché, tale principio, non può che rimanere il modello a cui riferirsi per individuare i requisiti del divieto di abuso del diritto fiscale non solo perché esso risulta applicabile nelle materie armonizzate, ma anche perché l’art. 53 Cost. non offre alcun modello alternativo a cui riferirsi, dettando un principio generico ed indeterminato come quello di capacità contributiva.

Con la sentenza Halifax, cit., che ha per la prima volta sancito l’applicabilità del principio di abuso del diritto in materia fiscale, la Corte di giustizia, dopo aver premesso che, sebbene il soggetto passivo abbia il diritto «di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale» (10), «l’applicazione della normativa comunitaria non può … estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici, vale a dire operazioni realizzate non nell’ambito di transazioni commerciali normali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario», ha chiarito che due sono i presupposti che devono ricorrere per la configurabilità dell’abuso del diritto fiscale.

In primo luogo, «le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della VI direttiva e dalla legislazione nazionale che la traspone, portare ad ottenere un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni» (11).

Pertanto, «i soggetti passivi sono … liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali» (12).

In secondo luogo, deve «risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale», posto che «il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali». Tuttavia, secondo l’Avvocato generale, «la valutazione … se un’operazione sia o meno realizzata nel contesto di “normali operazioni commerciali” riguarda … il secondo dei due requisiti stabiliti dalla giurisprudenza Halifax e dunque la natura dell’operazione del regime in questione, ed implica stabilire se si tratti di una struttura di puro artificio, costruita essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale piuttosto che per altre ragioni commerciali» (13). Pertanto, la non normalità delle operazioni commerciali costituisce un indice della mancanza di valide ragioni economiche.

LA GIURISPRUDENZA
Elisione dello scopo di risparmio indebito
Nelle ultime sentenze sulle imposte armonizzate la Cassazione, pur erigendo a presupposto dell’abuso del diritto fiscale uno scopo di risparmio d’imposta, sembra non reputare necessario che tale risparmio d’imposta sia indebito per essere contrario agli scopi delle norme fiscali. È vero che la Suprema Corte continua a richiedere l’utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta ovvero la sussistenza di modalità di alterazione degli schemi negoziali classici considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato. Tuttavia tali presupposti costituiscono articolazioni del presupposto della mancanza di valide ragioni economiche, piuttosto che di quello del perseguimento di un risparmio d’imposta indebito.

I presupposti dell’abuso del diritto fiscale nella giurisprudenza della Cassazione

Ricostruiti i presupposti dell’abuso del diritto fiscale delineati dalla giurisprudenza comunitaria, occorre ora verificare come tali presupposti siano riflessi nella nozione di abuso del diritto fiscale teorizzata dalla Cassazione.

Ebbene, la Suprema Corte, recependo gli orientamenti di tale giurisprudenza, è inizialmente partita dalla tesi secondo cui i presupposti dell’abuso del diritto fiscale siano costituiti non soltanto dal difetto di valide ragioni extrafiscali, ma anche dal conseguimento di un risparmio d’imposta di natura indebita in quanto contrario agli scopi delle norme fiscali. Le Sezioni Unite hanno infatti sostenuto che «esiste, nell’ordinamento costituzionale, un principio per il quale non è lecito utilizzare abusivamente, e cioè per un fine diverso da quello per il quale sono state create, norme fiscali (lato sensu) di favore» (14). Tale tesi è stata confermata in due sentenze di poco posteriori (15). In particolare, la prima ha statuito che «l’abuso … costituisce una modalità di aggiramento della legge tributaria utilizzata per scopi non propri con forme e modelli ammessi dall’ordinamento giuridico» e che «il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle operazioni possono spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta». Pertanto, è «onere dell’Amministrazione finanziaria – non solo – prospettare il disegno elusivo a sostegno delle operate rettifiche ma anche le supposte modalità di manipolazione o di alterazione di schemi classici rinvenute come irragionevoli in una normale logica di mercato se non per pervenire a quel risultato di vantaggio fiscale». La seconda sentenza ha chiarito che «l’abuso del diritto … è oggetto di un divieto che supera le limitazioni temporali che la ricorrente vorrebbe far valere, perché esso ha fondamento in un principio costituzionale non scritto di divieto di utilizzazione di norme fiscali di favore per fini diversi da quelli per cui esse sono state create» (16).

Le sentenze successive: le imposte non armonizzate

Sennonché la Cassazione nelle successive sentenze in materia di imposte non armonizzate, quali le imposte dirette e l’imposta di registro, non ha più eretto a presupposto dell’abuso del diritto fiscale anche lo scopo di conseguire un risparmio d’imposta indebito perché non rispondente agli scopi delle norme fiscali. Ed infatti, la Suprema Corte ha statuito che «è sufficiente un uso improprio o ingiustificato (non sorretto da idonee valutazioni di carattere economico che prescindano dal profilo fiscale) di uno strumento giuridico legittimo, utilizzato alla luce del sole, che consenta però di eludere l’applicazione di un regime fiscale proprio dell’operazione-presupposto di imposta» perché «l’ordinamento fiscale non intende premiare scelte imprenditoriali che non siano determinate da valutazioni di economia sostanziale», essendo «evidente che una operazione economica realizzata al solo fine di ottenere un risparmio fiscale (a prescindere da connotazioni di fraudolenza) è una operazione che contrasta con l’utilità sociale, sia nel senso che lede il principio di solidarietà, sia nel senso che determina una indebita riduzione del gettito fiscale» (17). Inoltre, le Sezioni Unite hanno statuito che, «in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici» (18).

Con le due sentenze appena richiamate la Cassazione, pur erigendo a presupposto dell’abuso del diritto fiscale uno scopo di risparmio d’imposta, è sembrata non reputare più necessario che tale risparmio d’imposta sia indebito per essere contrario agli scopi delle norme fiscali. È vero che la Suprema Corte ha continuato a richiedere l’utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta ovvero la sussistenza di modalità di alterazione degli schemi negoziali classici considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato. Tuttavia tali presupposti costituiscono, a ben vedere, articolazioni del presupposto della mancanza di valide ragioni economiche, piuttosto che di quello del perseguimento di un risparmio d’imposta indebito. Ed infatti, l’utilizzo distorto di uno strumento giuridico postula l’utilizzo di un negozio per uno scopo che non sarebbe suo proprio secondo le norme civilistiche e non certo secondo quelle fiscali, non essendo le norme fiscali ad individuare lo scopo dei negozi.

Pertanto, la qualificazione dell’utilizzo di uno strumento giuridico come distorto non sottende un profilo di illiceità fiscale, bensì soltanto una mera anormalità negoziale che può non sottendere, a sua volta, alcun profilo di illiceità civilistica. È significativo rilevare in questo senso non solo che, come si è visto, l’Avvocato generale ha concluso che la normalità delle operazioni economiche attiene al requisito delle ragioni economiche, ma anche che il Comitato antielusivo si è da sempre mostrato dell’idea che per la verifica della «validità delle ragioni economiche prospettate» sia necessario valutare «se l’operazione sia destinata a realizzare situazioni giuridico-economiche propriamente riconducibili alle sue finalità tipiche» (19) in quanto, «in virtù della formulazione dell’art. 37-bis, primo comma, fortemente allusiva al fenomeno civilistico del negozio indiretto e del collegamento negoziale», tale verifica «consiste, piuttosto, in un giudizio di ragionevolezza e di congruità  degli atti negoziali oggetto di valutazione rispetto alla loro funzione tipica» (20). Nel solco tracciato dalle sentenze appena richiamate si è posta anche un’ulteriore sentenza con cui la Cassazione ha statuito che le ccdd. operazioni di dividend washing danno luogo ad un abuso del diritto fiscale per il solo fatto che «si risolvono in una voluta alterazione dei dati fiscali … del contribuente nazionale e, quindi, in una rappresentazione della sua capacità contributiva … considerata dall’art. 53 Cost., diversa da quella effettiva, essendo stata modificata in peius attraverso un’operazione tesa esclusivamente a conseguire un risparmio fiscale ovverosia alla creazione di una minusvalenza oltre che ad un credito d’imposta per il cessionario, quindi mediante una operazione avente la sola finalità di ridurre il carico fiscale (almeno) del cessionario medesimo» (21).

LA GIURISPRUDENZA
Iniziative produttive incentivate
La Cassazione ha sancito il principio secondo cui la mera costituzione di iniziative produttive incentivate non può mai ritenersi integrare «abuso di diritto» perché l’esenzione fiscale costituisce la contropartita incentivante di detta costituzione e non una finalità «contra ius».

Peraltro, la Cassazione, anche in una successiva sentenza con cui ha fornito un’interpretazione estensiva del requisito delle valide ragioni extrafiscali, ha continuato a prescindere dalla natura indebita del risparmio d’imposta (22). In particolare, la Suprema Corte, pur sostenendo che «il carattere abusivo deve essere escluso per la compresenza, non marginale, di ragioni extra fiscali che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione, ma possono essere anche di natura meramente organizzativa, e consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa» e che «il sindacato dell’Amministrazione finanziaria non può spingersi ad imporre una misura di ristrutturazione diversa tra quelle giuridicamente possibili (e cioè una fusione) solo perché tale misura avrebbe comportato un maggior carico fiscale», ha reputato sufficiente per la configurabilità di un abuso del diritto fiscale che una fusione abbia «un determinante scopo di risparmio fiscale» perché «la forma giuridica (o il complesso di forme giuridiche) impiegata abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa».

Sennonché la Cassazione è tornata nuovamente ad erigere a presupposto dell’abuso del diritto fiscale lo scopo di risparmio d’imposta indebito, anche in materie fiscali non armonizzate, quando ha affrontato il caso di una società che, avendo acquistato materie prime da una società del gruppo che fruiva di esenzione dalle imposte sui redditi, si era vista disconoscere la deducibilità dei relativi costi per abuso del diritto. Ed infatti, la Suprema Corte, dopo aver premesso che per la sussistenza di un abuso del diritto «l’operazione economica contestata deve essere stata posta in essere dal contribuente esclusivamente per ottenere un beneficio fiscale “indebito”, ovverosia una riduzione od una eliminazione dell’imposta altrimenti non dovute», ha sancito «il principio secondo cui la mera costituzione di iniziative produttive incentivate non può mai ritenersi integrare “abuso di diritto” (anche nei confronti dei soggetti che intrattengono rapporti economici con l’impresa “beneficiata”) perché l’esenzione fiscale costituisce la contropartita incentivante di detta costituzione e non una finalità contra ius» (23).

Le sentenze successive: le imposte armonizzate

Per quanto attiene alle imposte armonizzate, quali le dogane e l’IVA, la Cassazione ha per contro seguito con una certa costanza la tesi secondo cui l’abuso postula uno scopo di risparmio d’imposta indebito. In particolare, Essa ha reputato dovuti i dazi doganali sull’immissione al consumo di banane realizzata da una società che, pur restando titolare delle relative licenze d’importazione, ne aveva di fatto ceduto oneri e prerogative ad altra società, perché «la complessiva operazione era rivolta a procurare benefici la cui concessione era contraria all’obiettivo perseguito dalla normativa comunitaria essendo l’iter commerciale in realtà preordinato non ad una cessione (legittima) di banane ma ad una cessione (illegittima) di licenze (implicante la negoziabilità – vietata – dei titoli di importazione tra categorie non omogenee) che veniva ad alterare le prefissate quote di mercato» (24). D’altro canto, in altra sentenza, la Cassazione ha rimesso al giudice di rinvio il compito di accertare se desse luogo ad un abuso del diritto agli effetti dell’IVA la vendita di una medesima merce da una prima società ad una seconda società e poi ad una terza che poi l’aveva rivenduta a sua volta alla prima, fissando il principio di diritto secondo cui «l’abuso del diritto è riscontrabile laddove il contribuente ponga in essere un’operazione che ha il fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali attraverso l’utilizzo distorto, se pur non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a tal fine, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione medesima ed in contrasto con l’obiettivo perseguito dalla legislazione in materia» (25).

La non univoca identificazione dei presupposti dell’abuso del diritto fiscale nella giurisprudenza della Cassazione

Dall’analisi delle sentenze richiamate emerge che la Cassazione non ha univocamente individuato i presupposti dell’abuso del diritto fiscale. Sebbene vi sia sostanziale accordo sul fatto che due siano i presupposti dell’abuso del diritto fiscale, e cioè il perseguimento di uno scopo di risparmio d’imposta e il difetto di ragioni extrafiscali apprezzabili, tale accordo viene meno quando si passa ad individuare il relativo contenuto. Ed infatti, per quanto attiene al primo di tali presupposti, se talune sentenze richiedono che il risparmio d’imposta perseguito sia indebito, altre invece non lo richiedono, considerando sufficiente l’utilizzo «distorto … di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale», il ricorso a «modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato» o l’adozione di una «forma giuridica» di «carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa». Pertanto, lo scopo di risparmio indebito è finito con il debordare nell’anomalia negoziale, che può di per sé costituire un indice del difetto di valide ragioni extrafiscali, ma non di un illecito fiscale, così da trasformare lo scrutinio sulla normalità delle sole transazioni foriere di un risparmio d’imposta indebito nello scrutinio sulla normalità di tutte le transazioni.

IL PROBLEMA APERTO
Non univoca identificazione dei presupposti dell’abuso del diritto
La Cassazione non ha univocamente individuato i presupposti dell’abuso del diritto fiscale. Sebbene vi sia sostanziale accordo sul fatto che due siano i presupposti, e cioè il perseguimento di uno scopo di risparmio d’imposta e il difetto di ragioni extrafiscali apprezzabili, per quanto attiene al primo, se talune sentenze richiedono che il risparmio d’imposta perseguito sia indebito, altre non lo richiedono, considerando sufficiente l’utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, il ricorso a modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato o l’adozione di una forma giuridica di carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa.

Peraltro, anche le sentenze che richiedono che il risparmio d’imposta sia indebito lo definiscono diversamente, identificando l’indebito, volta per volta, nella contrarietà agli scopi delle «norme fiscali di favore», della «legislazione in materia» o della «legge tributaria» e, soprattutto, raramente svolgono una compiuta analisi per ricostruire tali scopi sulla base di elementi oggettivi, dando già per integrato il predetto presupposto.

D’altro canto, per quanto attiene al difetto di valide ragioni extrafiscali, alcune sentenze lo identificano nell’insufficienza di tali ragioni a giustificare l’operazione, in assenza del risparmio d’imposta, altre sentenze nella predominanza o prevalenza del risparmio d’imposta rispetto alle ragioni extrafiscali.

È dunque evidente come regni notevole incertezza sui presupposti dell’abuso del diritto fiscale con una grave lesione del principio di certezza del diritto. Non resta a questo punto che tentare di pervenire ad una ricostruzione univoca di tali presupposti.

Una ricostruzione univoca dei presupposti dell’abuso del diritto fiscale

Ebbene, deve sicuramente ritenersi presupposto dell’abuso del diritto fiscale anche il perseguimento di un risparmio d’imposta di natura indebita, conformemente non solo all’orientamento della Corte di giustizia, ma anche alla scelta operata dall’art. 37-bis del D.P.R. n 600/1973, ove considera inopponibili all’Amministrazione finanziaria i comportamenti «diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti». L’abuso c’è quando un’operazione sia realizzata non per conseguire un risparmio d’imposta, ma per conseguire un risparmio d’imposta che non avrebbe dovuto essere conseguito. È soltanto l’indebito che comporta l’abuso e non il risparmio d’imposta.

Il contribuente che intende perseguire un valido obiettivo extrafiscale deve poter scegliere fra le operazioni alternative, attraverso cui perseguire tale obiettivo, quella fiscalmente meno onerosa, anche se la scelta di tale operazione rispetto alle altre sia dettata da uno scopo di risparmio fiscale. È questo il caso della scelta fra la cessione dell’azienda e la cessione di partecipazioni di controllo per l’alienazione di un ramo d’attività ovvero della scelta fra il ricorso al capitale di rischio e al capitale di debito per l’acquisto di un’azienda o di una partecipazione di controllo. Un risparmio fiscale non può essere considerato indebito per il semplice fatto che il contribuente non lo avrebbe realizzato se avesse fatto ricorso ad un’operazione alternativa. Diversamente argomentando si finisce con il legittimare l’Amministrazione finanziaria a contestare le operazioni che, pur se poste in essere per un valido obiettivo extrafiscale, hanno comportato un minore carico fiscale rispetto ad altre possibili operazioni alternative, così da esercitare un sindacato sulle scelte di ottimizzazione fiscale del contribuente in spregio al principio di libertà d’iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 Cost.

IL PROBLEMA APERTO
Scelta legittima del regime fiscale meno oneroso
Il contribuente che intende perseguire un valido obiettivo extrafiscale deve poter scegliere fra le operazioni alternative, attraverso cui perseguire tale obiettivo, quella fiscalmente meno onerosa, anche se la scelta di tale operazione rispetto alle altre sia di per sé dettata da ragioni fiscali. Un risparmio fiscale non può essere considerato indebito per il semplice fatto che il contribuente non lo avrebbe realizzato se avesse fatto ricorso ad un’operazione alternativa. Diversamente si finisce con il legittimare l’Amministrazione finanziaria a contestare le operazioni che, pur se poste in essere per un valido obiettivo extrafiscale, hanno comportato un minore carico fiscale rispetto ad altre possibili operazioni alternative, così da esercitare un vero e proprio sindacato sulle legittime scelte di ottimizzazione fiscale del contribuente. Sennonché l’esercizio di un siffatto sindacato è stato ritenuto inammissibile, non solo dalla Cassazione, ma anche dall’Avvocato generale.

Sennonché l’esercizio di un siffatto sindacato è stato ritenuto inammissibile, non solo dalla Cassazione, come si è visto, ma anche dall’Avvocato generale, ove ha affermato che «la mera circostanza che un soggetto passivo, al fine di realizzare un progetto imprenditoriale legittimo, opti, fra più possibili figure ammissibili sotto il profilo giuridico, per quella risultante più vantaggiosa sul piano fiscale, non legittima, di per sé, la contestazione di evasione fiscale» (26) e dalla Corte di giustizia, ove ha affermato che i soggetti passivi sono «liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali» (27).

Ma non basta. Il contribuente deve poter essere libero di sfruttare i crediti d’imposta o le deduzioni che la legge fiscale gli concede per indurlo a porre in essere un’operazione che non avrebbe avuto convenienza economica a porre in essere. È questo appunto il caso del credito d’imposta per redditi prodotti all’estero di tipo figurativo concesso da alcune convenzioni concluse dall’Italia sui dividendi, interessi e canoni, come pure delle esenzioni o dei crediti d’imposta concessi alle imprese che avviino nuove attività commerciali in determinate aree territoriali. La concessione di tali agevolazioni potrebbe rendere economicamente conveniente l’acquisto di attività finanziarie ed immateriali ovvero l’avvio di nuove attività commerciali che altrimenti non lo sarebbero. Pertanto, tali operazioni non possono essere considerate elusive perché, pur se prive di valide ragioni economiche, comportano il conseguimento di un risparmio d’imposta lecito (28).

È da ritenere che il risparmio d’imposta possa configurarsi indebito soltanto ove si ponga in contrasto con gli scopi perseguiti dalle norme fiscali. Peraltro, poiché gli scopi delle norme fiscali non sono oggettivati nella relativa formulazione, diversamente da quelli delle disposizioni comunitarie che sono invece oggettivati nel preambolo, tali scopi non possono che essere desunti da specifici obblighi o divieti previsti da norme di legge che abbiano ad oggetto condotte che consentano il conseguimento di risultati equivalenti a quelli contestati. Soltanto in tal modo si può garantire che l’Amministrazione finanziaria e la giurisprudenza non disponga di un’assoluta discrezionalità nella qualificazione come indebito del risparmio d’imposta in violazione del principio di riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. e d’imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonché del principio di legalità di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997 (29). La ricostruzione degli scopi di una norma si risolve in un puro arbitrio, ove non trovi fondamento nel testo di una legge, essendo in tal caso sempre possibile identificare tali scopi secondo i propri desiderata, come emerge da recenti vicende (30). Non a caso è questa la scelta operata dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, ove considera come indebiti i risparmi d’imposta che derivino dall’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario.

IL PROBLEMA APERTO
Difetto di valide ragioni extrafiscali
Per l’integrazione del difetto di valide ragioni extrafiscali non è sufficiente che i risparmi d’imposta siano prevalenti rispetto ai vantaggi economici, ma occorre che l’operazione non possa spiegarsi in mancanza dei risparmi d’imposta nel senso che, cioè, non sarebbe stata posta in essere se non avesse assicurato tali risparmi. Poiché i vantaggi economici non sono spesso quantificabili o, comunque anche quando lo sono, possono manifestarsi in un lungo arco temporale, tali vantaggi possono non risultare prevalenti rispetto ai risparmi d’imposta.

Il difetto di valide ragioni extrafiscali

Per quanto attiene al difetto di valide ragioni extrafiscali è da ritenere che per la sua integrazione non sia sufficiente che i risparmi d’imposta siano prevalenti rispetto ai vantaggi economici, ma occorra che l’operazione non possa spiegarsi in mancanza dei risparmi d’imposta nel senso che, cioè, non sarebbe stata posta in essere se non avesse assicurato tali risparmi. Poiché i vantaggi economici non sono spesso quantificabili – quali quelli derivanti da operazioni realizzate per acquisire il controllo di società, ricapitalizzarle, adempiere a decisioni delle autorità – o, comunque anche quando lo sono, possono manifestarsi in un lungo arco temporale – quali quelli derivanti da sinergie fra società – tali vantaggi possono non risultare prevalenti rispetto ai risparmi d’imposta. Tale rischio è stato avvertito anche dalla Cassazione, quando ha rilevato che «il carattere abusivo deve essere escluso per la compresenza, non marginale, di ragioni extra fiscali che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione, ma possono essere anche di natura meramente organizzativa, e consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa» (31). D’altro canto, il ricorso ad una comparazione dei vantaggi economici e fiscali per stabilire se l’operazione sia priva di valide ragioni economiche non sembra in linea con lo stesso orientamento della giurisprudenza comunitaria. La Corte di giustizia ha infatti sostenuto che «il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possono spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali», posto che tale «divieto è finalizzato a vietare le costruzioni di puro artificio effettuate unicamente al fine di ottenere un vantaggio fiscale» (32). Non bisogna allora comparare i vantaggi fiscali ed economici derivanti dalle operazioni realizzate dal contribuente, bensì verificare se tali operazioni possono spiegarsi con il conseguimento di vantaggi economici perché sarebbero state poste in essere anche in mancanza dei vantaggi fiscali. Tale orientamento è stato del resto recepito dalla Cassazione, ove ha statuito che «il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle operazioni possono spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta» (33). Pertanto, deve verificarsi se i vantaggi economici siano tali da rendere giustificabile l’operazione, indipendentemente dal risparmio d’imposta conseguito.

Considerazioni conclusive

Può dunque concludersi che danno luogo ad un abuso del diritto soltanto le condotte che siano dirette ad ottenere un risparmio d’imposta qualificabile come indebito in quanto derivante dall’aggiramento di specifici divieti od obblighi previsti da norme di legge e che non sarebbero state realizzate in assenza di tale risparmio d’imposta. L’applicazione del divieto di abuso del diritto può essere ipotizzabile «solo in casi eccezionali, laddove l’abuso sia manifesto» (34).

Note:

 (1) Al momento di andare in stampa si fa riferimento all’Atto Camera 5291, all’esame della VI Commissione Finanze della Camera dei deputati.

(2) In particolare, l’art. 5 propone di definire «la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta» ed a considerare «lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva», escludendo «la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione è dettata da ragioni extrafiscali non marginali», così da garantire «la libertà di scelta del contribuente fra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale».

(3) Corte di giustizia CE, 21 febbraio 2006, causa C-255/02, in GT – Riv. giur. trib. n. 5/2006, pag. 385, con commento di A. Santi, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(4) Cass., 29 settembre 2006, n. 21221, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA, che aveva ritenuto invocabile tale principio anche in materia di imposte dirette in quanto, «pur riguardando la pronuncia dei giudici di Lussemburgo un campo impositivo di competenza comunitaria (l’IVA) … come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza comunitaria, anche nell’imposizione fiscale diretta, pur essendo questa attribuita alla competenza degli Stati membri, gli stessi devono esercitare tale competenza nel rispetto dei principi e delle libertà fondamentali contenuti nel Trattato CE».

(5) In GT – Riv. giur. trib. n. 3/2009, pag. 216, con commento di A. Lovisolo, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(6) Cfr. G. Escalar, «Esclusa la diretta efficacia dell’abuso del diritto in materia di imposte dirette», in Corr. Trib. n. 9/2009, pag. 699.

(7) Cfr. Corte di giustizia CE, 21 febbraio 2008, causa C-425/06, in GT – Riv. giur. trib. n. 9/2008, pag. 750, con commento di P. Centore, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(8) Cass. 3 novembre 2010, n. 22309, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(9) Corte di giustizia UE, 29 marzo 2012, causa C-417/10, 3M Italia, punti 30-31, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(10) Cfr. Corte di giustizia CE, causa C-425/06 del 2008, cit., par. 42; Id., 22 dicembre 2010, causa C-277/09, RBS, par. 54 e Id., 22 dicembre 2010, causa C-103/09, Weald leasing Ltd, par. 27, entrambe in GT – Riv. giur. trib. n. 4/2011, pag. 285, con commento di M. Basilavecchia, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(11) Cfr. sent. Part Service, cit., par. 42, e sent. RBS, cit., par. 49.

(12) Sent. RBS, cit., par. 53.

(13) Conclusioni J. Mazak, 26 ottobre 2010, causa C-103/09, Weald leasing, par. 33.

(14) Cass., SS.UU., nn. 30055, 30056, e 30057 del 2008, cit.

(15) Cass., 21 gennaio 2009, n. 1465, in GT – Riv. giur. trib. n. 3/2009, pag. 216, con commento di A. Lovisolo, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(16) Cass., 8 aprile 2009, n. 8481, in GT – Riv. giur. trib. n. 7/2009, pag. 593, con commento di M. Basilavecchia, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(17) Cass., 8 aprile 2009, n. 8487, in GT – Riv. giur. trib. n. 7/2009, pag. 593, con commento di M. Basilavecchia, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(18) Cass., SS.UU., 26 giugno 2009, n. 15029, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(19) Così parere n. 42 del 2006, ma nello stesso senso i pareri n. 17 del 2005, e n. 34 del 2005, tutti in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(20) Così pareri n. 36 e n. 37 del 2005, ma nello stesso senso i pareri n. 2 del 2005, e n. 39 del 2006, tutti in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(21) Cass., 22 ottobre 2010, n. 21692, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(22) Cass., 21 gennaio 2011, n. 1372, in GT – Riv. giur. trib. n. 4/2011, pag. 287, con commento di M. Basilavecchia, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(23) Cass., 12 maggio 2011, n. 10383, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(24) Cass., 15 settembre 2009, n. 19827, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(25) Cass., 21 aprile 2010, n. 9477, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(26) Conclusioni J. Kokott, 16 luglio 2009, causa C-352/08, Zwijnenburg, par. 47.

(27) Sent. RBS, cit., par. 53.

(28) Cfr. anche G. Escalar, «I limiti alla deduzione della nullità dei negozi per frode alla legge tributaria», in Corr. Trib. n. 20/2010, pag. 1603.

(29) Comunque, non si comprende perché se «nel campo penale non può affermarsi l’esistenza di una regola generale antielusiva, che prescinda da specifiche norme antielusive, così come, invece, ritenuto dalle citate Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione» (così Cass. pen., 28 febbraio 2012, n. 7739, in GT – Riv. giur. trib. n. 5/2012, pag. 381, con commento di M. Basilavecchia, e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA), la si può per contro affermare nel campo sanzionatorio amministrativo, pur vigendo anche in tale campo un principio di legalità ritagliato su quello penale.

(30) Cfr. G. Escalar, «Un caso esemplare di trasformazione indebita dell’abuso del diritto in norma impositiva in bianco», in Corr. Trib. n. 22/2012, pag. 1670.

(31) Cass. n. 1372 del 2011, cit.

(32) Corte di giustizia CE, 22 maggio 2008, causa C-162/07, Ampliscientifica, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(33) Cass. n. 1465 del 2009, cit., e Id., 22 settembre 2010, n. 20030, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.

(34) Conclusioni Weald Leasing, cit.

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