Per una rilettura critica della nozione unionale di abuso del diritto fiscale

Per una rilettura critica della nozione unionale di abuso del diritto fiscale

Corr. Trib. 2019, p. 291 e segg. 

La Corte di giustizia UE ha elaborato una nozione unitaria di abuso del diritto unionale in materia fiscale, che si articola, da una parte, in un presupposto soggettivo costituito dallo scopo essenziale di ottenere un vantaggio fiscale desumibile dalla presenza di una costruzione di puro artificio non giustificata da ragioni commerciali e, dall’altra, in un presupposto oggettivo costituito dalla contrarietà di tale vantaggio alle finalità delle pertinenti disposizioni. Tuttavia, tale unitaria nozione non sembra esser stata posta a base delle norme antielusive delle più recenti direttive, in quanto esse non impongono più di desumere il predetto scopo dalla presenza di una costruzione di puro artificio, ma dall’assenza di valide ragioni commerciali.

Riferimenti

  • Direttiva CEE 23 luglio 1990 n. 90/434/CEE, Articolo 11
  • Direttiva CEE 3 giugno 2003 n. 2003/49/CE, Articolo 5

Il diritto unionale prevede distinte nozioni di abuso del diritto in materia fiscale. Oltre alle nozioni di abuso della normativa unionale e di abuso delle libertà fondamentali sancite dal TFUE elaborate dalla CGE, sono state introdotte specifiche nozioni di abuso nelle norme antiabuso delle Direttive in materia di imposte dirette. Con il presente contributo cercherò di fornire una rilettura critica di queste nozioni.

La nozione di abuso del diritto unionale nella giurisprudenza della CGE

La CGE ha sempre ripetuto che la pianificazione fiscale risulta legittima in quanto i contribuenti sono liberi di scegliere le operazioni che presentino il carico fiscale meno oneroso. A suo avviso, “quando il soggetto passivo ha la scelta tra due operazioni, non è obbligato a scegliere quella che implica un maggiore pagamento di IVA, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di ridurre la sua contribuzione fiscale”[1].

Tuttavia, la libertà dei contribuenti trova un limite nel divieto di abuso della normativa unionale atteso che tale normativa “non può … estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici, vale a dire operazioni realizzate non nell’ambito di transazioni commerciali normali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario”[2].

Il divieto di abuso in materia di IVA “non costituisce una norma stabilita da una direttiva ma trova il proprio fondamento nella costante giurisprudenza…”. E infatti “il diniego di un diritto o di un beneficio in ragione di fatti abusivi o fraudolenti non è altro che la mera conseguenza della constatazione secondo la quale, in caso di frode o di abuso di diritto, le condizioni oggettive richieste ai fini dell’ottenimento del vantaggio che si vuole conseguire non sono, in realtà, soddisfatte e … pertanto, … non necessita di una base giuridica specifica”, cosicché il divieto di abuso “ha carattere generale per natura inerente ai principi generali del diritto dell’Unione”[3].

La CGE ha sostenuto che l’abuso del diritto unionale in materia d’IVA è configurabile solo se ricorrano due presupposti, uno oggettivo e l’altro soggettivo.

Il presupposto oggettivo è che le operazioni contestate abbiano consentito di fruire di un vantaggio fiscale il cui conseguimento, pur non comportando la violazione delle disposizioni che lo prevedano, sia indebito per il fatto che sia contrario all’obiettivo da loro perseguito. La CGE ha infatti statuito che le operazioni controverse, “nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni…”, devono “procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni”[4].

Peraltro tale giudice ha escluso che sia indebita non solo la fruizione di un’aliquota IVA inferiore[5], il differimento nel pagamento dell’IVA[6], ma anche la fruizione in uno Stato membro della detrazione dell’IVA sugli acquisti di beni utilizzati per la prestazione di servizi di locazione in un altro Stato membro non soggetti ad IVA né nello Stato del prestatore, né in quello del destinatario per la difforme qualificazione di tali servizi[7] poiché, “quando un soggetto passivo si avvale … di un’‘anomalia’ o di un’incoerenza nel sistema IVA dovute, tuttavia, al sistema stesso o, più esattamente, a differenze nell’applicazione di tale sistema negli Stati membri interessati, tale ‘uso’ da parte del soggetto passivo non costituisce necessariamente un ‘abuso’”[8].

Secondo la CGE, perché sia integrato il presupposto soggettivo, è necessario che da elementi oggettivi risulti che le operazioni contestate abbiano essenzialmente lo scopo di conseguire un vantaggio fiscale. Pertanto, il presupposto soggettivo non è identificabile nello scopo effettivamente perseguito tramite le predette operazioni e cioè nelle motivazioni personali del contribuente, bensì nello scopo che le operazioni medesime siano oggettivamente dirette a perseguire, così come desumibile dalle circostanze di fatto in cui siano state poste in essere.

Inoltre, la CGE, pur avendo usato formule difformi[9], non richiede che il conseguimento del vantaggio fiscale sia lo scopo esclusivo delle operazioni contestate, ma considera sufficiente che ne sia lo scopo essenziale[10]. Essa, quando ha rilevato che “le operazioni … avevano l’unico scopo di procurare un vantaggio fiscale … non ha trasformato tale circostanza in una condizione per l’esistenza di una pratica abusiva, ma ha semplicemente sottolineato che … la soglia minima che consente di qualificare una pratica come abusiva era addirittura superata”[11]. Ragion per cui non è sufficiente che il conseguimento del vantaggio fiscale sia solo uno degli scopi principali delle operazioni contestate qualora tali operazioni perseguano anche uno scopo economico.

Il conseguimento del vantaggio fiscale è lo scopo essenziale delle operazioni contestate, se tali operazioni non sarebbero state realizzate in mancanza di tale vantaggio, posto che “il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali”[12]. Tali operazioni non devono dunque essere giustificate da ragioni diverse dal conseguimento di un vantaggio fiscale[13].

Lo scopo essenziale delle operazioni contestate è identificabile nel conseguimento di un vantaggio fiscale se tali operazioni non costituiscono “transazioni commerciali normali”[14] nel senso che risultano[15] “costruzioni puramente fittizie”[16], o “di puro artificio, prive di effettività economica”[17] o “non rispondenti all’effettività economica e commerciale”[18]. D’altro canto, “affinché una normativa nazionale possa essere considerata come diretta a evitare le frodi e gli abusi, il suo scopo specifico dev’essere quello di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica”[19].

Per stabilire se le transazioni siano configurabili come di puro artificio non è rilevante se costituiscano l’oggetto della normale attività del contribuente[20], bensì se siano anormali in sé[21]. Di conseguenza, le transazioni possono essere considerate tali se, ad esempio, sono state poste in essere fra parti legate da nessi giuridici, economici o personali, a condizioni non di mercato[22] o senza assumere i relativi rischi e responsabilità[23].

Non costituiscono elementi di per sé atti a configurare una costruzione di puro artificio l’amministrazione di beni delle società figlie[24], l’assunzione del ruolo di amministratore, unico socio e creatore di know how di una società, il ricorso a subcontraenti per la prestazione di servizi[25], il sostenimento di “costi di gestione a sei cifre” e “costi di locazione e di personale esigui a fronte di costi di consulenza elevati”[26].

L’esistenza di valide ragioni commerciali esclude la configurabilità di una costruzione di puro artificio. Pertanto, l’essenzialità dello scopo di ottenere un vantaggio tributario è comprovata dal ricorso ad una costruzione di puro artificio e la sussistenza di tale costruzione è esclusa dalla presenza di ragioni commerciali.

Nel 2012 la Commissione UE, per “contrastare le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva che non rientrano nell’ambito di applicazione delle norme nazionali specifiche intese a combattere l’elusione fiscale”, ha inviato agli Stati Membri una Raccomandazione con cui li ha invitati ad “adottare una norma generale antiabuso adattata alle situazioni nazionali, alle situazioni transfrontaliere limitate all’Unione e alle situazioni che coinvolgono paesi terzi”,che recepisce gli orientamenti della CGE.

In particolare, tale organismo, dopo aver premesso che tale norma dovrebbe prevedere che “una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni … posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata”, ha precisato non solo che “la finalità di una costruzione o di una serie di costruzioni artificiose consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali del contribuente, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili”, ma anche che “una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale” per il fatto che, in alternativa:

“a) la qualificazione giuridica … non è coerente con il fondamento giuridico della costruzione nel suo insieme;

b) … è posta in essere in un modo che non sarebbe normalmente impiegato in … un comportamento ragionevole in ambito commerciale;

c) … comprende elementi che hanno l’effetto di compensarsi o di annullarsi reciprocamente;

d) le operazioni concluse sono di natura circolare;

e) comporta un significativo vantaggio fiscale, di cui, tuttavia, non si tiene conto nei rischi commerciali assunti dal contribuente o nei suoi flussi di cassa;

f) le previsioni di utili al lordo delle imposte sono insignificanti rispetto all’importo dei previsti vantaggi fiscali”.

Pertanto, un’operazione dà luogo ad un abuso del diritto in materia fiscale soltanto se è stata posta in essere essenzialmente allo scopo di conseguire un vantaggio fiscale in quanto tale operazione sia una costruzione di puro artificio priva di effettività economica, che non sia giustificata da ragioni commerciali e se tale vantaggio fiscale sia contrario alla finalità delle pertinenti disposizioni.

La nozione di abuso della libertà di stabilimento in materia fiscale

La CGE ha sempre escluso che l’insediamento di una società controllata in un altro Stato membro possa dar luogo ad un abuso della libertà di stabilimento sancita dagli artt. 49 e 54 del TFUE, anche se sia giustificato dallo scopo di fruire del suo più favorevole regime giuridico in quanto la sua fruizione costituisce una modalità di esercizio di tale libertà e quindi non può essere considerata indebita perché risponde allo scopo per cui tale libertà è riconosciuta[27].

Inoltre, tale giudice ha ritenuto che l’insediamento di una società controllata in un altro Stato membro non possa dar luogo ad un abuso della libertà di stabilimento neppure se sia giustificato dallo scopo di fruire del suo più favorevole regime fiscale. Ed infatti, “i cittadini di uno Stato membro”, sebbene “non possono tentare, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, di sottrarsi abusivamente all’impero delle loro leggi nazionali, né possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario”, non devono, tuttavia, essere privati “della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché” hanno “inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiedono”[28]. Pertanto, le discriminazioni di trattamento fiscale a danno di società controllate residenti in altri Stati membri sono configurabili come restrizioni alla libertà di stabilimento e sono quindi illegittime.

Senonché anche tali restrizioni fiscali possono risultare legittime se sono giustificate da ragioni imperative di interesse generale e se sono idonee e proporzionate al loro soddisfacimento. Può costituire una ragione imperativa di interesse generale non solo la coerenza del sistema fiscale e l’equa ripartizione del potere impositivo fra gli Stati Membri, ma anche la lotta contro pratiche abusive.

Tuttavia, una restrizione alla libertà di stabilimento può essere “giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive”, qualora abbia “lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale”[29]. Pertanto, una tale restrizione è giustificata quando sia volta ad ostacolare comportamenti che siano qualificabili come abusivi perché integrino due presupposti, uno oggettivo e l’altro soggettivo.

Il presupposto oggettivo è costituito dalla natura indebita del vantaggio fiscale ed è integrato se è stato disattesol’“obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento” e cioè “permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le sue attività e favorire così l’interpenetrazione economica e sociale nel territorio della Comunità nel settore delle attività indipendenti”, partecipando “in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio”[30].

Inoltre, il presupposto soggettivo è individuabile nella “volontà di ottenere un vantaggio fiscale”[31] tramite la fruizione del più favorevole regime fiscale dello Stato membro di stabilimento o nello scopo essenzialedi sottrarsi all’imposizione dello Stato membro di origine[32]Pertanto, la sussistenza di tale presupposto deve essere esclusa anche allorché lo stabilimento in un altro Stato membro abbia come scopo la fruizione di vantaggi extrafiscali anche di natura giuridica.

Ebbene, l’insediamento di una società controllata in un altro Stato membro comporta l’integrazione dei presupposti così individuati soltanto se sia configurabile come una costruzione di puro artificio in quanto sulla base di “elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, relativi, in particolare, al livello di presenza fisica … in termini di locali, di personale e di attrezzature” risulti che non disponga di “un insediamento reale che abbia per oggetto l’espletamento di attività economiche effettive nello Stato membro di stabilimento”[33]. Ed infatti, se tale società “corrisponde a un’installazione fittizia che non esercita alcuna attività economica effettiva sul territorio dello Stato membro di stabilimento, la creazione di tale” società “dovrebbe essere ritenuta costruzione di puro artificio” ovverosia “una società ‘fantasma’ o ‘schermo’”[34]. Pertanto, spetta al “giudice del rinvio verificare se la normativa sulle società controllate non residenti … consenta di limitare l’applicazione della tassazione prevista da tale legislazione alle costruzioni puramente fittizie o se, al contrario … si applichi la detta normativa nonostante l’assenza di elementi oggettivi nel senso dell’esistenza di una costruzione siffatta”, cosicché “nella prima ipotesi, la normativa sulle SEC dovrebbe essere considerata compatibile con gli artt. 43 CE e 48 CE, nella seconda ipotesi, invece, occorrerà ritenerla contraria agli artt. 43 CE e 48 CE”[35].

Specularmente, la conclusione da parte di società nazionali di transazioni con controllate in altri Stati membri comporta l’integrazione dei presupposti dell’abuso della libertà di stabilimento soltanto se tali transazioni siano configurabili come costruzioni di puro artificio in quanto non siano normali, perché ad esempio non siano conformi a condizioni di mercato, e tale anormalità non sia giustificata da ragioni commerciali. Ed infatti, la concessione “ad una società stabilita in un altro Stato membro, con la quale intercorrano vincoli di interdipendenza” di “benefici a condizioni non di mercato, potrebbe consentire alla società residente di trasferire utili sotto forma di benefici verso la propria controllata non residente rischiando di compromettere una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri”[36]. Tuttavia, una transazione, anche quando sia conclusa a condizioni non di mercato, non costituisce una costruzione di puro artificio allorché la pattuizione delle predette condizioni sia giustificata da ragioni commerciali[37], anche se collegate a vincoli di interdipendenza fra le parti[38]. Pertanto, anche in questo caso, le predette ragioni valgono ad escludere la presenza di una costruzione di puro artificio.

Da quanto precede ne consegue che gli Stati membri non possono introdurre restrizioni fiscali a carico di società nazionali che abbiano insediato società controllate in altri Stati membri o abbiano concluso con loro transazioni, se le società o le transazioni medesime non siano configurabili come costruzioni di puro artificio perché, rispettivamente, non costituiscano installazioni fittizie o non presentino elementi di anormalità, quand’anche siano motivate da ragioni fiscali[39]. Ed infatti, “ove la controllata eserciti realmente ed effettivamente un’attività nello Stato membro in cui è stata creata, i motivi per cui la società madre ha deciso d’impiantarla su quel territorio non possono influire sui diritti che essa trae dal Trattato”[40]. Pertanto, gli Stati membri non possono contestare sulla base del divieto di abuso del diritto, quand’anche siano motivati da ragioni fiscali, tanto l’insediamento da parte di società nazionali di società controllate in altri Stati membri, se queste ultime, oltre ad essere ivi residenti, esercitino la loro attività nel territorio di tali Stati tramite una propria organizzazione[41], quanto la conclusione di transazioni con le predette società, se tali transazioni rispecchino le condizioni di mercato, laddove non possano formulare analoghe contestazioni nei confronti di società controllate nazionali posto che, in tal modo, legittimerebbero una restrizione fiscale alla libertà di stabilimento.

La nozione di abuso del diritto fiscale nelle Direttive in materia di imposte dirette

Specifiche norme antiabuso sono state introdotte nelle Direttive comunitarie in materia di imposte dirette. In particolare, l’art. 11 della Direttiva del Consiglio 90/434/CEE, relativa al regime fiscale comune applicabile alle operazioni straordinarie, dispone che uno Stato membro può negare l’applicazione delle disposizioni di tale Direttiva, qualora risulti che tali operazioni hanno “come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode o l’evasione fiscale” e che, in tal caso, il fatto che non siano effettuate “per valide ragioni economiche, quali la ristrutturazione o la razionalizzazione delle attività delle società partecipanti all’operazione, può costituire la presunzione che quest’ultima abbia come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode o l’evasione fiscali”. Inoltre, l’art. 5 della Direttiva 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003, relativa al regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e canoni, prevede che “gli Stati membri, nel caso di transazioni aventi come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’evasione o l’elusione fiscali, o gli abusi, possono revocare i benefici della presente direttiva o rifiutarne l’applicazione”.

Anche tali disposizioni, consentendo la disapplicazione dei vantaggi fiscali accordati dalle Direttive alle operazioni che hanno come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’elusione o l’abuso, subordinano implicitamente la disapplicazione di tali benefici alla sussistenza di un presupposto soggettivo e uno oggettivo. Tale obiettivo presuppone infatti lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale che sia contrario alla finalità delle predette Direttive, posto che un’elusione risulta configurabile soltanto qualora i vantaggi fiscali conseguiti dal contribuente si pongano in contrasto con tali finalità.

Senonché il presupposto soggettivo previsto dalle predette disposizioni è apparentemente diverso da quello del divieto di abuso del diritto unionale in quanto tali due disposizioni non richiedono che tali vantaggi fiscali costituiscano lo scopo essenziale dell’operazione, ma considerano sufficiente che siano uno degli scopi principali. Pertanto, tali vantaggi potrebbero essere negati anche se il contribuente abbia come scopo principale il perseguimento di vantaggi non solo fiscali, ma anche economici.

Tuttavia, l’art. 11 della Direttiva lascia intendere che un’operazione non può essere abusiva ogniqualvolta sia stata posta in essere per valide ragioni economiche e quindi anche se tali ragioni economiche siano concorrenti con le ragioni fiscali. Inoltre, la CGE è sembrata ritenere che, perché un’operazione possa essere considerata abusiva, non basti che le ragioni fiscali siano concorrenti rispetto a quelle economiche, ma occorra che siano preponderanti. Ed infatti, tale giudice, dopo aver sostenuto che “solo quando l’operazione che si intende effettuare ha come obiettivo la frode o l’evasione fiscale gli Stati membri, in base all’art. 11 e all’ultimo ‘considerando’ della direttiva, possono rifiutare l’applicazione di quest’ultima”[42], ha precisato che “può costituire una valida ragione economica un’operazione di fusione fondata su più obiettivi, tra i quali possono anche figurare considerazioni di natura tributaria, a condizione tuttavia, che queste ultime non siano preponderanti nell’ambito dell’operazione prevista”[43], con la conseguenza che gli Stati membri possono prevedere “una presunzione di frode o di evasione fiscali nel solo caso in cui l’operazione prevista sia esclusivamente volta a ottenere un vantaggio fiscale, e non sia quindi effettuata per valide ragioni economiche”[44].

Una nuova norma antiabuso è stata introdotta dall’art. 1 della Direttiva 2015/121/UE del Consiglio nei parr. 2 e 3 dell’art. 1 della Direttiva 2011/96/UE, relativa al regime fiscale dei dividendi distribuiti da società figlie a società madri, che si limitavano in origine solo a far salve le “disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi”. In particolare, la predetta norma prevede che “gli Stati membri non applicano i benefici della presente direttiva a una costruzione o a una serie di costruzioni che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità della presente direttiva non è genuina avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti” e che “una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica”. Inoltre, l’art. 6 della Direttiva 2016/1164 del Consiglio, c.d. ATAD, ha posto a carico degli Stati membri l’obbligo di introdurre una norma generale antiabuso agli effetti dell’applicazione dell’imposta sulle società che, nella sua versione finale, riprende il dettato della norma antiabuso appena trascritta.

Anche queste nuove norme antiabuso prevedono due presupposti di applicabilità di cui uno soggettivo e l’altro oggettivo. Il primo è costituito dallo scopo principale o da uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che deve essere desunto dall’assenza di valide ragioni commerciali, mentre, il secondo, dalla natura indebita di tale vantaggio in quanto in contrasto, rispettivamente, con l’oggetto o la finalità della Direttiva o del diritto fiscale applicabile.

Senonché tali due norme sembrano configurare il presupposto soggettivo dell’abuso in maniera difforme da quello dell’abuso del diritto unionale posto che prevedono che la costruzione non è genuina se l’ottenimento di vantaggi fiscali non sia lo scopo essenziale, ma solo uno dei suoi scopi principali e consentono di presumere che tale costruzione non sia genuina non perché risulti di puro artificio, bensì perché sia priva di valide ragioni commerciali.

Tuttavia, la prima differenza è solo apparente in quanto le predette norme lasciano intendere che l’esistenza di valide ragioni commerciali, anche se siano concorrenti rispetto allo scopo di ottenimento di un vantaggio fiscale, esclude di per sé un tale scopo. Pertanto, il presupposto soggettivo sembra integrato solo se le ragioni fiscali siano preponderanti[45].

Per contro, la seconda differenza risulta difficile da negare in quanto le predette norme non richiedono la presenza di una costruzione di puro artificio e l’assenza di ragioni commerciali, ma solo l’assenza di tali ragioni[46]. Pertanto, esse sembrano aver adottato una nozione di abuso più ampia di quella enucleata dalla CGE.

Considerazioni conclusive

La giurisprudenza della CGE ha enucleato una nozione unitaria di abuso del diritto unionale in materia fiscale, che si articola in un presupposto soggettivo costituito dallo scopo essenziale di ottenere un vantaggio fiscale desumibile dall’esistenza di una costruzione di puro artificio non giustificata da ragioni commerciali e da un presupposto oggettivo costituito dalla contrarietà di tale vantaggio alla finalità delle pertinenti disposizioni[47]. Senonché le nuove norme antielusive previste dalle Direttive sui dividendi ed ATAD sembrano aver adottato una nozione di abuso del diritto parzialmente diversa in quanto esse impongono di desumere lo scopo di ottenimento di un vantaggio fiscale non dall’esistenza di una costruzione di puro artificio, bensì dall’assenza di valide ragioni commerciali. Resta quindi da vedere se tali norme porteranno all’adozione di una più ampia nozione di abuso del diritto unionale in materia fiscale.

Note:

[1] Par. 42, CGE, 17 dicembre 2015, causa C-419/14, WebMindLicenses (“WML”).

[2] Par. 68-69, CGE, 12 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax.

[3] Par. 31-32, CGE, 22 novembre 2017, causa C-251-16, Cussens. Per un esame della natura di tale divieto prima della Cussens si veda in questa rivista “Esclusa la diretta efficacia dell’abuso del diritto per le imposte dirette”, 2009, pag 705 ss.

[4] Par. 86 Halifax.

[5] Par. 39-40 WML.

[6] Par. 33-34, CGE, 22 dicembre 2010, Weald Leasing, causa C-103/109.

[7] Par. 55, CGE, 22 dicembre 2010, causa C-277/09, RBS.

[8] AG Mazak, par. 76 concl. RBS.

[9] Così AG Bobek, concl. Cussens.

[10] Così in italiano, inglese e francese par. 75 Halifax; par. 30, Weald Leasing; par. 52, CGE, 27 ottobre 2011, causa C-540/10, Tanoarch, par. 36, WML, par. 64, CGE, 19 luglio 2012, causa C-33/11, A Oy, par. 34, CGE 14 aprile 2016, causa C-131/14, Cervati e par. 53 Cussens. Tuttavia, così anche par. 49, RBS, in inglese e francese, ma non in italiano (“scopo delle operazioni consista unicamente”).

[11] Così in italiano e francese, ma non in inglese (principal aim) parr. 44-45, CGE, 21 febbraio 2008, causa C-425/06, Part Services.

[12] Par. 75 Halifax., par. 30 Weald Leasing.

[13] L’AG Bobek, conc. Cussens, ha chiarito che “il criterio soggettivo deve essere applicato restrittivamente” e quindi “se le operazioni in questione possono avere una giustificazione economica diversa dal vantaggio fiscale, allora il criterio non è soddisfatto”.

[14] Par. 80 Halifax; par. 27 Ampliscientifica, 22 maggio 2008, causa C-162/07 e par. 50 Cussens.

[15] Secondo l’AG Mazak, concl. Weald Leasing, “la valutazione della circostanza se un’operazione sia o meno realizzata nel contesto di ‘normali operazioni commerciali’ riguarda il secondo dei due criteri stabiliti dalla giurisprudenza Halifax e dunque la natura dell’operazione o del regime in questione, ed implica stabilire se si tratti di una struttura di puro artificio, costruita essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale piuttosto che per altre ragioni commerciali”.

[16] Par. 81 Halifax, par. 62 Part Services e par. 60 Cussens.

[17] Par. 50-51 RBS, par. 28 Ampliscientifica, par. 51 Tanoarch, par. 63 A Oy e par. 60 WML.

[18] Par. 45 Paul Newey.

[19] Par. 46, CGE, 20 dicembre 2017, cause C-504/16 e C-613/16, Deister Holding.

[20] Par. 44 Weald Leasing.

[21] Per l’AG Mazak, concl. Weald Leasing, “sono rilevanti i nessi giuridici, economici e/o personali tra gli operatori coinvolti nel piano di riduzione del carico fiscale, … se le parti interessate operino in condizioni di mercato” e “… se una determinata operazione comporti gli oneri e i rischi tipicamente associati alle operazioni dello stesso genere”.

[22] Par. 39 Weald Leasing.

[23] Par. 44 WML.

[24] Par. 73 Deister Holding.

[25] Par. 46 WML.

[26] Par. 66 AG Kokott, concl., causa C-115/16, N Luxemburg 1.

[27] CGE 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros.

[28] Par. 35-36 Cadbury.

[29] Così par. 55 Cadbury; conformi: CGE, 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst; CGE, 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer; par. 74, CGE, 13 marzo 2007, causa C-524/07, Test Claimant in the Thin Cap Group Litigation; par. 28, CGE, 17 gennaio 2008, causa C-105/07, Lammers; par. 80, CGE, 23 aprile 2008, par. 77 C-201/05, The Test Claimant in the CFC; par. 65, CGE 21 gennaio 2010, causa C-111/08, SGI; CGE, 1° aprile 2014, causa C-80/12, Felixstowe; CGE, 21 dicembre 2016, causa C-593/14, Masco.

[30] Par. 53 Cadbury.

[31] Par. 64 Cadbury.

[32] Così par. 81 Test Claimant In The Thin Cap e par. 30 Lammers, in inglese e francese, “…a purely artificial arrangement, the essential purpose of which is to circumvent the tax legislation of that Member State” e “un montage purement artificiel dont le but essentiel est d’échapper à l’emprise de la législation fiscale de cet État membre”, ma, in italiano, “una costruzione di puro artificio finalizzata, fondamentalmente, a sottrarsi all’applicazione della legislazione fiscale di tale Stato membro”.

[33] Par. 67-66 Cadbury.

[34] Par. 68 Cadbury.

[35] Par. 80 The Test Claimant CFC.

[36] Par. 45, CGE, 31 maggio 2018, causa C-382/16, Hornbach.

[37] Par. 71 SGI e par. 49 Hornbach.

[38] Par. 51 Hornbach.

[39] Secondo la CGE par. 110 e ss. Test Claimant In The Thin Cap, il prelievo di tributi in violazione della libertà di stabilimento comporta l’obbligo di rimborsarli e di risarcire eventuali perdite finanziarie. 

[40] Par. 49 concl. AG Leger, Cadbury.

[41] Così Cass., Sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2869 e 21 dicembre 2018, n. 33234. 

[42] Par. 45, CGE, 17 luglio1997, causa C-28/85, Leur-Bloem.

[43] Par. 35, CGE, 10 novembre 2011, causa C-126/10, Foggia.

[44] Par. 53, CGE, 8 marzo 2017, causa C-14/16, Europark.

[45] Così Assonime, circ. n. 27/2018, pag. 33.

[46] L’AG Kokott nel par. 67 concl. N Luxemburg ha sostenuto che l’art. 6 della Direttiva ATAD non esclude la configurabilità di un abuso anche quando non sia ravvisabile una costruzione di puro artificio.

[47] Così L. Cerioni, “Abuse of Rights in EU Company Law and EU Tax Law: A Re-Reading of the ECJ Case Law and the Quest for a Unitary Notion”, in Eur. Bus. Law, 2010, pag. 783 ss.

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