La fiscalità per i privati di strumenti finanziari digitali e security token

La fiscalità per i privati di strumenti finanziari digitali e security token

Corr. Trib. 4/2024, pag. 388 e ss.

Nei confronti dei privati, gli strumenti finanziari digitali di diritto italiano e gli altri omologhi strumenti di diritto estero che siano sottoposti alla disciplina civilistica dei corrispondenti titoli di credito non digitali devono ritenersi soggetti, agli effetti delle imposte sui redditi, al medesimo regime impositivo previsto a questi effetti per i predetti titoli non digitali. Per contro i security token, che non siano sottoposti alla disciplina civilistica dei corrispondenti titoli di credito non digitali, devono ritenersi soggetti, agli effetti delle imposte sui redditi, al regime impositivo previsto per i rapporti giuridici sottostanti.

Con il presente contributo si intende individuare il regime impositivo a cui sono soggetti agli effetti delle imposte sui redditi i redditi dei nuovi strumenti finanziari digitali e degli altri security token non conseguiti nell’esercizio d’impresa (o per brevità “da privati”). Pertanto, dopo aver ricostruito il regime civilistico di tali strumenti finanziari, si intende stabilire quale sia la qualificazione fiscale a questi medesimi effetti dei redditi che ne derivano, nonché il relativo regime di imposizione.

Il contenuto dei security token

I security token sono costituiti da token digitali e cioè da codici alfanumerici memorizzati sulla blockchain o su altro registro distribuito che sono fra di loro fungibili in quanto rappresentano diritti fra di loro identici di contenuto analogo a quella dei diritti accordati dai titoli e da altre attività finanziarie non digitali. Di conseguenza i predetti token possono essere rappresentativi tanto di diritti di partecipazione di natura economica, quale il diritto alla restituzione di capitale di rischio ed al pagamento di un utile o del diritto alla restituzione di capitale di debito ed al pagamento dei relativi interessi, quanto di diritti di natura amministrativa, quali i diritti di voto in determinati organi e su determinate materie.

Il regime giuridico dei security token

I security token sono qualificabili come criptoattività. Tali token rientrano infatti nella definizione di tale nozione fornita dal n. 5) del par. 1 dell’art. 3 del Regolamento 2023/1114 del Parlamento e del Consiglio UE del 31 maggio 2023, relativo ai mercati delle criptoattività, c.d. MICA, ove considera tale “una rappresentazione digitale di un valore o di un diritto che può essere trasferito e memorizzato elettronicamente, utilizzando la tecnologia a registro distribuito o una tecnologia analoga” in quanto costituiscono la rappresentazione digitale di un diritto che può essere trasferito elettronicamente mediante la tecnologia del registro distribuito.

Tuttavia già in forza dell’originaria formulazione del n. 15) dell’art. 4 della Direttiva 2014/65/UE del Parlamento e del Consiglio UE del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (“MIFID II”), i security token erano qualificabili come “strumenti finanziari” e soggetti alla relativa disciplina, laddove considera tale “qualsiasi strumento riportato nella sezione C dell’allegato I” e la sezione C vi include anche “i valori mobiliari”, che sono a loro volta definiti dal n. 44) del medesimo art. 4 come “categorie di valori … che possono essere negoziati nel mercato dei capitali”. I security token costituiscono infatti valori che possono essere negoziati su mercati che, pur non essendo regolamentati, sono configurabili come mercati dei capitali in quanto consentono l’incontro fra domanda ed offerta (1). Tant’è vero che già nel par. 3 del Preambolo dello schema di Regolamento MICA del 24 settembre 2020 era stato precisato che “alcune cripto-attività sono assimilabili a strumenti finanziari quali definiti nella Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio” e rientrano nell’ambito di applicazione degli atti legislativi dell’Unione vigenti in materia di servizi finanziari. Di conseguenza, il n. 5) del par. 1 dell’art. 4 della versione finale del Regolamento MICA ha espressamente escluso l’applicabilità di tale regolamento ai security token qualificabili come “strumenti finanziari” in quanto, secondo quanto si legge nel considerando 9, “gli atti legislativi dell’Unione in materia di servizi finanziari dovrebbero essere guidati dal principio ‘stessa attività, stessi rischi, stesse norme’ e dal principio della neutralità tecnologica”.

Senonché, “per consentire lo sviluppo delle cripto-attività che si qualificano come strumenti finanziari”, il Reg. UE 2022/858 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2022, sul Regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla Distributed Ledger Technology, (“DLT”), ha ora espressamente confermato la qualificabilità come “strumenti finanziari” anche delle attività finanziarie emesse negli Stati Membri della UE basati sulla DLT che presentino le relative caratteristiche. Ed infatti, se da un lato il n. 1 dell’art. 18 di tale Regolamento ha incluso nella definizione di “strumenti finanziari” di cui al punto 15) del par. 1 dell’ art. 4 della Direttiva 2014/65/UE “qualsiasi strumento riportato nella sezione C dell’allegato I, compresi gli strumenti emessi mediante tecnologia a registro distribuito”, dall’altro lato, il n. 2 del predetto articolo ha aggiunto nell’art. 93 il nuovo comma 3-bis, il quale statuisce che “entro il 23 marzo 2023 gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni necessarie per conformarsi all’art. 4, paragrafo 1, punto 15, e le comunicano alla Commissione” e “applicano tali disposizioni a decorrere dal 23 marzo 2023”.

Inoltre, il Reg. UE 2022/858 ha previsto la creazione di un “regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia a registro distribuito per testare tali infrastrutture di mercato DLT”, derogatorio di quello ordinario, che comprende le Multilateral Trading Facilities DLT (“MTF DLT”), che consentono di negoziare gli strumenti finanziari DLT, nonché Settlement Systems DLT (“SS DLT”), che consentono di regolare le transazioni “in strumenti finanziari DLT contro pagamento o consegna” e i Trading e Settlement Systems DLT (“TSS DLT”), che consentono, al tempo stesso, di negoziare gli strumenti finanziari DLT e di regolare poi le transazioni. Il par. 7 dell’art. 3 del Reg. UE 2022/858 ha stabilito che il Regolamento unionale n. 596/2014 si applica anche agli strumenti finanziari emessi tramite DLT ammessi alla negoziazione su una MTF DLT o un TSS DLT.

Per dare attuazione all’art. 18 del Reg. 2022/858 entro il prescritto termine del 23 marzo 2023 ed evitare l’apertura a carico dell’Italia di una procedura di infrazione, l’art. 31 del Decreto-Legge 17 marzo 2023, n. 25 (2) (“Decreto-Legge n. 25/2023”), ha così integrato il comma 2 dell’art. 1 del Testo Unico della Finanza (“T.U.F.”): “strumento finanziario si intende qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato I, compresi gli strumenti emessi mediante tecnologia a registro distribuito”, considerando espressamente quindi come “strumenti finanziari” anche nell’ordinamento italiano i security token che, pur se emessi in forma digitale, presentino le caratteristiche di tali strumenti.

Tuttavia i security token, sebbene siano qualificabili come “strumenti finanziari” secondo la Direttiva MIFID II, consistendo in un codice alfanumerico, non sembrano configurabili come titoli di credito secondo la legge italiana e le leggi estere che, come quella italiana, subordinano l’applicazione della disciplina dei titoli di credito all’incorporazione dei diritti in una res, proprio perché sono privi di una consistenza fisica e la titolarità e l’esercizio dei diritti che rappresentano è conferita esclusivamente dal possesso della chiave privata del wallet tramite cui possono essere detenuti e non del supporto materiale in cui la chiave privata è eventualmente detenuta.

Senonché, per introdurre “nell’ordinamento italiano … una cornice privatistica per l’emissione e la circolazione tramite il ricorso a tecnologie di tipo DLT” di strumenti finanziari digitali, secondo quanto si legge nella relativa relazione, il Decreto-Legge n. 25/2023 non ha disciplinato in via generale il regime giuridico dei security token che sono emessi e circolano sulla blockchain, ma ha introdotto un regime di emissione e circolazione digitale di una nuova tipologia di security token e cioè quella degli “strumenti finanziari digitali”, che si applica tanto a quelli negoziati negli MTF LTD o TSS LTD, in deroga all’obbligo di rappresentazione tramite scrittura contabile degli strumenti finanziari di cui all’art. 3 del Regolamento 909/2014 del 23 luglio 2014 (3), quanto a quelli non negoziati su tali mercati. La lett. c) dell’art. 1, comma 1, del predetto Decreto-legge definisce infatti come tali soltanto gli strumenti finanziari inclusi nell’elenco del comma 1 del successivo art. 2 e cioè azioni, obbligazioni, titoli di debito delle S.r.l. ed altri titoli di debito, ricevute di deposito, strumenti del mercato monetario e azioni e quote di OICR italiani e soltanto se siano “emessi su un registro per la circolazione digitale” ovverosia un registro distribuito “come definito dall’art. 2, punto 2), del Regolamento UE 2022/858 utilizzato per l’emissione di strumenti finanziari digitali ai sensi di tale Decreto-legge”. Pertanto gli strumenti finanziari così individuati presentano “forma digitale” proprio per il fatto che “esistono soltanto come scritturazioni” nel predetto “registro distribuito”.

Inoltre, l’art. 3 prevede che “l’emissione e il trasferimento degli strumenti finanziari digitali sono eseguiti attraverso scritturazioni su un registro per la circolazione digitale tenuto da un responsabile del registro, dal gestore di un SS DLT o TSS DLT, dalla Banca d’Italia o dal Ministero dell’Economia e delle Finanze o dagli ulteriori soggetti eventualmente individuati”. Di conseguenza, sono qualificabili come strumenti finanziari digitali soltanto quelli che siano oggetto di scritturazione sul registro distribuito per la circolazione digitale tenuto dal responsabile di tale registro.

I nuovi strumenti finanziari digitali di diritto italiano non sono stati espressamente qualificati come titoli di credito, ma è stata loro estesa la relativa disciplina, al pari di quanto già previsto per i titoli dematerializzati, a cui era già stata estesa tale disciplina prima dal D.Lgs. 25 giugno 1998, n. 213 e poi dagli artt. 83-quater ss. del T.U.F. In particolare, se da un lato l’art. 5 del Decreto-Legge n. 25/2023 stabilisce che la scritturazione sul registro per la circolazione digitale attribuisce il potere di disporne, la legittimazione piena ed esclusiva all’esercizio dei diritti, la non soggezione alle azioni altrui, ove sia eseguita in base a titolo idoneo ed in buona fede, e, infine, l’inopponibilità di eccezioni diverse da quelle personali e comuni ai prenditori, dall’altro lato, il precedente art. 4 del Decreto-legge prevedendo, fra l’altro, che i registri per la circolazione digitale: “a) assicurano l’integrità, l’autenticità, la non ripudiabilità … e la validità delle scritturazioni attestanti la titolarità e il trasferimento degli strumenti finanziari digitali e i relativi vincoli”. D’altro canto, l’art. 11 del Decreto-Legge n. 25/2023, laddove stabilisce che, nell’ipotesi in cui gli intermediari abbiano eseguito a proprio nome la scritturazione degli strumenti finanziari digitali sul registro, agendo in nome proprio, ma per conto altrui, “la legittimazione piena ed esclusiva all’esercizio dei diritti consegue alla registrazione sul conto aperto dal cliente presso l’intermediario”, con la conseguente applicazione della disciplina dei titoli dematerializzati di cui all’art. 83-quater e ss. del T.U.F., si limita soltanto a ricollegare l’applicazione della disciplina dei titoli di credito alle registrazioni nelle scritture contabili degli intermediari, invece che alle scritturazioni digitali sul registro.

Pertanto gli strumenti finanziari digitali, essendo stati assoggettati, al pari dei titoli dematerializzati, alla disciplina giuridica dei titoli di credito, non possono che ritenersi giuridicamente qualificabili come tali.

Senonché, per quanto attiene ai nuovi strumenti finanziari digitali, stante il loro assoggettamento alla disciplina appena individuata, la titolarità e l’esercizio dei diritti relativi a tali strumenti non sembrano attribuiti dal controllo della chiave privata, bensì dalle scritturazioni digitali nel registro ovvero dalle registrazioni dei conti nelle scritture contabili degli intermediari. Con la conseguenza che tale chiave è degradata a semplice strumento di autenticazione di colui che risulta titolare degli strumenti finanziari digitali dalle scritturazioni del registro. Il comma 1 dell’art. 18 del Decreto-Legge n. 25/2023 sembra precludere l’emissione in Italia di security token non destinati alla negoziazione su MTS o TSS LTD in difformità dalle prescrizioni dettate dal predetto Decreto-legge, laddove stabilisce che “l’emissione di strumenti finanziari digitali è consentita solo su registri tenuti da responsabili iscritti nell’elenco previsto all’art. 19”.

Qualificazione e determinazione per i privati dei proventi degli strumenti finanziari digitali

Ricostruito il regime civilistico a cui sono attualmente soggetti i security token, si può ora passare a individuare la qualificazione agli effetti fiscali dei relativi proventi. A questo fine sarà però necessario svolgere un discorso distinto per gli strumenti finanziari digitali e per gli altri security token, essendo il loro regime giuridico difforme.

SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Qualificazione dei redditi degli strumenti finanziari digitali
Nei confronti dei privati, i redditi degli strumenti finanziari digitali, pur avendo tali strumenti una forma digitale, non possono ritenersi imponibili come redditi diversi da cripto-attività. Tali strumenti presentano, infatti, la medesima sostanza giuridica dei corrispondenti titoli di credito non digitali, posto che gli strumenti finanziari digitali sono costituiti dalle fattispecie tipiche di titoli di credito incluse nell’elenco dell’art. 2 del D.L. n. 25/2023, che, pur essendo emessi in forma digitale, sono soggetti alla relativa disciplina.

Innanzitutto, i redditi degli strumenti finanziari digitali non conseguiti nell’esercizio d’impresa, pur avendo tali strumenti una forma digitale, non possono ritenersi qualificabili come redditi diversi ai sensi della nuova lett. c-sexies) dell’art. 67 del T.U.I.R. e determinabili ai sensi del comma 9-bis dell’art. 68 del T.U.I.R. (4). Tali strumenti presentano infatti la medesima sostanza giuridica dei corrispondenti titoli di credito non digitali, posto che, come si è visto, gli strumenti finanziari digitali sono costituiti dalle fattispecie tipiche di titoli di credito incluse nell’elenco dell’art. 2 del Decreto Legge n. 25/2023, che, pur essendo emessi in forma digitale, sono soggetti alla relativa disciplina. D’altro canto, la normativa in materia di fiscalità finanziaria dei privati, individuando la manifestazione di capacità economica da colpire con l’imposta sulla base degli effetti giuridici prodotti dai rapporti da loro instaurati, non può che far discendere il regime fiscale delle attività finanziarie dalla loro sostanza giuridica e non quindi dalla loro forma digitale di emissione. Pertanto, i redditi degli strumenti finanziari digitali devono ritenersi soggetti al regime fiscale previsto per i corrispondenti titoli non digitali.

Quanto appena rilevato comporta che i redditi di tali strumenti finanziari sono qualificabili come redditi di capitale, ai sensi della lett. b) dell’art. 44 del T.U.I.R., nel caso in cui siano rappresentativi di obbligazioni o titoli similari, nonché da titoli diversi da obbligazioni, azioni e titoli similari, ai sensi della lett. e) e f), nel caso in cui siano rappresentativi, rispettivamente, di rapporti di partecipazione al capitale o al patrimonio di soggetti IRES o di associazione in partecipazione o cointeressenza e, infine, ai sensi della lett. g), nel caso in cui siano rappresentativi di quote di OICR e sono determinabili con i criteri di cui all’art. 45 e ss. del T.U.I.R. Specularmente, i redditi degli strumenti finanziari digitali sono qualificabili come redditi diversi di natura finanziaria ai sensi delle lett. c) e c-bis) dell’ art 67 del T.U.I.R., nel caso in cui siano rappresentativi di rapporti di partecipazione al capitale o al patrimonio di soggetti IRES o di rapporti di associazione in partecipazione o cointeressenza, e ai sensi della lett. c-ter), nel caso in cui siano rappresentativi di titoli di credito o di quote di “organismi di investimento collettivo” e sono determinabili con i criteri di cui al comma 4 e ss. dell’art. 68 del T.U.I.R.

In questo senso si è espressa anche la relazione illustrativa del disegno di Legge n. 605 di conversione del Decreto-Legge n. 25/2023, laddove recita, con riferimento all’art. 3, che “resta ferma l’applicazione, ai fini di imposizione fiscale, della medesima disciplina prevista per i corrispondenti strumenti finanziari non emessi in forma digitale” e, con riferimento all’art. 8, che “restano ferme la disciplina impositiva e le modalità di applicazione della stessa prevista per i corrispondenti strumenti finanziari non emessi in forma digitale”.

SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Security token emessi da soggetti esteri
I security token emessi da soggetti esteri che, pur essendo soggetti alla legge estera, sono sottoposti ad una disciplina estera corrispondente a quella italiana degli strumenti finanziari digitali italiani, e sono quindi soggetti sulla base di tale disciplina al regime civilistico dei corrispondenti titoli di credito non digitali, nei confronti dei privati devono ritenersi soggetti, agli effetti delle imposte sui redditi, al pari degli strumenti digitali italiani, al regime impositivo previsto per tali titoli di credito. La normativa che disciplina la fiscalità finanziaria dei privati, infatti, individuando la manifestazione di capacità economica da colpire con l’imposta sulla base degli effetti giuridici dei rapporti da loro instaurati, deve ritenersi applicabile anche agli strumenti finanziari di diritto estero soggetti ad un regime civilistico analogo a quello italiano, in quanto tale normativa non può che riservare lo stesso regime fiscale a parità di effetti giuridici.

Questa indicazione è stata sostanzialmente recepita anche dall’Agenzia delle entrate nel par. 1.3. della circolare n. 30/E/2023, la quale ha precisato che “i nuovi strumenti finanziari digitali, essendo stati assoggettati alla disciplina dei corrispondenti titoli di credito e degli altri strumenti finanziari emessi in forma non digitale, devono ritenersi soggetti al relativo regime fiscale”, richiamando la predetta relazione illustrativa e ha quindi concluso che “ai redditi derivanti dagli strumenti finanziari digitali si applicano le disposizioni sui redditi di capitale di cui all’art. 44 del T.U.I.R. e sui redditi diversi di natura finanziaria di cui all’art. 67, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del medesimo Testo Unico”, non trovando applicazione “con riferimento a tali strumenti … la citata lettera c-sexies)”.

Senonché i redditi dei nuovi strumenti finanziari digitali, essendo sempre soggetti alla disciplina dei titoli di credito, devono ritenersi riconducibili nelle lett. c-) c-bis) e c-ter) dell’art. 67 del T.U.I.R. e non anche quindi nella fattispecie residuale della successiva lett. c-quinquies).

Inoltre, i security token emessi da soggetti esteri che, pur essendo soggetti alla legge estera ai sensi dell’art. 59 delle disposizioni di diritto internazionale privato, laddove statuisce che i titoli di credito diversi da quelli cambiari “sono regolati dalla legge dello Stato in cui il titolo è stato emesso”, sono sottoposti ad una disciplina estera corrispondente a quella italiana degli strumenti finanziari digitali italiani, e sono quindi soggetti sulla base di tale disciplina al regime civilistico dei corrispondenti titoli di credito non digitali, nei confronti dei privati devono coerentemente ritenersi soggetti agli effetti delle imposte sui redditi, al pari degli strumenti digitali italiani, al regime impositivo previsto per tali titoli di credito. Come si è visto, infatti, la normativa che disciplina la fiscalità finanziaria dei privati, individuando la manifestazione di capacità economica da colpire con l’imposta sulla base degli effetti giuridici dei rapporti da loro instaurati, deve ritenersi applicabile anche agli strumenti finanziari di diritto estero che siano soggetti ad un regime civilistico analogo a quello italiano in quanto tale normativa non può che riservare lo stesso regime fiscale a parità di effetti giuridici.

Qualificazione e determinazione per i privati dei proventi degli altri security token

Anche i redditi non conseguiti nell’esercizio d’impresa di security token che non siano soggetti alla disciplina italiana degli strumenti finanziari digitali o ad un’analoga disciplina di diritto estero, ma siano considerati come strumenti finanziari dal comma 2 dell’art. 1 T.U.F. non possono ritenersi qualificabili come redditi diversi ai sensi della nuova lett. c-sexies) dell’art. 67 del T.U.I.R. e determinabili ai sensi del comma 9-bis dell’art. 68 del T.U.I.R. Tali token, pur avendo forma digitale, presentano la sostanza giuridica di strumenti finanziari e agli effetti fiscali non può che assumere rilevanza siffatta sostanza giuridica.

Tuttavia nei confronti dei privati i redditi dei security token, a differenza di quelli degli strumenti finanziari digitali, non possono ritenersi soggetti al regime impositivo previsto per i redditi dei corrispondenti titoli di credito non digitali. Ed infatti essi, essendo privi di consistenza fisica, non risultano qualificabili come titoli di credito. D’altro canto, la loro qualificazione come “strumenti finanziari” ad opera del comma 2 dell’art. 1 del T.U.F. e del n. 15) dell’art. 4 della Direttiva MIFID non è di per sé sufficiente ad estendergli il regime impositivo previsto per i titoli di credito in quanto la normativa in materia di fiscalità finanziaria dei privati utilizza il termine di “titoli” nella sua accezione giuridica propria, secondo quanto si desume dalla relazione illustrativa dell’art. 81 del T.U.I.R., ora trasfuso nell’art. 67, ove si legge che con il “generico riferimento ai ‘titoli’ si è inteso assoggettare ad imposizione fra i redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione di ogni tipo di titolo di natura non partecipativa, esclusi soltanto, come si è detto, i titoli rappresentativi delle merci”, mentre utilizza quello di “strumenti finanziari” per indicare tutte le altre attività finanziarie e quindi anche quelle diverse dai titoli di credito.

Inoltre, i redditi dei security token non sembrano neppure potersi ritenere soggetti al regime impositivo dei redditi dei certificati di massa, sempre perché, in quanto privi di consistenza fisica, non sembrano neppure qualificabili ex se come “certificati”, intendendosi per tali soltanto i rapporti o crediti finanziari che siano rappresentati da “documenti”, stando a quanto emerge non solo dal significato letterale di tale termine, ma anche dalla Relazione illustrativa dell’art. 81 del T.U.I.R., ora trasfuso nell’art. 67 del T.U.I.R., ove recita che “… si sono equiparati ai titoli veri e propri anche i certificati di massa e cioè quei documenti offerti in sottoscrizione al pubblico, che pur essendo rappresentativi di crediti, non costituiscono titoli”(5). Pertanto, nei confronti dei privati il regime dei security token non soggetti al regime civilistico degli strumenti finanziari digitali di diritto italiano o ad analogo regime di diritto estero ovvero ancora non qualificabili come “documenti” deve essere desunto agli effetti delle imposte sui redditi dalle disposizioni che disciplinano il regime impositivo dei rapporti finanziari sottostanti.

Del resto, la scelta del legislatore di riservare un regime diverso e più favorevole ai redditi degli strumenti di debito rappresentati da titoli di credito o da certificati di massa non conseguiti nell’esercizio d’impresa risponde alla finalità di indirizzare gli investimenti verso strumenti di debito soggetti ad una disciplina in tema di circolazione e legittimazione che offra maggiori garanzie di certezza e sicurezza ai loro acquirenti.

Partendo da tale assunto, può concludersi che i redditi dei security token sono qualificabili come redditi di capitale, ai sensi della lett. a) ovvero della lett. h) dell’art. 44, comma 1, del T.U.I.R., nel caso in cui siano rappresentativi di un rapporto di mutuo o altri rapporti di credito, ai sensi della lett. e) ed f), nel caso in cui siano rappresentativi, rispettivamente, di un rapporto di partecipazione al capitale o al patrimonio di soggetti IRES o di rapporti di associazione in partecipazione o cointeressenza, e, infine, ai sensi della lett. g) o della lett. h), nel caso in cui siano rappresentativi di quote di organismi d’investimento collettivi.

Coerentemente, le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso dei security token così individuati devono ritenersi qualificabili come redditi diversi di natura finanziaria ai sensi delle lett. c), c-bis) e c-ter), nel caso in cui siano rappresentativi di partecipazioni al capitale o al patrimonio o di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo ovvero della lett. c-quinquies), nel caso in cui siano rappresentativi di crediti pecuniari, altri contratti produttivi di redditi di capitale o altri strumenti finanziari.

Di questo avviso sembra essere anche l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 30/E/2023 in quanto, dopo aver precisato nel par. 2, rubricato “Regime fiscale ante Legge bilancio 2023” “relativamente ai security token in quanto rappresentativi di un rapporto produttivo di redditi di capitale”, che “a) eventuali proventi derivanti da tali rapporti costituiscono redditi di capitale ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera h), del T.U.I.R. e ai sensi del quinto comma dell’art. 26 del D.P.R. n. 600, se percepiti da residenti sono soggetti a ritenuta a titolo di acconto, mentre se percepiti da non residenti sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26 per cento; b) la plusvalenza realizzata a seguito della cessione a titolo oneroso ovvero della chiusura del rapporto costituisce un reddito diverso ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera c-quinquies), del T.U.I.R.”, nel par. 3 rubricato “Regime fiscale post Legge di bilancio 2023” ha concluso che “non rientrano, invece, nell’ambito di applicazione della lettera c-sexies) del comma 1 del citato art. 67 del T.U.I.R., i redditi derivanti dai c.d. investment token (o security token) che corrispondano ad uno strumento finanziario previsto dalla MiFID II, in quanto tali token devono essere considerati a tutti gli effetti strumenti finanziari, indipendentemente dalla circostanza che siano rappresentati digitalmente”.

SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Qualificazione dei redditi dei security token
I redditi dei security token sono qualificabili come redditi di capitale, nel caso in cui siano rappresentativi di un rapporto di mutuo o altri rapporti di credito, nel caso in cui siano rappresentativi, rispettivamente, di un rapporto di partecipazione al capitale o al patrimonio di soggetti IRES o di rapporti di associazione in partecipazione o cointeressenza e, infine, nel caso in cui siano rappresentativi delle quote di organismi di investimento collettivi.

Il regime impositivo per i privati dei redditi di strumenti finanziari digitali e security token

I redditi degli strumenti finanziari digitali non conseguiti nell’esercizio d’impresa qualificabili come redditi di capitale dovrebbero essere soggetti ai medesimi regimi impositivi a cui sono soggetti i proventi dei corrispondenti titoli di credito non digitali e, quindi, gli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari emessi dallo Stato, enti pubblici ed equiparati e grandi emittenti residenti, all’imposta sostitutiva di cui all’art. 2 del D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 (“D.Lgs. n. 239/1996”) ovvero alla ritenuta di cui al comma 1 dell’art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (“D.P.R. n. 600/1973”), gli utili derivanti dalla partecipazione a soggetti IRES ovvero da strumenti finanziari similari alle azioni, alla ritenuta di cui al comma 1 dell’art. 27 del D.P.R. n. 600/1973 ovvero all’imposta sostitutiva di cui all’art. 27- ter del D.P.R. n. 600/1973, i proventi dei titoli atipici, alla ritenuta d’imposta di cui all’art. 5 del Decreto-Legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito dalla Legge 25 novembre 1983, n. 649 e, infine, i proventi degli OICR, alla ritenuta di cui all’art. 26-quinquies) del D.P.R. n. 600/1973 ed all’art. 7 del Decreto-Legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito dalla Legge 23 novembre 2001, n. 410 (“Decreto-Legge n. 351/2001”).

Poiché finora non è stata introdotta alcuna modifica alle disposizioni appena richiamate per gli strumenti finanziari digitali, essendo il Decreto-Legge n. 25/2023 privo di disposizioni fiscali, rimane da capire se anche per tali strumenti possano essere integrati i presupposti a cui ne è subordinata l’applicazione. Tale questione ha ragione di porsi soprattutto per le imposte sostitutive in quanto la loro applicazione, a differenza delle ritenute, è subordinata a presupposti ulteriori rispetto a quello del mero intervento nel pagamento dei redditi.

Per quanto attiene innanzitutto all’imposta sostitutiva prevista dal D.Lgs. n. 239/1996 il presupposto del deposito in custodia ed in amministrazione dei titoli presso gli intermediari abilitati a cui è subordinata l’applicazione di tale imposta ai sensi dell’art. 2 di tale D.Lgs., nonché dell’esenzione per i non residenti ai sensi dell’art. 6 ss. di tale D.Lgs., così come interpretato dall’AdE (6), sembra integrato anche dal deposito in custodia ed amministrazione degli strumenti finanziari digitali presso tali intermediari, tanto nel caso in cui siano scritturati nel registro distribuito direttamente a nome dei clienti, quanto nel caso in cui lo siano a nome degli intermediari che agiscano in nome proprio, ma per conto dei clienti. Ed infatti l’art. 11 del Decreto-Legge n. 25/2023, stabilendo che, in tal caso, la registrazione di tali strumenti finanziari digitali sul conto dei clienti attribuisce loro tutti i diritti spettanti ai titolari di titoli dematerializzati, presuppone che siano costoro ne abbiano la titolarità giuridica.

Per contro, è piuttosto dubbio se possa ritenersi integrato il presupposto a cui è subordinata l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui dividendi e sui proventi degli OICR e cioè quello dell’immissione dei titoli in un sistema di deposito accentrato gestito da una società di gestione accentrata autorizzata nel caso in cui gli strumenti finanziari siano scritturati nel registro per la circolazione digitale non solo perché tale scritturazione non comporta la loro immissione nel sistema di deposito accentrato così individuato, ma anche perché il comma 2 dell’art. 3 del Decreto-Legge n. 25/2023 ha escluso l’obbligo di gestione accentrata per tali strumenti finanziari.

I redditi dei security token qualificabili come redditi di capitale dovrebbero essere soggetti al regime di imposizione a cui sono soggetti i redditi dei rapporti da loro rappresentati e, quindi, nel caso in cui tali rapporti rientrino nelle lett. a) e h) dell’art. 44, comma 1, del T.U.I.R., alla ritenuta d’acconto o d’imposta di cui al comma 5 dell’art. 26 del D.P.R. n. 600/1973, nel caso in cui rientrino nelle lett. e) o f), alla ritenuta di cui al comma 1 dell’art. 27 del D.P.R. n. 600/1973 e, infine, nel caso in cui rientrino nella lett. g), alla ritenuta di cui all’art. 26- quinquies) del D.P.R. n. 600/1973 all’art. 7 del Decreto-Legge n. 351/2001.

I redditi diversi di natura finanziaria realizzati mediante strumenti finanziari digitali e security token, essendo riconducibili rispettivamente nelle lett. da c), c-bis) e c-ter) dell’art. 67 del T.U.I.R. ovvero nelle lett. c), c-bis), c-ter) e c-quinquies) sono soggetti ad imposta sostitutiva del 26%, che deve essere applicata dai loro possessori direttamente nella dichiarazione dei redditi ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461 (“D.Lgs. n. 461/1997”) ovvero dagli intermediari abilitati, nel caso in cui costoro optino per il regime del risparmio amministrato ai sensi dell’art. 6 o per il risparmio gestito ai sensi dell’art. 7 del predetto D.Lgs.

Tuttavia, in tal caso, rientrano fra i predetti intermediari soltanto quelli finanziari e cioè banche, SIM, società fiduciarie, Poste Italiane, SGR, residenti in Italia o non residenti con stabile organizzazione in Italia in quanto il nuovo comma 1-bis dell’art. 6 del D.Lgs. 461/1997 ha ammesso l’esercizio dell’opzione solo per il risparmio amministrato e limitatamente a “plusvalenze e … altri proventi di cui alla lettera c-sexies)” nei confronti degli “operatori non finanziari” di cui alle lett. i) e i-bis) del comma 5 dell’art. 3 del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 ovverosia i “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale” di cui alla lett. ff) del predetto D.Lgs., nonché i “prestatori di servizi di portafoglio digitale” che sono a loro volta costituiti dai “servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti”.

Inoltre, il presupposto a cui è subordinato l’esercizio dell’opzione per il risparmio amministrato per i redditi di cui alle lett. da c) a c-ter) dell’art. 67 del T.U.I.R. e cioè che i titoli, quote o certificati costituiscano oggetto di un rapporto di custodia o di amministrazione (7) o altro stabile rapporto con intermediari finanziari (8) sembra potersi ritenere integrato per quanto attiene agli strumenti finanziari digitali dal loro conferimento in custodia ovvero in amministrazione agli intermediari da parte dei clienti, tanto nel caso in cui siano scritturati nel registro distribuito direttamente a loro nome, quanto nel caso in cui lo siano invece a nome degli intermediari che agiscano in nome proprio, ma siano registrati a nome dei clienti nella contabilità di tali intermediari. Per contro, sembra da escludere che tale presupposto sia integrato nel caso in cui sia conferito agli intermediari soltanto il controllo della chiave privata, anche se il n. 17) dell’art. 3, comma 1 del Regolamento MICA definisce espressamente come “custodia e amministrazione di cripto-attività per conto di clienti” anche il “controllo, per conto di clienti, delle cripto-attività o dei mezzi di accesso a tali cripto-attività, se del caso sotto forma di chiavi crittografiche private”, perché è la scritturazione sul registro ovvero nelle scritture contabili degli intermediari che attribuisce la titolarità e l’esercizio dei diritti relativi agli strumenti finanziari e la chiave privata sembra degradata a semplice strumento di identificazione del loro titolare. Inoltre, per i security token il presupposto dell’esistenza di uno stabile rapporto con l’intermediario può invece ritenersi integrato non solo dal controllo di tali token tramite il trasferimento della chiave privata, ma anche dal controllo dei mezzi di accesso a tali cripto-attività, quando, come di regola avviene, la chiave privata attribuisce la titolarità e l’esercizio dei relativi diritti.

Infine, il duplice presupposto a cui è subordinato l’esercizio dell’opzione per il risparmio amministrato per i redditi di cui alla successiva lett. c-quinquies) e cioè che gli intermediari intervengano nei rapporti o nelle cessioni come “intermediari professionali o come controparti” in quanto provvedano alla riscossione dei proventi (9) ed il contribuente intrattenga con loro “rapporti di custodia, amministrazione, deposito”(10) sembra soddisfatto dal conferimento del mandato ad incassarne i proventi e della custodia della chiave privata ovvero dei mezzi di accesso a tali cripto-attività.

Per quanto attiene alla determinazione da parte degli intermediari dei redditi diversi di cui alle lett. da c) a c-quinquies) dell’art. 67 del T.U.I.R. realizzati mediante strumenti finanziari digitali o security token da assoggettare ad imposta sostitutiva sembrano applicabili le medesime disposizioni dettate per i redditi diversi di natura finanziaria realizzati mediante strumenti finanziari non digitali dal comma 3 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 461/1997, ivi compresa la disposizione secondo cui è onere del contribuente comunicare “al soggetto incaricato dell’applicazione dell’imposta i dati e le informazioni richieste, consegnando, anche in copia, la relativa documentazione, o, in mancanza, una dichiarazione sostitutiva in cui attesti i predetti dati ed informazioni”. Pertanto per i predetti strumenti finanziari non può ritenersi operante la preclusione all’utilizzo della dichiarazione sostitutiva sancito dal quarto periodo di tale comma in quanto tale preclusione è dettata solo per “per le cripto-attività di cui all’art. 67, comma 1, lettera c-sexies)”.

Note:

(1) Così Commissione UE, Q&As published by the Commission on MiFID Directive 2004/39/CE

(2) Convertito, con modificazioni, dalla Legge 10 maggio 2023, n. 52.

(3) Così Consob, Audizione Senato, Decreto-Legge n. 25/2023

(4) L’inclusione nella lett. c-sexies) anche dei redditi delle cripto-attività rappresentative di diritti non risulta condivisibile non solo perché il regime di tali redditi non può che dipendere dalla sostanza giuridica dei diritti sottostanti, ma anche perché potrebbe legittimare l’imponibilità di redditi altrimenti non imponibili solo perché siano rappresentati in forma digitale in violazione del principio di neutralità della tecnologia. In senso critico si è espressa anche M. Pierro, “L’origine europea della nozione di cripto-attività e la scelta del legislatore nazionale”, in questa Rivista, pag. 382.

(5) Nello stesso senso anche l’Amministrazione finanziaria nella C.M. 21 giugno 1998, n.65.

(6) Risposta n. 108/2023.

(7) L’AdE ha confermato che i contribuenti possano esercitare l’opzione per il risparmio amministrato anche se hanno conferito all’intermediario il solo mandato in amministrazione degli strumenti finanziari, senza assumerne anche la custodia (risposta n. 578/2022, risoluzione n. 23/E/2012 e risoluzione n. 61/E/2011).

(8) L’AdE, con la circolare 15 luglio 2011, n. 133/E, ha precisato che “l’opzione per l’applicazione del regime del risparmio amministrato è consentita anche in presenza di uno stabile rapporto con l’intermediario pur in assenza di formale contratto di custodia o di amministrazione” (conforme risoluzione 19/ novembre 2014, n. 101/E).

(9) Risoluzione 8 marzo 2012, n. 23/E.

(10) L’AdE è dell’avviso che tale secondo presupposto coincida con quello a cui è subordinata l’opzione per il risparmio amministrato per i redditi delle lett. c), c-bis) e c-ter) dell’art. 67 del T.U.I.R. (risoluzione n. 71/E/2016).

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