La responsabilità dei cessionari per l’utilizzo dei bonus edilizi

La responsabilità dei cessionari per l’utilizzo dei bonus edilizi

Corr. Trib. 8-9/2022, pagg. 777 e ss.

I crediti d’imposta relativi ai bonus fiscali edilizi, quantomeno nel caso in cui siano stati acquistati da cessionari in buona fede, non possono costituire oggetto di recupero in quanto inesistenti e pertanto il loro utilizzo in compensazione è legittimo. Conseguentemente è invece illegittima non solo l’eventuale contestazione di indebita compensazione di tali crediti da parte dell’Agenzia delle entrate, ma anche il loro sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., per il fatto che il loro utilizzo in compensazione non può aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati.

Le frodi relative ai bonus fiscali edilizi si stanno rivelando come fra le più gravi frodi fiscali perpetrate in Italia negli ultimi anni. Secondo il Comandante della Guardia di Finanza l’attività investigativa ha consentito di accertare fino a giugno 2022 la richiesta di detrazioni d’imposta non spettanti per un importo pari a ben 5,6 miliardi di euro, di cui 2 miliardi monetizzati, a fronte di investimenti ammessi alla detrazione per l’importo di 35,2 miliardi di euro e di una spesa per lo Stato di 38,73 milioni di euro. La ragione di tali frodi è sicuramente individuabile nell’omessa previsione da parte del legislatore, almeno nella prima fase di applicazione, di obblighi certificazione ed asseverazione a carico dei beneficiari e di obblighi e poteri di controllo e blocco preventivo a carico dell’Agenzia delle entrate (“AdE”) e degli intermediari. Non è un caso, infatti, che la maggioranza delle frodi ha avuto ad oggetto le detrazioni d’imposta relative agli interventi di rifacimento delle facciate degli edifici, che erano riconosciute per un importo pari al 90% delle spese di tali interventi senza bisogno del rilascio del visto di conformità della documentazione e dell’asseverazione tecnica e di congruità e non era previsto alcun controllo preventivo per il loro riconoscimento ai beneficiari.

Senonché, poiché si è rivelato problematico recuperare le detrazioni d’imposta a carico degli autori delle frodi, l’AdE sembra intenzionata ad eseguire il recupero dei crediti d’imposta a carico dei cessionari che non avrebbero prestato la diligenza asseritamente richiesta in sede di acquisto di tali crediti, pur essendo in buona fede.

In particolare, nel corso dell’Audizione del 10 febbraio 2022 il Direttore dell’AdE ha sì confermato che “nell’ipotesi in cui il credito d’imposta originariamente ceduto venga disconosciuto dall’Agenzia, quest’ultima recupera il credito d’imposta dal contribuente che lo ha indebitamente ceduto, fermo restando il diritto del cessionario in buona fede di potersene avvalere in sede di versamento delle proprie imposte”. Tuttavia egli già nel corso di tale audizione, dopo aver rilevato che talune Procure della Repubblica hanno disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p. a carico dei cessionari che hanno acquisito nel cassetto fiscale la disponibilità di crediti d’imposta asseritamente inesistenti il sequestro preventivo di tali crediti, nonché di quelli ceduti a terzi, anche se di buona fede, sulla base dell’assunto che la disponibilità di tali crediti ovvero il loro utilizzo in compensazione potrebbe aggravare o protrarre le conseguenze dannose di reati già commessi ovvero agevolare la commissione di altri reati, ha precisato che, “in caso di sequestro di crediti inesistenti da parte dell’Autorità giudiziaria, in quanto ‘cose pertinenti al reato’, tali crediti diventano inutilizzabili dal terzo cessionario, anche in buona fede, al quale pertanto non resta che rivalersi nei confronti del cedente”.

Inoltre, l’AdE a ridosso della pubblicazione dei primi provvedimenti di dissequestro dei crediti fiscali acquistati da cessionari di buona fede per l’insussistenza dei relativi presupposti nella circolare 23 giugno 2022, n. 23/E, dopo esser tornata a ribadire che, “in presenza di concorso nella violazione, oltre all’applicazione dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, resta ferma anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante e dei relativi interessi”, ha apoditticamente precisato che “la predetta responsabilità in solido del fornitore e dei cessionari va individuata nelle … ipotesi in cui il cessionario abbia omesso il ricorso alla specifica diligenza richiesta, attraverso la quale sarebbe stato possibile evitare la realizzazione della violazione e l’immissione sul mercato di liquidità destinata all’arricchimento dei promotori dell’illecito” e che “il livello di diligenza richiesta dipende dalla natura del cessionario”.

Infine, l’AdE ha sorprendentemente tratto dalla precisazione così formulata due ulteriori illazioni. In particolare, la prima è che i cessionari dovrebbero “sempre valutare al momento dell’utilizzo in compensazione dei crediti fiscali acquisiti, di aver preventivamente operato con la necessaria diligenza all’atto dell’acquisto del credito”, sebbene li abbiano acquistati in buona fede, “con speciale riguardo inter alia a quelli oggetto di sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria”. Pertanto “… i crediti illegittimamente compensati sono oggetto di recupero sulla base delle disposizioni previste dall’art. 121 del Decreto Rilancio”. La seconda è che “l’eventuale dissequestro di crediti, acquistati in violazione dei principi sopra illustrati, da parte dell’Autorità giudiziaria (ad esempio, in ragione dell’assenza di periculum in mora in capo al cessionario) non costituisce ex se circostanza idonea a legittimare il loro utilizzo in compensazione”, cosicché “in caso di utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti, interessati dal provvedimento di dissequestro, gli organi di controllo procederanno parimenti alla contestazione delle violazioni e alle conseguenti comunicazioni all’Autorità giudiziaria per le indebite compensazioni effettuate”.

L’interrogativo che occorre porsi è se i crediti d’imposta che i cessionari o fornitori abbiano acquistato in buona fede, laddove derivino dall’utilizzo di detrazioni non spettanti, possano essere oggetto di recupero ai sensi dell’art.121 in quanto inesistenti e pertanto l’indebita compensazione dei predetti crediti possa essere colpita con le sanzioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997 e dall’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000. Ebbene, nella trattazione che segue, illustrerò i più che validi motivi che inducono a risolvere tale interrogativo in senso negativo essendo la spettanza del credito d’imposta ai cessionari indipendente dalla spettanza della detrazione d’imposta a favore dei beneficiari cedenti.

Il credito d’imposta è attribuito ai cessionari e ai fornitori a titolo originario

Innanzitutto il riconoscimento del credito d’imposta ai cessionari o ai fornitori non può dipendere dalla spettanza della detrazione d’imposta ai beneficiari per il fatto che non trova fonte nel trasferimento a titolo derivativo a loro favore da parte dei beneficiari della detrazione d’imposta, bensì nell’utilizzo di tale detrazione per l’attribuzione a titolo originario di un credito d’imposta o di uno sconto sul corrispettivo a favore dei cessionari e fornitori. Ed infatti i beneficiari, esercitando l’opzione per la cessione o per lo sconto sul corrispettivo non provvedono a trasferire il proprio diritto ai cessionari o fornitori, ma integrano il presupposto per l’attribuzione a favore di questi ultimi di un diritto di diversa natura.

In particolare, le disposizioni che disciplinano le diverse tipologie di bonus fiscali edilizi riconoscono ai beneficiari che abbiano eseguito gli interventi agevolati la spettanza di una mera “detrazione d’imposta” utilizzabile a compensazione esclusivamente dell’IRPEF o dell’IRES lorda da loro dovuta fino a concorrenza del relativo importo e quindi soltanto di una riduzione d’imposta come tale giammai cedibile a terzi. Per contro, il comma 1 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020, nel caso di esercizio dell’opzione per la cessione o per lo sconto, riconosce ai cessionari o ai fornitori la spettanza di un “credito d’imposta di importo pari alla detrazione” che non solo è cedibile, anche più volte, ma era ed è da loro utilizzabile a compensazione non solo dell’IRPEF o dell’IRES lorda dovuta, ma anche di ogni altro tributo, contributo ed entrata pubblica senza limiti di importo ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997. Di conseguenza, le disposizioni appena richiamate configurano una vicenda estintivo-costitutiva e non derivativo-traslativa in quanto prevedono l’estinzione della detrazione d’imposta per effetto del suo utilizzo per la cessione di un credito o dello sconto e l’attribuzione ai cessionari o ai fornitori di tale nuovo credito a titolo originario.

L’attribuzione del credito d’imposta a cessionari o fornitori trova fonte in una duplice comunicazione all’AdE

Proprio per la ragione così individuata l’art. 121 del D.L. n. 34/2020 non ricollega l’attribuzione del credito d’imposta ai cessionari o fornitori al contratto concluso fra le parti, bensì ad una duplice dichiarazione di volontà unilaterale indirizzata allo stesso debitore e cioè alla comunicazione all’AdE da parte dei beneficiari cedenti dell’esercizio dell’opzione per la cessione o per lo sconto e, da parte dei cessionari o fornitori, della loro accettazione.

In particolare, il comma 1 del predetto articolo è inequivoco nel subordinare all’esercizio in via telematica di un’opzione “per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare” e cioè di ammontare pari alla detrazione d’imposta l’attribuzione del credito d’imposta ai cessionari e non ad un contratto concluso fra le parti. Stabilisce infatti tale disposizione che “i soggetti che sostengono … spese per gli interventi elencati al comma 2 possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente a) per un contributo sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto”, nonché “b) per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare…”, e che “con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate … sono definite le modalità attuative delle disposizioni di cui al presente articolo, comprese quelle relative all’esercizio delle opzioni, da effettuarsi in via telematica”.

D’altro canto, il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate dell’8 agosto 2020 e successive modifiche (“Provvedimento”), emanato in attuazione di tale disposizione, considera efficace nei confronti dell’AdE l’esercizio dell’opzione per la cessione di un credito d’imposta soltanto se l’esercizio di tale opzione le sia comunicato. Ed infatti se un lato il par. 4.1. di tale Provvedimento specifica che l’esercizio dell’opzione per la cessione o lo sconto deve essere “comunicato all’Agenzia delle entrate utilizzando il modello … denominato ‘Comunicazione dell’opzione’ … esclusivamente in via telematica”, non subordinando, quindi, l’esercizio di tale opzione alla previa conclusione di un accordo fra le parti, dall’altro lato, il successivo par. 4.9. statuisce che il “mancato invio della comunicazione nei termini e con le modalità previsti dal presente provvedimento rende l’opzione inefficace nei confronti dell’Agenzia delle entrate”. Di conseguenza, il contratto concluso fra le parti, in difetto dell’esercizio dell’opzione, risulta improduttivo di effetti traslativi per il fatto che, non risultando efficace nei confronti dell’AdE, rimane inefficace anche fra le parti, non essendo le detrazioni d’imposta giammai cedibili, stante la loro natura giuridica di mera riduzione dell’IRPEF e dell’IRES dovuta. D’altro canto il par. 5.2. del Provvedimento prevede in via speculare che “i cessionari e i fornitori sono tenuti preventivamente a confermare l’esercizio dell’opzione, esclusivamente con le funzionalità rese disponibili nell’area riservata del sito internet” dell’AdE.

Inoltre, tale Provvedimento ricollega diretti effetti giuridici nei confronti non solo delle parti, ma anche dell’AdE alle due dichiarazioni di volontà unilaterali così individuate posto che la prima comporta l’indisponibilità della detrazione d’imposta, mentre, la seconda l’attribuzione del credito d’imposta ai cessionari. In particolare, l’esercizio dell’opzione per la cessione rende indisponibile la detrazione d’imposta per i beneficiari e, al tempo stesso, visibile il credito d’imposta per i cessionari nella piattaforma cessione crediti. Nella Guida relativa all’utilizzo di tale piattaforma redatta dall’AdE è infatti precisato che “in caso di cessione comunicata per errore, anche se il cessionario non accetta il credito ricevuto, il cedente non può utilizzarlo in compensazione o cederlo ulteriormente”, poiché è necessario che “il cessionario rifiuti la cessione, attraverso l’apposita funzione della piattaforma, perché chi cede erroneamente il credito possa tornare a disporne” e che “i crediti ceduti sono visibili nella piattaforma del cessionario, che può accettarli o rifiutarli”. Per contro, l’accettazione dell’esercizio di tale opzione da eseguire sempre in via telematica comporta l’attribuzione ex lege al cessionario del diritto al credito d’imposta mediante il suo caricamento nel cassetto fiscale da parte della stessa AdE. Il par. 5.3. del Provvedimento recita infatti che “i cessionari e i fornitori sono tenuti preventivamente a confermare l’esercizio dell’opzione ‘ai fini di cui al punto 5.1’” e, quindi, ai fini dell’attribuzione di tali crediti e del loro l’utilizzo in compensazione e nella predetta Guida è precisato che “dopo l’accettazione” espressa con la modalità appena individuata “i crediti sono visibili anche nel cassetto fiscale del cessionario e del fornitore e possono essere utilizzati, da subito, in compensazione tramite Modello F24”. Pertanto è questa doppia dichiarazione di volontà unilaterale che comporta l’attribuzione ex lege ai cessionari o fornitori del credito d’imposta e quindi con il contratto di cessione i beneficiari, da un lato, ed i cessionari o fornitori, dall’altro, si limitano soltanto ad assumere, rispettivamente, i primi, l’obbligazione di realizzare i presupposti costitutivi della detrazione d’imposta e di esercitare l’opzione per la cessione o per lo sconto, mentre i secondi l’obbligazione di pagare il corrispettivo pattuito ovvero di accettare lo sconto sul corrispettivo.

SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Spettanza e utilizzabilità in compensazione del credito
Il credito d’imposta dei cessionari e dei fornitori si deve sempre considerare come spettante ed utilizzabile in compensazione quantomeno nel caso in cui sia stato acquistato in buona fede, anche se derivi dall’utilizzo di una detrazione non spettante. Questa scelta legislativa trova evidente giustificazione nell’esigenza di favorire non solo la circolazione dei crediti d’imposta, ma anche la creazione di un loro mercato secondario. Ed infatti, tale esigenza poteva essere conseguita soltanto qualora fosse resa certa l’utilizzabilità in compensazione di tali crediti, svincolando la loro spettanza dalla spettanza della detrazione d’imposta a favore dei beneficiari in quanto, diversamente, i terzi e soprattutto le società soggette a vigilanza prudenziale non avrebbero giammai non solo voluto, ma neppure potuto acquistare i crediti per il fatto che si sarebbero esposte ad un rischio imponderabile

I crediti d’imposta non sono recuperabili a carico dei cessionari o fornitori di buona fede

Ed ancora, proprio perché, come si è visto, ai cessionari o fornitori è riconosciuto un diritto diverso da quello dei beneficiari cedenti ed il riconoscimento di tale diritto non trova fonte in un contratto di cessione fra le parti, bensì nell’attribuzione ex lege di tale diritto a titolo originario per effetto dell’esercizio dell’opzione per la cessione o per lo sconto da parte dei beneficiari cedenti e della sua accettazione da parte dei cessionari o dei fornitori, l’art. 121 del D.L. n. 34/2020 non considera recuperabile il credito d’imposta attribuito ai cessionari o fornitori e, quindi, neppure nel caso in cui ai beneficiari cedenti non sarebbe spettata la detrazione. Ed, infatti, se, da un lato, il comma 5 di tale disposizione, stabilendo che, “qualora sia accertata la mancata integrazione, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante nei confronti dei soggetti di cui al comma 1” e cioè dei beneficiari, prevede che, nel caso in cui non siano integrati i presupposti del diritto alla detrazione d’imposta, possa essere recuperata esclusivamente tale detrazione a carico dei beneficiari cedenti, dall’altro lato, il comma 4, stabilendo che “i fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta”, prevede che i cessionari ed i fornitori rispondono sempre e soltanto per l’irregolare o indebito utilizzo del credito d’imposta e non per la non spettanza della detrazione d’imposta a favore dei beneficiari. La stessa AdE ha sempre escluso che il credito d’imposta sia recuperabile a carico dei cessionari o fornitori purché siano in buona fede, sebbene per la verità tale condizione non sia prevista né dalla legge, né dai relativi provvedimenti di attuazione. Ed infatti, essa nel par. 7 del Provvedimento di attuazione, dopo aver premesso che, “qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante, maggiorato di interessi e sanzioni, nei confronti dei beneficiari della detrazione di cui al punto 1.1”, ha precisato che “i fornitori e i cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto”, dall’altro lato, nella circolare 8 agosto 2020, n. 24/E, una volta ribadita quest’ultima precisazione, ha ulteriormente specificato che “se un soggetto acquisisce un credito d’imposta, ma durante i controlli dell’ENEA o dell’Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d’imposta”, confermando nuovamente la specificazione così fornita anche nella risposta 5.1.8. della circolare 22 dicembre 2020, n. 30/E.

Inoltre, l’AdE anche nella circolare n. 23/E/2022 ha nuovamente ribadito che “Il recupero dell’importo della detrazione non spettante è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario” e che “in base al comma 4 dell’art. 121, i fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto”.

Del resto, è chiaro che, se nel caso di utilizzo per la cessione da parte dei beneficiari di una detrazione non spettante l’AdE dovesse essere legittimata a recuperare tanto tale detrazione a carico dei beneficiari cedenti, quanto il credito d’imposta a carico dei cessionari o fornitori, eserciterebbe congiuntamente la propria pretesa nei confronti di due soggetti diversi con un’inammissibile duplicazione.

Infine, anche nel caso in cui i cessionari o i fornitori abbiano concorso nella violazione tributaria di utilizzo di detrazioni non spettanti commessa dai beneficiari il comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020, mantenendo ferma “in presenza di concorso nella violazione, oltre all’applicazione dell’art. 9, comma 1 del Decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472” e cioè della disposizione che disciplina il concorso delle persone fisiche nelle violazioni amministrative “anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo di cui al comma 5 e dei relativi interessi”, consente di recuperare a carico dei cessionari esclusivamente il controvalore della detrazione d’imposta non spettante e non anche il credito d’imposta loro riconosciuto. Pertanto il par. 7 del Provvedimento, in attuazione di tale disposizione ha ribadito che, “qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante, maggiorato di interessi e sanzioni, nei confronti dei beneficiari della detrazione … ferma restando, in presenza di concorso nella violazione, anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo e dei relativi interessi”. Come si è visto, in questo senso si è espressa l’AdE anche nella circolare n. 23/E/2022, laddove ha rilevato che “in presenza di concorso nella violazione, oltre all’applicazione dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, resta ferma anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante e dei relativi interessi”.

Conseguentemente, il credito d’imposta dei cessionari e dei fornitori si deve sempre considerare come spettante ed utilizzabile in compensazione quantomeno nel caso in cui sia stato acquistato in buona fede, anche se derivi dall’utilizzo di una detrazione non spettante. Questa scelta legislativa trova evidente giustificazione nell’esigenza di favorire non solo la circolazione dei crediti d’imposta, ma anche la creazione di un loro mercato secondario. Ed infatti, tale esigenza poteva essere conseguita soltanto qualora fosse resa certa l’utilizzabilità in compensazione di tali crediti, svincolando la loro spettanza dalla spettanza della detrazione d’imposta a favore dei beneficiari in quanto, diversamente, i terzi e soprattutto le società soggette a vigilanza prudenziale non avrebbero giammai non solo voluto, ma neppure potuto acquistare i crediti per il fatto che si sarebbero esposte ad un rischio imponderabile.

SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Mancata adozione della necessaria diligenza all’atto dell’acquisto del credito

È da escludere che la mancata adozione da parte dei cessionari o fornitori della “necessaria diligenza all’atto dell’acquisto del credito d’imposta”, comportando il concorso nella violazione tributaria di utilizzo di detrazioni d’imposta non spettanti, nonché la loro responsabilità solidale, possa precludere l’utilizzabilità in compensazione del credito.

Il difetto di diligenza dei cessionari o fornitori non può precludere l’utilizzabilità del credito d’imposta

Ricostruiti i limiti di responsabilità dei cessionari e fornitori, è da escludere che la mancata adozione da parte dei cessionari o fornitori della “necessaria diligenza all’atto dell’acquisto del credito”, comportando ai sensi del comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020 il concorso nella violazione tributaria di utilizzo di detrazioni d’imposta non spettanti, nonché la loro responsabilità solidale, possa precludere l’utilizzabilità in compensazione del credito d’imposta.

In primo luogo, è agevole rilevare che la fattispecie di concorso cui tale disposizione si riferisce non può che essere quella disciplinata dall’art. 9 del D.Lgs. n. 472, come confermato anche dalla stessa AdE (1), non solo perché tale disposizione richiama tale articolo, ma anche perché, l’introduzione di una nuova fattispecie di concorso in difetto di una sua specifica disciplina, violerebbe la riserva di legge in materia tributaria, con la conseguenza che la colpa dei cessionari o fornitori non può giammai comportare di per sé il concorso nella predetta violazione. Ed infatti, in forza della predetta disposizione, per la configurabilità del concorso di persone nelle violazioni tributarie, è necessario, oltre al dolo o alla colpa, anche la prestazione di un contributo causale di tipo psichico o materiale alla commissione della violazione in quanto l’agente abbia determinato o rafforzato il proposito illecito altrui ovvero abbia commesso o agevolato la condotta illecita.

Senonché un siffatto contributo causale in entrambe le sue forme è da escludere una volta che la violazione tributaria si sia già perfezionata in quanto in tal caso non può che essere considerato come un postfatto di per sé irrilevante. Ebbene una siffatta eventualità ricorre tutte le volte in cui i cessionari o fornitori abbiano fornito il proprio contributo causale soltanto dopo che i beneficiari abbiano esercitato l’opzione per la cessione o per lo sconto mediante la sua comunicazione in via telematica.

L’Agenzia delle entrate sembra infatti ritenere perfezionata la violazione di utilizzo di detrazioni non spettanti per il mero esercizio di tale opzione, avendo precisato nella circolare n. 24/E/2020 che, “qualora sia accertata la mancata integrazione, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta” essa “provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante nei confronti del soggetto che ha esercitato l’opzione, maggiorato degli interessi di cui all’art. 20 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e delle sanzioni di cui all’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471”. L’indicazione così fornita sembra trovare giustificazione nella considerazione che i beneficiari cedenti già con l’esercizio dell’opzione per la cessione o lo sconto possono pregiudicare gli interessi erariali poiché legittimano l’Agenzia delle entrate a riconoscere ai cessionari o fornitori un credito d’imposta di ammontare pari alla detrazione, rendendolo visibile in via telematica nella piattaforma.

SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Esclusione di doveri di controllo per i cessionari
La configurabilità di specifici doveri di controllo per i cessionari sulla sussistenza dei presupposti della detrazione d’imposta deve essere esclusa per i bonus fiscali la cui spettanza era ed è subordinata al rilascio di un visto di conformità della documentazione e/o ad un’asseverazione dei requisiti tecnici e della congruità delle spese da parte di professionisti abilitati la cui infedeltà è sanzionata in via amministrativa e penale, in quanto l’introduzione di tali certificazioni è volta proprio a demandare a professionisti qualificati in funzione di garanzia il compito di verificare la sussistenza dei presupposti a cui è subordinata la spettanza della detrazione d’imposta.

D’altro canto, l’accettazione da parte dei cessionari dell’esercizio dell’opzione per l’utilizzo della detrazione d’imposta è configurata come mero presupposto per l’attribuzione del credito d’imposta a loro favore ed il suo utilizzo in compensazione e non come condizione per l’esercizio dell’opzione per la cessione o per lo sconto. Ed infatti se, da un lato, il par. 4.9. del Provvedimento considera come condizione di efficacia dell’esercizio dell’opzione soltanto la sua comunicazione, dall’altro lato, il successivo par. 5.2. stabilisce espressamente che l’accettazione è prestata “ai fini di cui al punto 5.1” e cioè al fine di utilizzare “i crediti d’imposta … in compensazione … sulla base delle rate residue di detrazione non fruite dal beneficiario originario” ovvero ai fini del successivo par. 6, secondo cui i cessionari e fornitori “possono cedere i crediti d’imposta ad altri soggetti”.

Pertanto, la pretesa colpa dei cessionari non può comportare la configurabilità di un concorso nella violazione di utilizzo di detrazioni non spettanti, laddove faccia difetto la prestazione di un contributo causale alla commissione di tale violazione, perché tale contributo sia stato prestato dopo che i beneficiari abbiano esercitato l’opzione per la cessione o per lo sconto e, a maggior ragione, se sia stato prestato dopo che i cessionari od i fornitori abbiano acquistato i crediti dai beneficiari.

In secondo luogo, non sembra che la sussistenza del contributo causale e della colpa possa essere verificata ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 472 direttamente a carico dei cessionari o dei fornitori persone giuridiche. Ed infatti tale disposizione prevede il concorso esclusivamente per le persone fisiche e pertanto non può giammai configurarsi il concorso di persone giuridiche nelle violazioni tributarie commesse da persone fisiche. Tuttavia ammesso anche, a tutto voler concedere, che, ai sensi del comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020, il concorso delle persone fisiche nella violazione tributaria di utilizzo di detrazioni non spettanti possa ritenersi configurabile come il presupposto per la responsabilità solidale delle persone giuridiche cessionarie o fornitrici, la sussistenza degli elementi del contributo causale e della colpa non potrebbe che essere verificata esclusivamente a carico delle persone fisiche che abbiano agito in qualità di loro rappresentanti, amministratori, dipendenti e consulenti.

In terzo luogo, non si ritiene che possa imputarsi agli intermediari che abbiano acquistato i crediti fiscali direttamente dai fornitori o da altri cessionari di aver agito per colpa, nel caso in cui non abbiano verificato la sussistenza dei presupposti oggettivi a cui è subordinata la spettanza delle detrazioni d’imposta e quindi abbiano omesso di apprezzare i corrispondenti indici richiamati dall’AdE nella circolare n. 23/E/2022 (2).

L’art. 121 del D.L. n. 34/2020 e la relativa normativa di attuazione non assegnavano e non assegnano ai cessionari specifici doveri e poteri di controllo sulla sussistenza dei presupposti a cui è subordinata la spettanza delle detrazioni d’imposta ed anzi, considerandoli responsabili esclusivamente per l’utilizzo irregolare dei crediti acquistati o per importi superiori a quelli spettanti, come si è visto, garantiscono loro la spettanza dei crediti d’imposta, anche se i beneficiari abbiano esercitato l’opzione per l’utilizzo di detrazioni d’imposta non spettanti. D’altro canto, la realizzazione dei presupposti a cui è subordinata la spettanza delle detrazioni d’imposta esorbita dalla sfera di controllo dei cessionari nel caso in cui abbiano acquistato i crediti da altri cessionari e quindi non abbiano instaurato alcun rapporto giuridico diretto con i beneficiari.

Né specifici doveri e poteri di controllo sulla sussistenza dei predetti presupposti possono trarsi dai generali obblighi di segnalazione di operazioni sospette previsti dal D.Lgs. n. 231/2007 a carico degli intermediari destinatari di tali obblighi. Ed infatti, l’UIF con la comunicazione in tema di “Prevenzione di fenomeni di criminalità finanziaria connessi con l’emergenza da COVID-19” dell’11 febbraio 2021 non ha introdotto per le cessioni di crediti d’imposta relativi ai bonus fiscali edilizi nuovi e specifici indicatori di anomalia ai sensi della lett. e) dell’art. 6, comma 4, del D.Lgs. n. 231/2007, né nuovi e specifici modelli e schemi di comportamenti rappresentativi di comportamenti anomali sul piano economico ai sensi del comma 7 del predetto articolo, ma ha soltanto raccomandato di tenere conto anche per le cessioni dei crediti relativi ai bonus fiscali edilizi degli schemi rappresentativi di comportamenti anomali che i destinatari degli obblighi antiriciclaggio già dovevano prendere in considerazione per tutte le cessioni di crediti fiscali. Tuttavia tali schemi hanno ad oggetto anomalie di natura soggettiva concernenti i cedenti o i cessionari ovvero di natura oggettiva concernenti le operazioni di cessione dei crediti, ma non anche la sussistenza dei presupposti a cui è subordinata a monte la spettanza della detrazione d’imposta e, quindi, anche l’effettiva esecuzione degli interventi e la loro conformità alle prescrizioni di legge.

Comunque, la configurabilità di specifici doveri di controllo per i cessionari sulla sussistenza dei presupposti della detrazione d’imposta deve essere a fortiori esclusa per i bonus fiscali la cui spettanza era ed è subordinata al rilascio di un visto di conformità della documentazione e/o ad un’asseverazione dei requisiti tecnici e della congruità delle spese da parte di professionisti abilitati la cui infedeltà è sanzionata in via amministrativa e penale in quanto l’introduzione di tali certificazioni è volta proprio a demandare a professionisti qualificati in funzione di garanzia il compito di verificare la sussistenza dei presupposti a cui è subordinata la spettanza della detrazione d’imposta.

Un addebito di colpa potrebbe risultare ipotizzabile a carico dei cessionari destinatari degli obblighi antiriciclaggio, nel caso in cui abbiano perfezionato l’acquisto dei crediti d’imposta, sebbene nell’adempimento di tali obblighi, abbiano rilevato anomalie rientranti fra quelle evocate dall’UIF nella Comunicazione dell’11 febbraio 2021 sopra richiamata, relative alla cedente (3) o alle operazioni di cessione (4) parzialmente richiamate in via espressa dall’AdE nella circolare n. 23/E/2022 (5), ma soltanto dopo l’introduzione del divieto di acquisto di crediti d’imposta sospetti ad opera del comma 4 dell’art. 122-bis del D.L. n. 34/2020. Ed infatti, prima dell’introduzione di tale divieto, l’esecuzione delle operazioni sospette comportava come tale l’inosservanza di un obbligo antiriciclaggio in quanto gli artt. 35 e 42 del D.Lgs. n. 231/2007 non prevedevano e non prevedono, una volta eseguita l’adeguata verifica del cliente, l’obbligo di sospendere l’esecuzione delle predette operazioni, ma soltanto quello di segnalarle all’UIF. Pertanto, gli intermediari erano tenuti ad osservare soltanto “l’ordinaria diligenza richiesta per evitare la partecipazione a condotte fraudolente”, come riconosciuto dalla stessa AdE nella circolare 29 novembre 2021, n. 16/E.

Tuttavia rimane fermo che tale addebito, in difetto di un contributo causale alla realizzazione della violazione tributaria di utilizzo di detrazioni non spettanti, non può comportare il concorso nella predetta violazione ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997 per le ragioni già esposte.

In quarto luogo, il comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020, così come interpretato dalla stessa AdE, considera il concorso dei cessionari nella violazione tributaria di utilizzo di detrazioni non spettanti commessa dai beneficiari come presupposto non per il disconoscimento della spettanza del credito d’imposta, bensì soltanto per la responsabilità solidale dei cessionari per la detrazione d’imposta non spettante. Pertanto, l’AdE, anche nel caso in cui i cessionari o fornitori abbiano concorso nella predetta violazione tributaria, è legittimata a recuperare soltanto il controvalore della detrazione d’imposta a loro carico (6).

I crediti d’imposta dei cessionari di buona fede sono utilizzabili in compensazione

L’aver stabilito che, per una motivata scelta legislativa, il credito d’imposta dei cessionari o fornitori, quantomeno nel caso in cui sia stato acquistato in buona fede, non può essere recuperato nei loro confronti, anche se ai beneficiari non spetti la detrazione d’imposta, consente di concludere che in tal caso, non essendo inesistente, il suo utilizzo in compensazione è pienamente legittimo. Pertanto, è illegittima invece non solo ogni eventuale contestazione di indebita compensazione da parte dell’Agenzia delle entrate ai sensi tanto dell’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, quanto dell’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000, ma anche il sequestro preventivo del credito ai sensi del comma 1 dell’art. 321 c.p.p. per il fatto che tale utilizzo non può aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati proprio per essere pienamente legittimo.

Naturalmente, nel caso in cui i crediti d’imposta siano sequestrati in via preventiva, tale sequestro rendendoli indisponibili, ne preclude l’utilizzabilità in compensazione. Tuttavia, tali crediti, una volta che siano stati dissequestrati perché non siano stati reputati come inesistenti non possono che tornare ad essere utilizzabili in compensazione. Tant’è vero che lo stesso art. 28-ter del D.L. n. 4/2022 ha previsto che “l’utilizzo dei crediti d’imposta di cui agli artt. 121 … nel caso in cui tali crediti siano oggetto di sequestro disposto dall’Autorità giudiziaria, può avvenire, una volta cessati gli effetti del provvedimento di sequestro”. Pertanto l’avvertenza fornita nella circolare n. 23/E/2022, secondo cui “in caso di utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti, interessati dal provvedimento di dissequestro, gli organi di controllo procederanno parimenti alla contestazione delle violazioni e alle conseguenti comunicazioni all’Autorità giudiziaria per le indebite compensazioni effettuate” è non solo alquanto indeterminata e equivoca, ma non facendo salvo quantomeno l’utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta acquistati in buona fede dai cessionari si pone in contrasto con la disciplina legislativa dei bonus fiscali edilizi, così come può essere ricostruita anche sulla base delle indicazioni fornite dalla stessa AdE nel Provvedimento e nelle circolari.

Note:

(1) L’AdE nella circolare n. 30/E/2020 ha chiarito che “nel caso di specie, per la configurabilità del concorso di persone, anche ai fini del recupero della somma detratta e degli interessi, valgono i criteri generali in materia sanzionatoria, come illustrati dalla circolare n. 180/E del 10 luglio 1998, secondo cui ‘Elementi costitutivi della fattispecie concorsuale sono: 1) una pluralità di soggetti agenti; 2) la realizzazione di una fattispecie di reato; 3) il contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del reato; 4) l’elemento soggettivo”.

(2) “Mancata effettuazione dei lavori”, “sproporzione tra l’ammontare dei crediti ceduti ed il valore dell’unità immobiliare”, “palese contraddittorietà rispetto al riscontro documentale prodotto” e “incoerenza reddituale e patrimoniale tra il valore e l’oggetto dei lavori asseritamente eseguiti e il profilo dei committenti beneficiari delle agevolazioni in esame”.

(3) “Società costituita o divenuta operativa di recente, con forme giuridiche flessibili e semplici, prive di strutture organizzative reali, coinvolte in plurime cessioni di crediti/accolli di debiti, con frequenti variazioni nella compagine proprietaria e/o amministrativa o con soci e/o esponenti di dubbia reputazione o che appaiono come prestanome”.

(4) “Rapporti alimentati in via esclusiva o prevalente dal corrispettivo di contratti di cessione di crediti fiscali; … stipula di ripetuti contratti di cessione di crediti fiscali o di rami d’azienda costituiti in via pressoché esclusiva da detti crediti, spesso nella medesima giornata e con la ricorrenza dei medesimi soggetti; anomalie concernenti il coinvolgimento di professionisti, le condizioni economiche pattuite per la cessione del credito fiscale” ovverosia “prezzo notevolmente inferiore al valore nominale del credito, modalità di riscossione del prezzo notevolmente vantaggiose per il cessionario” o “impiego del corrispettivo da essa derivante”.

(5) “Incoerenza tra il valore del credito ceduto e il profilo finanziario e patrimoniale del soggetto cedente il credito qualora non primo beneficiario della detrazione” ed “anomalie nelle condizioni economiche applicate in sede di cessione dei crediti”.

(6) In tal caso l’AdE potrebbe bloccare la compensazione dei crediti d’imposta, facendo ricorso ad una misura cautelare.

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