Il fisco 36/2023, pagg. 3367 e ss.
La nuova imposta straordinaria sull’incremento del margine di interesse delle banche solleva alcuni dubbi di costituzionalità. Ed infatti tale imposta, pur essendo il relativo presupposto coerente con la base imponibile, colpisce un indice che può non essere concretamente rivelatore di una ricchezza e cioè una porzione dell’incremento del margine lordo di interesse e la relativa aliquota, essendo fissata al 40%, non sembra proporzionata, poiché si assomma alle aliquote maggiorate delle imposte già gravanti sui redditi delle predette banche e risulta altresì ben superiore alle aliquote delle imposte applicabili sul margine d’interesse lordo conseguito da soggetti residenti in altri Stati membri. Inoltre, la scelta di far ricorso al Decreto legge per introdurla non sembra giustificata dai necessari requisiti di urgenza perché è previsto che le maggiori entrate derivanti dalla sua riscossione non saranno immediatamente utilizzate, ma saranno accantonate per il finanziamento di misure a favore delle famiglie e delle imprese, non solo future, ma anche allo stato indeterminate.
1. Premessa
L’art. 26 del D.L. 10 agosto 2023, n. 104 [1], ha introdotto a carico delle banche residenti in Italia, o non residenti, ma ivi stabilite [2], secondo quanto recita la relativa rubrica, una nuova “imposta straordinaria calcolata sull’incremento del margine di interesse”, come risultante dalla voce 30 del conto economico, e quindi sulla differenza fra gli interessi attivi e passivi e proventi ed oneri ad essi assimilati, anche se di fonte estera. Stando a quanto emerge dalla Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, tale imposta è stata introdotta “a seguito dell’andamento dell’economia e, in particolare, dei tassi di interesse che hanno sensibilmente inciso sul debito contratto dalle imprese e dalle famiglie” e quindi evidentemente al fine di colpire con l’imposta i proventi derivanti da tale incremento dei tassi di interesse.
In particolare, tale imposta straordinaria ha come destinatarie le sole banche, evidentemente per il fatto che sono le entità che maggiormente possono aver beneficiato dell’aumento dei tassi di interesse, esercitando congiuntamente nei confronti del pubblico le attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, per il disallineamento verificatosi fra la remunerazione dei depositi e conti correnti rispetto a quella degli impieghi.
L’imposta deve essere applicata con l’aliquota del 40% sul maggiore tra l’ammontare del margine di interesse dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 (dell’esercizio 2022 in caso di coincidenza con l’anno solare), che eccede per almeno il 5% il medesimo margine dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022 (dell’esercizio 2021 in caso di coincidenza con l’anno solare) e l’ammontare del margine di interesse relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2024 (dell’esercizio 2023 in caso di coincidenza con l’anno solare), che eccede per almeno il 10% il medesimo margine dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022 (sempre dell’esercizio 2021 in caso di coincidenza con l’anno solare).
L’imposta straordinaria non ha ad oggetto un sovra-profitto, ma un sovra-margine d’interesse e cioè, in caso di esercizio coincidente con l’anno solare, il maggiore fra l’incremento registrato da tale margine nel 2022 e nel 2023 rispetto al 5 o al 10% del margine registrato nel 2021. Pertanto tale imposta, avendo a base di commisurazione una porzione incrementale della differenza fra interessi attivi e passivi e proventi ed oneri assimilati, colpisce proventi lordi in quanto questo particolare criterio di commisurazione non consente di portare in deduzione, non solo le “rettifiche di valore nette per rischio di credito” incluse nella voce 130 del bilancio bancario, ma neppure i “costi operativi” di cui alla voce 210, che include i costi amministrativi, gli accantonamenti, le rettifiche di valore delle attività materiali ed immateriali e gli altri costi di gestione.
Tuttavia, la predetta imposta non può giammai eccedere lo 0,1% dell’attivo relativo all’esercizio precedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 e, quindi, in caso di coincidenza con l’anno solare, dell’attivo dell’esercizio 2022 e non è deducibile dall’imponibile IRES ed IRAP.
L’imposta straordinaria deve essere versata entro il sesto mese successivo a quello di chiusura dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2024 e, quindi, in caso di sua coincidenza con l’anno solare, entro il 30 giugno 2024 e la relativa disciplina è mutuata dalla normativa in materia di imposte sui redditi.
2. Presupposti di legittimità dei tributi selettivi
Così ricostruito il funzionamento della nuova imposta straordinaria, occorre ora valutare la sua legittimità costituzionale sulla base degli orientamenti della giurisprudenza costituzionale.
Ebbene, la scelta di introdurre un prelievo aggiuntivo soltanto a carico dei soggetti appartenenti ad un determinato settore economico è stata già ritenuta legittima dalla Corte costituzionale in quanto il giudice delle leggi ha concluso che la Costituzione non impone una tassazione fiscale uniforme, con criteri identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria[3]. Tuttavia una diversificazione dell’imposizione per settori economici o per tipologie di contribuenti può comportare una violazione dei principi di eguaglianza e di capacità contributiva allorché non sia giustificata da motivi di politica economica e redistributiva e la struttura dell’imposta non sia coerente e proporzionata con il presupposto[4], anche se la sua applicazione sia limitata ad un solo periodo d’imposta, posto che “di per sé … la temporaneità dell’imposizione non costituisce un argomento sufficiente a fornire giustificazione a un’imposta, che potrebbe comunque risultare disarticolata dai principi costituzionali”[5].
Pertanto, la Corte costituzionale ha ritenuto legittima l’addizionale IRES dell’8,5% introdotta una tantum e per il solo periodo d’imposta 2013 a carico delle banche e degli intermediari finanziari in quanto tale imposta sarebbe configurabile in realtà come una sovraimposta e sarebbe stata giustificata da “uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, rilevante ai fini di un temporaneo intervento anticongiunturale” costituito “dall’appartenenza al mercato finanziario” dei relativi soggetti passivi, sebbene la sua base imponibile fosse sempre identificata nel reddito determinato secondo i criteri stabiliti agli effetti dell’IRES, con esclusione della sola variazione in aumento delle svalutazioni eccedenti lo 0,30 dei crediti risultanti dal bilancio. Con la conseguenza che tale sovraimposta era in realtà volta a colpire piuttosto che un autonomo indice di capacità contributiva la maggiore capacità reddituale che sarebbe derivata dall’appartenenza a tale settore economico. Inoltre, l’addizionale IRES è stata considerata proporzionata rispetto al presupposto d’imposta perché l’aggravio derivante dalla sua applicazione sarebbe stato compensato dal riconoscimento a favore degli intermediari finanziari di una più ampia deducibilità delle perdite su crediti dal periodo d’imposta 2013[6].
3. Dubbi di costituzionalità del presupposto d’imposta
Tuttavia l’introduzione della nuova imposta straordinaria a carico delle banche non si traduce soltanto nell’adozione di particolari criteri di determinazione dell’aliquota e/o della base imponibile di un’imposta che continua a colpire lo stesso presupposto per tutti i relativi soggetti passivi, come nel caso dell’addizionale IRES a suo tempo introdotta a carico delle imprese del settore energetico o delle banche, bensì nell’istituzione di una nuova imposta con un presupposto del tutto nuovo ed autonomo costituito da una porzione incrementale del margine di interesse realizzato dalle sole banche residenti in Italia ed ivi stabilite. Pertanto, l’introduzione di tale nuova imposta non solo deve essere giustificata da motivi di politica economica e redistributiva e prevedere una struttura coerente con il presupposto, ma deve anche prendere a riferimento un indice economico, che sia concretamente rivelatore di ricchezza e colpirlo in misura proporzionata e non discriminatoria.
Ebbene, l’imposta straordinaria sembra perseguire finalità di politica economica e redistributiva in quanto è previsto che le maggiori entrate derivanti dalla sua riscossione affluiscano ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, “per essere destinate, anche mediante riassegnazione, sulla base del monitoraggio periodico dei relativi versamenti, in un apposito fondo da istituire nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze per essere assegnate al finanziamento delle misure di cui all’art. 1, comma 48, lettera c) della Legge 27 dicembre 2013, n. 147” e cioè del fondo di garanzia dei finanziamenti per l’acquisto della prima casa e “per interventi volti alla riduzione della pressione fiscale di famiglie e imprese”, anche se le misure che dovrebbe finanziarie sono non solo future, ma anche indeterminate, non essendo identificati i loro destinatari e il loro oggetto. Inoltre, la predetta imposta straordinaria sembra prevedere una struttura coerente con il presupposto in quanto colpisce la porzione incrementale del margine di interesse, ancorché il tetto dello 0,1% dell’attivo dell’esercizio precedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 non sembra coerente con un’imposta che non ha natura patrimoniale.
Senonché v’è il dubbio che l’indice assunto a presupposto della nuova imposta straordinaria possa non risultare effettivamente rivelatore di ricchezza in quanto la porzione incrementale del margine di interesse colpita dall’imposta straordinaria potrebbe risultare assorbita da componenti negativi di reddito che possono essere direttamente correlati all’incremento del margine di interesse, quali le rettifiche di valore dei crediti incluse nella voce 130 e dei costi operativi della banca inclusi nella voce 210. Con la conseguenza che la manifestazione di capacità contributiva colpita da tale imposta potrebbe rivelarsi in concreto inesistente o comunque largamente inferiore. Né d’altro canto il tetto dello 0,1% dell’attivo può scongiurare tale risultato in quanto tale tetto non presenta alcuna correlazione con i componenti negativi così individuati.
Infine, l’imposta straordinaria discrimina le banche rispetto agli altri soggetti che hanno conseguito un corrispondente incremento del margine di interesse e rimane da capire se tale discriminazione possa risultare giustificata dalla diversa provenienza dei capitali impiegati per produrlo.
4. Dubbi di costituzionalità dell’aliquota del 40%
Fermo restando quanto precede, v’è altresì il dubbio che la maggiorazione del 3,5% dell’aliquota IRES e la maggiorazione minima dello 0,75% e massima dell’1,67% dell’aliquota IRAP ordinaria del 3,9% applicabili a carico delle banche già colpiscano la manifestazione di capacità contributiva espressa dalla porzione incrementale del margine di interesse imponibile, posto che tali maggiorazioni dovrebbero essere giustificate proprio dalla maggiore redditività delle banche rispetto alle altre imprese. Del resto, la percentuale di incremento del margine di interesse realizzata dalle banche è risultata elevata nel 2022 e nel 2023 rispetto al 2021 soprattutto per il fatto che nel 2021 tale margine si era ridotto al minimo non solo perché i tassi di interesse negativi avevano assorbito lo spread dei tassi di interesse dei finanziamenti, ma anche perché molte banche avevano deciso di farsi carico degli interessi negativi dovuti per la custodia della liquidità dei clienti[7].
Ma non basta. Al di là della predetta considerazione, l’imposta straordinaria sembra comunque colpire la pozione incrementale del margine di interesse che ne costituisce oggetto in misura non proporzionata. La predetta imposta è infatti fissata ad un’aliquota, e cioè quella del 40%, che non solo è più elevata rispetto all’aliquota ordinaria del 26% delle imposte sostitutive e ritenute d’imposta applicabili, oltre che sul margine lordo d’interesse conseguito da società residenti in altri Stati membri[8], anche su redditi netti, quali i redditi diversi di natura finanziaria, ma si assomma all’IRES, IRAP e alle relative addizionali. Con la conseguenza che l’introduzione dell’imposta straordinaria comporta l’assoggettamento della porzione incrementale del margine di interesse ad un prelievo che potrebbe addirittura raggiungere il 73,07%, non essendo l’imposta straordinaria deducibile, né dall’IRES, né dall’IRAP (IRES 24% + relativa Addizionale 3,5% + IRAP 3,90% + relativa Addizionale 1,67% + Imposta sulla porzione incrementale del margine 40%), così da generare un risultato che, essendo quasi confiscatorio, potrebbe comportare una violazione del diritto di proprietà tutelato dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU . Ed infatti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto che possa violare tale diritto un prelievo sulle indennità di fine rapporto di lavoro dipendente che sia pari a tre volte il prelievo ordinario, anche in considerazione però del rilevante sacrificio imposto in tal modo al lavoratore[9].
Il tetto dello 0,1% dell’attivo può comportare una riduzione del prelievo, ma tale riduzione risulta del tutto casuale in quanto è scollegata dalla porzione incrementale del margine di interesse colpita dall’imposta straordinaria, non solo perché l’attivo include anche attività che non sono produttive di interessi, ma anche perché la variazione del margine di interesse, avendo natura differenziale, non può evidentemente dipendere dall’entità dell’attivo. Pertanto, l’applicazione di un tale limite potrebbe legittimare una riduzione del prelievo anche a carico di chi abbia conseguito un maggior incremento del margine di interesse o viceversa.
Inoltre, l’imposta straordinaria potrebbe risultare retroattiva in senso improprio, nel particolare caso in cui l’incremento del margine sia superiore al 5% nel 2022, ma sia inferiore a tale percentuale nel 2023 in quanto tale imposta sarebbe prelevata su una porzione incrementale del margine del 2022, così da colpire anche una porzione del margine d’interesse che ha concorso a formare l’utile già posto in distribuzione a favore dei soci nel 2023 e quindi una manifestazione di capacità contributiva ormai esaurita per la percentuale di utile distribuito. D’altro canto, la CEDU ha affermato che l’imposizione di un reddito ad un’aliquota molto più elevata di quella in vigore alla data in cui sia stato realizzato potrebbe dar luogo ad un’ingerenza irragionevole nel diritto di proprietà[10].
5. Dubbi di costituzionalità per difetto di urgenza
Comunque, v’è da chiedersi quale sia quella preesistente “situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il Decreto legge che costituisce requisito di validità costituzionale dell’adozione del predetto atto”[11] in quanto il preambolo non la identifica, come invece fa per le altre misure ivi previste, e tale situazione non sembra possa essere costituita dall’aumento “dei tassi di interesse che hanno sensibilmente inciso sul debito contratto dalle imprese e dalle famiglie” a cui la Relazione fa riferimento, non solo perché l’incremento dei tassi di interesse si è verificato fin a partire dal mese di luglio 2022 e, quindi, da più di un anno, ma anche perché l’introduzione dell’imposta straordinaria non è volta a ridurre i tassi di interesse, bensì a consentire allo Stato di fare propria una quota di tale incremento.
Né d’altro canto la situazione di necessità ed urgenza può essere identificabile nella situazione di difficoltà finanziaria delle famiglie ed imprese generata dall’aumento dei tassi di interesse in quanto l’art. 26 del D.L. n. 104/2023 non sembra disporre misure immediate a loro favore, bensì future ed allo stato indeterminate per quanto attiene tanto ai destinatari, quanto all’oggetto, poiché si limita a prevedere l’accantonamento delle maggiori entrate in apposito capitolo del bilancio dello Stato che potrà essere destinato ad apposito fondo che, a sua volta, potrà essere utilizzato dal MEF per il finanziamento del fondo di garanzia dei finanziamenti prima casa e per interventi volti alla riduzione della pressione fiscale con una tempistica che non può evidentemente giustificare la necessità e soprattutto l’urgenza dell’intervento. Del resto, la Corte costituzionale aveva ritenuto giustificata l’introduzione dell’addizionale IRES dell’8,5% mediante lo strumento del Decreto legge da una situazione di fatto di necessità ed urgenza poiché era servita a fornire la necessaria copertura all’eliminazione della seconda rata dell’IMU che era stata disposta con il medesimo Decreto legge per far fronte alle difficoltà derivanti da una situazione di crisi economica a carattere sistemico, nonché all’imminente scadenza del termine per il suo pagamento.
Non resta dunque che auspicare che, in sede di conversione del Decreto legge, la nuova imposta straordinaria sulla porzione incrementale del margine di interesse delle banche sarà oggetto di adeguati interventi correttivi che consentano di superare i dubbi di costituzionalità che si sono illustrati.
Note:
[1] Al momento di andare in stampa, è iniziato l’esame del disegno di legge di conversione (Atto Senato n. 854) al Senato presso le Commissioni riunite 8 a (Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica) e 9 a (Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare) con l’audizione di ABI, Federcasse e Assopopolari che hanno sollevato dubbi sulla costituzionalità e sulla congruenza dell’imposta.
[2] Secondo la Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del Decreto legge la nuova imposta straordinaria è dovuta dalle banche, “anche se operanti tramite stabile organizzazione nel territorio dello Stato”.
[3] Corte costituzionale n. 10/2015e n. 201/2014.
[4] Corte costituzionale n. 142/2014e n. 21/2005.
[5] Corte costituzionale n. 288/2019.
[6] Così Corte costituzionale n. 288/2019. Tuttavia, con ordinanza della CGT della Lombardia del 23 gennaio 2023, n. 79/2023 è stata rimessa alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell’addizionale IRES a carico delle società di gestione del risparmio sulla base della considerazione che tali società non hanno potuto beneficiare di una maggiore deducibilità dall’imponibile IRES delle perdite su crediti verso i clienti per il fatto che non sono di regola esposte al rischio di credito. Tant’è vero che non sono state poi assoggettate all’addizionale IRES del 3,5%. Senonché la Corte di cassazione, sebbene la decisione della predetta questione fosse già pendente davanti alla Corte costituzionale alla data dell’udienza, l’ha dichiarata manifestatamente infondata sulla base dell’assunto che sarebbe stata già trattata dal giudice delle leggi, anche se a ben vedere non abbia fatto alcuna menzione delle SGR (Cass. 16 maggio 2023, n. 13343; Cass 7 giugno 2023, n. 16138; Cass. 7 giugno 2023, n.16105).
[7] Il mercato non reputa le azioni delle banche italiane come ad elevata redditività, se è vero che tali banche vantano di regola una capitalizzazione inferiore al loro patrimonio netto contabile.
[8] È orientamento della Corte di Giustizia UE che gli interessi corrisposti da soggetti residenti in uno Stato membro a soggetti residenti di un altro Stato membro sono assoggettabili a ritenuta a titolo d’imposta al netto dei relativi interessi passivi, ove siano assoggettabili ad imposta sulle società a carico dei soggetti residenti nel primo Stato al netto dei relativi interessi passivi (così Corte di Giustizia UE 13 luglio 2016, Brisal – Auto Estradas do Litoral SA, causa C-18/15; Corte di Giustizia UE 26 febbraio 2019, N Luxemburg 1, cause riunite C-115/16, causa C-118/16, causa C-119/16 e C-299/16).
[9] CEDU, N.K.M v. Ungheria.
[10] CEDU M.A. e altri c. Finlandia.
[11] Corte costituzionale n. 29/1995.
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