L’incompatibilità UE dell’estensione del regime IVA del margine alle spese non addebitate dai “fornitori”

L’incompatibilità UE dell’estensione del regime IVA del margine alle spese non addebitate dai “fornitori”

Corr. Trib. 4/2021, pag. 345 e segg.

L’inclusione nel regime IVA del margine di rivendita anche delle spese di riparazione ed accessorie addebitate da soggetti diversi dai fornitori, per i beni acquisiti in proprietà, nonché dei canoni e del prezzo di riscatto addebitati dalle società concedenti, per i contratti di locazione finanziaria, risulta incompatibile con la Direttiva 2006/112/CE, per il fatto che tale Direttiva consente di assoggettare al predetto regime soltanto le spese addebitate dai fornitori.

La disciplina italiana dello speciale regime IVA applicabile sul margine di rivendita dei beni mobili usati, oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione introdotta dall’art. 36 del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 (1) (“D.L. n. 41”), in attuazione degli artt. 312 ss. della Direttiva del Consiglio UE 2006/112/CE del 28 novembre 2006 (“Direttiva IVA”), così come è stata finora interpretata dall’Amministrazione finanziaria, deve ritenersi parzialmente incompatibile con la Direttiva IVA per il fatto che impone indebitamente di includere nel predetto margine per i beni così individuati acquisiti in proprietà, anche le spese di riparazione e quelle accessorie addebitate da soggetti diversi dai fornitori, nonché per quelli acquisiti mediante il subentro nei relativi contratti di locazione finanziaria, i canoni ed il prezzo di riscatto addebitati dalle società concedenti.

Cenni sui criteri di determinazione del margine da assoggettare ad IVA

Per evitare che i soggetti passivi IVA che rivendano beni mobili usati, oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione acquistati in Italia o altro Stato membro della UE presso soggetti privi del diritto alla detrazione dell’IVA ovverosia presso privati, soggetti che non abbiano potuto detrarre l’IVA, soggetti passivi in regime di franchigia e rivenditori che applichino a loro volta il regime del margine (2), subiscano una doppia imposizione in quanto, pur non potendo detrarre l’imposta inclusa dai fornitori nel prezzo di acquisto, siano obbligati ad applicarla sul prezzo di rivendita, in attuazione degli artt. 312 ss. della Direttiva IVA, l’art. 36 ss. del D.L. n. 41 hanno introdotto lo speciale regime IVA del margine.

In particolare, in forza del comma 1 di quest’ultima disposizione, per i beni così individuati l’IVA deve essere applicata non sui corrispettivi, bensì scorporando l’IVA dal margine lordo realizzato tramite la rivendita dei beni ovverosia dalla “differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acquisto aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie”. Pertanto, tale disposizione prevede che, per la determinazione del margine, il prezzo di acquisto, prima di essere dedotto dal prezzo di rivendita, deve essere aumentato anche delle spese di riparazione e di quelle accessorie, senza però specificare se tali spese siano anche quelle addebitate ai rivenditori da soggetti diversi dai fornitori privi del diritto alla detrazione dell’IVA.

Inoltre, il comma 2 dell’art. 36 del D.L. n. 41, per evitare di assoggettare ad eccessivi oneri amministrativi la rivendita di oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione acquistati al di fuori della UE o dagli autori e dai loro aventi causa (3), in attuazione dell’art. 316 della Direttiva IVA, accorda ai rivenditori la facoltà di optare per l’applicazione del regime del margine anche per la rivendita degli oggetti così individuati importati, nonché degli oggetti d’arte loro ceduti dall’autore o dai suoi eredi o legatari (4), escludendo legittimamente tale facoltà per le cessioni di beni mobili usati importati (5).

Coerentemente, il comma 4 dell’art. 36 del D.L. n. 41, per evitare che i rivenditori fruiscano di un doppio beneficio in quanto, dopo aver dedotto dal prezzo di rivendita il prezzo di acquisto, nonché le spese di riparazione e accessorie, possano anche detrarre l’eventuale IVA relativa, esclude la detraibilità di tale imposta, qualora sia “afferente l’acquisto, anche intracomunitario, o l’importazione dei beni usati, degli oggetti d’arte e di quelli d’antiquariato o da collezione, compresa quella afferente le prestazioni di riparazione o accessorie”, senza però specificare, anche in questo caso, se queste ultime prestazioni siano anche quelle rese da soggetti diversi dai fornitori. Gli acquisti facoltativamente assoggettabili al regime del margine, e cioè le importazioni e gli acquisti nazionali o intracomunitari effettuati dall’autore o dai suoi aventi causa, possono infatti risultare soggetti ad IVA.

Infine, il comma 10-bis dell’art. 36 del D.L. n. 41 ha esteso il regime del margine “alle cessioni di contratti di locazione finanziaria acquistati” da soggetti privi del diritto alla detrazione dell’IVA e, quindi, al commercio di contratti di locazione finanziaria di beni usati e oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione. Pertanto, anche i rivenditori che, dopo aver acquistato da un soggetto privo del diritto alla detrazione un contratto di locazione finanziaria nella posizione di utilizzatore, vendano tale contratto ad altri soggetti, devono assoggettare la vendita al regime del margine.

Indicazioni dell’Amministrazione finanziaria sui criteri di determinazione del margine soggetto ad IVA

Fin dalla C.M. 22 giugno 1995, n. 177, il Ministero delle Finanze ha ritenuto che devono essere incluse nel margine ai sensi dell’art. 36 del D.L. n. 41, oltre alle spese accessorie addebitate dai fornitori nella fase di acquisizione del bene, anche quelle di riparazione e restauro addebitate da soggetti passivi terzi nella fase di riattazione successiva all’acquisto, sebbene, come si è visto, tale disposizione non specifichi se tali spese sono anche quelle addebitate ai rivenditori da soggetti diversi dai fornitori. Ed infatti il Ministero, nella predetta circolare, ha precisato che “per spese accessorie e di riparazione debbono intendersi i costi sostenuti dal rivenditore che abbiano una specifica inerenza” non solo “alla fase di acquisizione del bene”, quali “gli oneri tributari nonché quelli di intermediazione relativi all’acquisto, le spese peritali, quelle notarili, di agenzia, di trasporto, ecc.”, ma anche alla fase “successiva di riattazione dello stesso”, quali “tutte le spese di riparazione e di restauro del bene”.

Inoltre, il Ministero delle Finanze, avendo ritenuto che devono essere incluse nel margine anche le spese sostenute nella fase di riattazione, ha sentito l’esigenza di precisare che, invece, “non sono comprese tra i costi da computare per la determinazione del margine le spese generali sostenute per l’esercizio dell’attività”, nonché “le spese non direttamente connesse alla riattazione di beni destinati alla rivendita in quanto sostenute per la normale utilizzazione dei beni stessi (ad esempio le spese di riparazione di un veicolo industriale sostenute da un soggetto passivo che lo utilizza nell’esercizio dell’attività senza farne normale oggetto di commercio)”.

Pertanto, il Ministero delle Finanze ha dato per acquisito che, per la determinazione del margine di rivendita da assoggettare ad IVA, devono essere imputate ad aumento del prezzo di acquisto non solo le spese addebitate dai fornitori ai rivenditori in sede di acquisto, ma anche le spese di riparazione o di restauro dei beni usati addebitate ai rivenditori successivamente all’acquisto da parte di soggetti passivi che applicano il regime ordinario.

Infine, lo stesso Ministero delle Finanze, nella circolare così individuata, ha precisato che, “ai sensi dell’art. 36, comma 4, le spese accessorie e quelle di riparazione, costituendo spese aggiuntive al costo di acquisto del bene oggetto della rivendita, non danno diritto alla detrazione della relativa imposta”, non essendo concessa “al rivenditore che opera nel regime del margine la facoltà di scegliere se esercitare la detrazione dell’IVA addebitatagli in via di rivalsa o se imputare l’intero corrispettivo dell’operazione, comprensivo dell’imposta, tra i costi da considerare ai fini della determinazione del margine”.

Ma non basta. Per quanto attiene ai contratti di locazione finanziaria acquistati da soggetti privi del diritto alla detrazione, la Guida Nautica & Fisco redatta dall’Agenzia delle entrate con Confindustria Nautica, nel par. 1.7. relativo al “Regime del margine nella cessione di unità da diporto usate”, ha precisato che devono essere inclusi nel margine anche i canoni, il corrispettivo di riscatto e le spese di riparazione ed accessorie sostenute dopo l’acquisto di tali contratti e fino alla data della loro cessione a terzi e, quindi, anche spese addebitate da soggetti diversi dai fornitori privi del diritto alla detrazione dell’IVA. In particolare, si legge nella predetta Guida che “essendo il regime del margine … stato recentemente esteso anche alle cessioni di contratti di leasing relativi a beni mobili d’occasione acquistati presso privati o presso soggetti che non abbiano potuto detrarre l’IVA relativa all’acquisto o all’importazione … il prezzo di acquisto di un’imbarcazione d’occasione oggetto di un contratto di leasing è costituito”, oltre che da “tutti i corrispettivi che il soggetto passivo-rivenditore abbia pagato al proprio fornitore (privato consumatore)”, anche da “tutti i canoni, ed eventualmente il corrispettivo per il riscatto, che lo stesso abbia pagato alla società di leasing dopo essere subentrato nel relativo contratto” e da “tutte le spese che lo stesso abbia sostenuto per riparazioni, manutenzioni e spese accessorie dopo l’acquisto del contratto di leasing e prima della cessione del contratto a terzi”. Pertanto, per gli acquisti di contratti di locazione finanziaria da soggetti privi del diritto alla detrazione dovrebbero essere incluse nel margine non soltanto le spese di riparazione sostenute nella fase di riattazione, ma anche i canoni di locazione, il prezzo di riscatto e le altre spese accessorie sostenute dopo aver eseguito l’acquisto dei predetti contratti.

Contrasto delle indicazioni dell’Amministrazione finanziaria con le prescrizioni della Direttiva IVA

L’art. 36 del D.L. n. 41, così come interpretato dal Ministero delle Finanze nella C.M. n. 177/1995 e poi dall’AdE nella Guida Nautica, disattende l’art. 312 della Direttiva IVA in quanto tale disposizione impone di includere nel prezzo di acquisto e, quindi, nel margine esclusivamente i corrispettivi che i rivenditori devono ottenere dai fornitori e non anche da soggetti diversi dai fornitori. Ed infatti, il n. 2) dell’artt. 312 della Direttiva IVA definisce come “prezzo d’acquisto” “tutto ciò che costituisce il corrispettivo definito al punto 1)” ovverosia tutto ciò che costituisce il corrispettivo di vendita e quindi “… le imposte, i dazi, i prelievi e le tasse, le spese accessorie quali commissioni, spese di imballaggio, di trasporto e di assicurazione …” “che il fornitore ha ottenuto o deve ottenere dal soggetto passivo-rivenditore”(6).

Inoltre, la predetta disposizione disattende anche gli artt. 314 e 316 della Direttiva in quanto tali disposizioni assoggettano al regime del margine soltanto gli acquisti di beni usati, oggetti d’arte, da collezione o d’antiquariato effettuati, rispettivamente, la prima, presso fornitori che non abbiano detratto l’IVA in quanto tali acquisti siano non soggetti ad IVA, esenti (7) o soggetti al regime del margine, nonché, la seconda, presso fornitori di Stati extraunionali, autori o loro aventi causa e soggetti passivi che applicano un’aliquota ridotta. Ed infatti, l’art. 314 della Direttiva definisce come “fornitore” esclusivamente “a) una persona che non sia soggetto passivo; b) un altro soggetto passivo, qualora la cessione del bene da parte di quest’ultimo sia esentata conformemente all’art. 136; c) un altro soggetto passivo, qualora la cessione del bene da parte di quest’ultimo benefici della franchigia per le piccole imprese prevista agli articoli da 282 a 292 e riguardi un bene d’investimento; d) un altro soggetto passivo-rivenditore, qualora la cessione del bene da parte di quest’ultimo sia stata assoggettata” al regime del margine. D’altro canto, il sucessivo art. 316 impone agli Stati membri di concedere la facoltà di assoggettare al regime del margine anche le sole importazioni di oggetti d’arte, da collezione o d’antiquariato, nonché gli acquisti di oggetti d’arte eseguiti dagli autori e dai loro aventi causa o da soggetti passivi che abbiano applicato un’aliquota ridotta.

SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Finalità del regime del margine
La principale finalità del regime del margine è evitare una doppia imposizione agli effetti dell’IVA, in quanto il prezzo di rivendita è assoggettato ad IVA, sebbene il prezzo di acquisto già includa il controvalore dell’IVA non detratta. Finalità questa che non ricorre per i beni e servizi che i soggetti passivi abbiano assoggettato ad IVA, quali le spese di manutenzione e riparazione e le spese accessorie addebitate da soggetti passivi terzi, nonché i canoni di locazione finanziaria e il prezzo di riscatto addebitati dalle società concedenti, per il fatto che, in tal caso, i rivenditori sarebbero legittimati a portare in detrazione tale imposta, senza pertanto subire alcuna doppia imposizione.

Coerentemente, la Direttiva IVA prevede che gli Stati membri devono negare ai rivenditori la detraibilità dell’IVA, nell’art. 322, esclusivamente per gli acquisti di beni la cui cessione può essere facoltativamente assoggettata al regime del margine ai sensi dell’art. 316, nonché nell’art. 323, per gli acquisti di beni da altri rivenditori che applicano il regime del margine proprio per il fatto che soltanto questi acquisti possono essere soggetti a tale imposta (8). Pertanto tale Direttiva non prevede la facoltà di negare ai rivenditori la detraibilità dell’IVA anche per altri acquisti di beni, ivi compresi, quindi, quelli eseguiti presso soggetti passivi stabiliti in Italia, nonché per gli acquisti di servizi, salvo che non siano accessori ad acquisti di beni facoltativamente assoggettati al predetto regime.

Le indicazioni che si traggono dalle prescrizioni della Direttiva IVA trovano conferma anche nella principale finalità del regime del margine che, come si è visto, è evitare una doppia imposizione agli effetti di tale imposta in quanto il prezzo di rivendita sia assoggettato ad IVA, sebbene il prezzo di acquisto già includesse il controvalore dell’IVA non detratta (9). Finalità questa che evidentemente non ricorre per i beni e servizi che i soggetti passivi abbiano assoggettato ad IVA, quali appunto le spese di manutenzione e riparazione e le spese accessorie addebitate da soggetti passivi terzi, nonché i canoni di locazione finanziaria e il prezzo di riscatto addebitati dalle società concedenti per il fatto che, in tal caso, i rivenditori sarebbero legittimati a portare in detrazione tale imposta, senza pertanto subire alcuna doppia imposizione.

Né vale obiettare che il comma 4 dell’art. 36 del D.L. n. 41 considera indetraibile l’IVA afferente non solo “l’acquisto, anche intracomunitario, o l’importazione dei beni usati, degli oggetti d’arte e di quelli d’antiquariato o da collezione”, ma anche “le prestazioni di riparazione o accessorie”, in quanto tale disposizione potrebbe esser volta a negare la detraibilità dell’IVA assolta sulle predette prestazioni, nel caso in cui siano accessorie ad acquisti soggetti ad IVA facoltativamente assoggettabili al regime del margine.

IL VAT EXPERT GROUP
Costi promozionali, di riparazione e manutenzione
Il VAT Expert Group, nelle sue Linee Guida dell’8 luglio 2016, in conformità con il disposto letterale della Direttiva IVA, ha affermato che i costi promozionali, quali i costi delle presentazioni, i costi di riparazione e manutenzione, i costi di trasporto e di assicurazione, i costi di gestione dei progetti artistici ecc., sostenuti da un soggetto passivo-rivenditore in relazione alla vendita di opere d’arte, poiché non possono essere qualificati come spese accessorie legate alla transazione, non possono essere considerati come componenti del prezzo di acquisto. Pertanto, il Comitato IVA ha concordato che, laddove un rivenditore soggetto passivo sostiene costi per la riparazione o simili di beni per i quali si applica il regime speciale per beni di seconda mano, opere d’arte, oggetti da collezione e antiquariato e poiché tali costi non possono essere imputati al prezzo di acquisto, il soggetto passivo-rivenditore ha diritto alla detrazione dell’IVA pagata o dovuta a monte secondo le normali regole di cui al titolo X della Direttiva IVA.

Da ultimo, è significativo rilevare che il VAT Expert Group nelle sue Linee Guida dell’8 luglio 2016, in conformità con il disposto letterale della Direttiva IVA, dopo aver premesso di concordare all’unanimità sul fatto che “il prezzo di acquisto come definito nel punto 2) dell’art. 312 della Direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che costituisce tutto ciò che costituisce il corrispettivo ottenuto o che deve essere ottenuto dal rivenditore soggetto passivo dal suo fornitore, ivi inclusi i sussidi direttamente collegati alla transazione, le imposte, i dazi, i prelievi e le tasse e spese accessorie come commissioni, imballaggio, trasporto e costi assicurativi addebitati dal fornitore al soggetto passivo-rivenditore”, ha rilevato di concordare quasi all’unanimità che pertanto, “per quanto riguarda i costi promozionali, quali i costi delle presentazioni, i costi di riparazione e manutenzione, i costi di trasporto e di assicurazione, i costi di gestione dei progetti artistici ecc., sostenuti da un soggetto passivo-rivenditore in relazione alla vendita di opere d’arte …, poiché non possono essere qualificati come spese accessorie legate alla transazione, tali costi non possono essere considerati come componenti del prezzo di acquisto”. Pertanto, il Comitato IVA ha concordato quasi all’unanimità che, “laddove un rivenditore soggetto passivo sostiene costi per la riparazione o simili di beni per i quali si applica il regime speciale per beni di seconda mano, opere d’arte, oggetti da collezione e antiquariato e poiché tali costi non possono essere imputati al prezzo di acquisto, il soggetto passivo-rivenditore ha diritto alla detrazione dell’IVA pagata o dovuta a monte secondo le normali regole di cui al titolo X della Direttiva IVA”.

Le indicazioni fornite dal VAT Expert Group trovano conferma in un’analisi comparata delle disposizioni nazionali di attuazione degli artt. 312 ss. della Direttiva IVA adottate nei principali Stati membri (reperibili sui siti web ufficiali delle rispettive Amministrazioni finanziarie) in quanto esse impongono di determinare il margine sulla base della differenza fra il prezzo di vendita dei beni usati ed il prezzo di acquisto di tali beni corrisposto al fornitore privo del diritto alla detrazione dell’IVA. In particolare, tali disposizioni recitano: per quanto attiene alla Francia, “la base imponibile per le cessioni da parte di un soggetto passivo-rivenditore di beni di seconda mano, opere d’arte, oggetti da collezione o oggetti d’antiquariato che gli sono stati consegnati da un soggetto non soggetto ad IVA o da una persona che non è autorizzata ad addebitare l’imposta sul valore aggiunto in relazione a tali cessioni è costituito dalla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto” (par. 1 dell’art. 297a del Code général des impôts francese, www.legifrance.gouv.fr); per quanto attiene alla Repubblica Federale Tedesca, “il margine è determinato in base all’importo di cui il prezzo di vendita supera il prezzo di acquisto del bene” (par. 24a della UStG tedesca, www.gesetze-im-internet.de); per quanto attiene alla Spagna, “il margine di profitto è costituito dalla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto del bene”, e “il prezzo di acquisto sarà costituito dall’importo totale del corrispettivo corrispondente all’acquisizione della proprietà trasferita, determinato in conformità alle disposizioni degli artt. 78, 79 e 82 della presente Legge, più l’importo dell’IVA che, se applicabile, ha tassato l’operazione” (art. 137 della Ley 37/1992, Impuesto sobre el Valor Añadido spagnola, www.boe.es); per quanto attiene ai Paesi Bassi, “nel caso in cui un rivenditore ceda beni usati, opere d’arte, oggetti da collezione o antiquariato, in deroga all’art. 8, par. 1, l’imposta è calcolata sul margine di profitto. Il margine di profitto è la differenza tra il prezzo di vendita e quanto è stato o deve essere pagato per la cessione di tale bene al rivenditore” (art. 28-ter della Wet op de omzetbelasting, Legge sull’imposta sulle vendite olandese del 1968, www.wetten.overheid.nl); e, infine, per quanto attiene al Lussemburgo, per “prezzo di acquisto” si intende “tutto ciò che costituisce il corrispettivo definito alla lettera a), ottenuto o da ottenere presso il soggetto passivo-rivenditore dal suo fornitore” (art. 56ter-1 della Loi Concernant La Taxe Sur La Valeur Ajoutée (TVA) lussemburghese, www.gouvernement.lu).

Ma v’è di più. L’art. 313 della Direttiva IVA non provvede ad estendere il regime del margine anche alla cessione di contratti di locazione finanziaria di beni mobili usati in quanto tale disposizione assoggetta a tale regime esclusivamente le “cessioni di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o d’antiquariato”(10).

La scelta di estendere tale regime anche alla cessione di tali contratti non sembra trovare fondamento nella lett. b) del par. 2 di tale articolo, laddove assimila alla cessione di beni “la consegna materiale di un bene in base ad un contratto che prevede la locazione di un bene per un dato periodo o la vendita a rate di un bene, accompagnate dalla clausola secondo la quale la proprietà è normalmente acquisita al più tardi all’atto del pagamento dell’ultima rata”, poiché tale ultima rata non consiste in “una somma supplementare importante”(11). Ed infatti l’Italia ha scelto di considerare la locazione finanziaria come una prestazione di servizi, indipendentemente dall’entità del prezzo di riscatto, posto che se, da un lato, il comma 1 dell’art. 3 del D.P.R. n. 633, qualifica come tali “le concessioni di beni in locazione, affitto, noleggio e simili”, dall’altro lato, l’art. 2 qualifica come cessioni di beni soltanto “le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti”.

Tuttavia, la scelta così individuata potrebbe essere motivata dal fatto che l’acquisto da soggetti privi del diritto alla detrazione dell’IVA della posizione di utilizzatore in un contratto di locazione finanziaria e la successiva rivendita di tale posizione potrebbe comportare una parziale doppia imposizione agli effetti dell’IVA nel caso in cui la durata del contratto di locazione finanziaria sia inferiore alla vita utile del bene locato. Ed infatti, in tal caso, l’eventuale eccedenza del valore di mercato del bene locato rispetto al valore attuale del debito residuo nei confronti della società concedente, dopo aver essere stato assoggettato ad IVA a carico degli utilizzatori, sarebbe nuovamente assoggettato ad IVA a carico dei rivenditori all’atto della rivendita del bene (12).

Comunque, al di là di tale questione, l’inclusione nel regime del margine anche dei canoni, nonché dei corrispettivi per il riscatto dei contratti addebitati dalle società concedenti si pone in contrasto non solo con l’art. 312 della Direttiva IVA, per il fatto che, come si è visto, tale disposizione consente di includere nel margine esclusivamente i corrispettivi addebitati da fornitori privi del diritto alla detrazione dell’IVA, ma anche con lo stesso dettato dell’art. 36 del D.L. n. 41 in quanto tali corrispettivi non sono configurabili non solo ovviamente come spese di manutenzione o riparazione, ma neppure come spese accessorie all’acquisto dei contratti di locazione finanziaria in quanto sono corrisposti soltanto successivamente al loro acquisto per l’utilizzo del bene locato.

Né d’ altro canto può obiettarsi che i canoni sarebbero in realtà configurabili come costi di acquisto dei beni usati oggetto dei contratti di locazione finanziaria in quanto, come si è visto, il comma 1 dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972 considera i predetti contratti come prestazioni di servizi agli effetti dell’IVA e, una volta che siano stati considerati tali dalle parti, non si vede come possono essere considerati come cessioni di beni dal rivenditore che subentri nella posizione dell’utilizzatore.

LA QUESTIONE INTERPRETATIVA
Inclusione nel margine delle spese di riparazione e accessorie
L’inclusione nel margine anche delle spese di riparazione e accessorie addebitate ai rivenditori da soggetti diversi dai fornitori, dopo l’acquisto, nonché dei canoni e dei corrispettivi per il riscatto dei contratti di locazione finanziaria addebitati dalle società concedenti, risulta di fatto neutrale, nel caso in cui il margine risulti pari o superiore a zero e i soggetti passivi dispongano del pieno diritto alla detrazione dell’IVA, in quanto la mancata detrazione dell’IVA assolta sull’importo delle predette spese trova contropartita nel pagamento di una minore IVA sul margine. Tuttavia, l’inclusione di tali spese nel margine non risulta neutrale, nel caso in cui sia adottato il regime del margine globale, in quanto in tal caso l’IVA può essere recuperata soltanto nel periodo d’imposta in cui il margine negativo può essere compensato con un margine positivo e, nel caso in cui sia adottato il regime del margine analitico, in quanto in tal caso la predetta imposta non può più essere recuperata.

Impatto sulla determinazione dell’IVA dell’inclusione nel margine delle spese di riparazione e accessorie

L’inclusione nel margine anche delle spese di riparazione ed accessorie addebitate ai rivenditori da soggetti diversi dai fornitori, dopo l’acquisto, nonché dei canoni e dei corrispettivi per il riscatto dei contratti di locazione finanziaria addebitati dalle società concedenti, risulta di fatto neutrale, nel caso in cui il margine risulti pari o superiore a zero e i soggetti passivi dispongano del pieno diritto alla detrazione dell’IVA in quanto la mancata detrazione dell’IVA assolta sull’importo delle predette spese trova contropartita nel pagamento di una minore IVA sul margine. Valga, ad esempio, il caso di un rivenditore che abbia acquistato un bene usato a 1.220 euro e, dopo aver sostenuto spese di manutenzione al lordo dell’IVA al 22% per l’importo di 122 euro, lo abbia venduto a 2.196 euro. In tal caso tale rivenditore dovrà complessivamente versare 154 euro di IVA non solo se non assoggetti le spese di manutenzione al regime del margine (prezzo rivendita 2.196 – costo acquisto 1.220 euro = margine positivo 976 euro > scorporo IVA 976: 1,22 = 800 > IVA dovuta sul margine 176 euro – IVA detraibile 22 euro = 154 euro), ma anche se le assoggetti al predetto regime (prezzo rivendita 2196 – costo di acquisto 1.220 euro – 122 euro spesa manutenzione = margine positivo 854 euro = IVA dovuta sul margine 154), potendo in questo caso dedurre dal margine l’IVA indetraibile addebitata dal fornitore.

Tuttavia, l’inclusione di tali spese nel margine non risulta neutrale, nel caso in cui sia adottato il regime del margine globale, in quanto in tal caso l’IVA può essere recuperata soltanto nel periodo d’imposta in cui il margine negativo può essere compensato con un margine positivo e, nel caso in cui sia adottato il regime del margine analitico, in quanto in tal caso la predetta imposta non può più essere recuperata.

Pertanto, l’art. 36 del D.L. n. 41, così come interpretato dall’A.F., comporta una penalizzazione per i soggetti che applicano il regime del margine per il fatto che comporta il differimento o la perdita del diritto alla detrazione dell’IVA loro addebitata sulle spese indebitamente assoggettate a tale regime.

Art. 36 del D.L. n. 41: possibilità di interpretazione conforme alla Direttiva IVA o di disapplicazione

Per tutte le considerazioni esposte, i rivenditori devono ritenersi legittimati ad escludere dal margine le spese di riattazione, le spese accessorie, i canoni di locazione ed il prezzo di riscatto addebitati da soggetti passivi IVA dopo l’acquisto, detraendo l’IVA relativa in via analitica. Ed infatti l’art. 36 del D.L. n. 41 non sembra precludere un’interpretazione conforme alle prescrizioni dell’art. 312, nonché degli artt. 314 e 316 della Direttiva IVA in quanto non specifica che le spese di riparazione ed accessorie sono anche quelle addebitate da soggetti diversi dai fornitori e, comunque, anche se precludesse tale interpretazione, la predetta disposizione sarebbe comunque suscettibile di essere disapplicata per la violazione delle prescrizioni medesime per il generale principio secondo cui le Direttive, pur avendo come diretti destinatari gli Stati membri, sono direttamente efficaci nel caso in cui siano self executing in quanto siano incondizionate e sufficientemente precise, ogniqualvolta non siano state attuate o non siano state attuate correttamente (13). Le predette disposizioni sono dotate di efficacia diretta poiché soddisfano tale presupposto, non accordando alcuna opzione alternativa agli Stati membri per quanto attiene alla determinazione del prezzo di acquisto e all’individuazione degli acquisti assoggettabili al regime del margine. Naturalmente rimane inteso che l’adeguamento dei contribuenti alle prescrizioni della Direttiva IVA potrebbe esporli al rischio dell’irrogazione di sanzioni fino a che l’AdE non avrà riconsiderato il proprio orientamento. Non resta quindi che auspicare un suo pronto ripensamento.

Note:

(1) Convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 marzo 1995, n. 85.

(2) Non sono quindi soggetti al regime del margine gli acquisti dei beni così individuati effettuati presso soggetti di altri Stati UE che non fruiscono a loro volta di tale regime in quanto, costituendo acquisti intracomunitari (in questo senso circolare 18 luglio 2003, n.40/E), danno diritto alla detrazione.

(3) Secondo quanto chiarito dall’A.G. Szpunzar nel par. 42 delle Conclusioni del 13 settembre 2018, causa C-264/17, Mensing, “lo scopo dell’art. 316 della Direttiva 2006/112 non è quello di evitare la doppia imposizione, ma, come spiega la Commissione nelle sue osservazioni, quello di evitare gli eccessivi oneri amministrativi a carico di soggetti passivi-rivenditori, i quali deriverebbero dalla necessità di esaminare e dimostrare, volta per volta, se nel prezzo di un determinato oggetto d’arte sia inclusa l’IVA pagata monte e quale sia il suo importo”, ivi compreso “anche l’obbligo del soggetto passivo-rivenditore di tenere una doppia contabilità”.

(4) La predetta opzione è accordata anche per gli acquisti intracomunitari di oggetti d’arte, non essendo il suo esercizio subordinato alla condizione che i fornitori siano privi del dritto alla detrazione dell’IVA (cfr. CGE 29 novembre 2018, causa C264/17, Mensing).

(5) CGE 11 marzo 2011, causa C-203/10, Auto Nikolodi.

(6) L’A.G. Szpunzar nel par. 49 delle Conclusioni cit. ha dato per acquisito che “il margine che costituisce la base imponibile nel regime del margine è rappresentato dalla differenza tra il prezzo di vendita del bene chiesto dal soggetto passivo-rivenditore e il prezzo di acquisto del bene che quest’ultimo ha pagato al fornitore” posto che “l’art. 312, punto 2, della Direttiva in parola, definisce il prezzo di acquisto come tutto ciò che costituisce il corrispettivo che il fornitore ha ottenuto dal soggetto passivo-rivenditore”.

(7) Hanno affermato che l’art. 314 della Direttiva ha ad oggetto esclusivamente cessioni non soggette ad IVA non solo l’A.G. Szpunzar, laddove nelle sue Conclusioni ha rilevato che “l’art. 314 della Direttiva 2006/112 esclude l’esistenza stessa dell’imposta a monte, in quanto esso riguarda le cessioni che non sono in alcun modo soggette all’IVA o che sono state esentate da tale imposta” (così il par. 32 delle Conclusioni), ma anche la stessa CGE, laddove a sua volta ha statuito che “le situazioni contemplate dall’art. 314 della Direttiva IVA … presuppongono che la cessione dell’oggetto d’arte al soggetto passivo-rivenditore non sia soggetta a IVA o ne sia esente” (così il par. 30 di CGE Mensing).

(8) L’A.G. Szpunzar nel par. 31 delle Conclusioni, cit., ha precisato che tale disposizione “priva il soggetto passivo-rivenditore del diritto alla detrazione dell’imposta pagata a monte sui beni che esso vende nell’ambito del regime del margine, in tre casi che corrispondono a quelli previsti dall’art. 316, par. 1. In particolare, l’art. 322, lettera a), riguarda l’importazione [art. 316, paragrafo 1, lettera a)], l’art. 322, lettera b), riguarda l’acquisto degli oggetti d’arte dall’autore o dai suoi aventi diritto [art. 316, paragrafo 1, lettera b)], e l’art. 322, lettera c), riguarda l’acquisto degli oggetti d’arte da altri soggetti passivi con l’applicazione di un’aliquota ridotta [art. 316, paragrafo 1, lettera c)].

(9) Così ancora l’A.G. Szpunzar nel par. 31 delle Conclusioni, cit.

(10) Si ricorda che le Direttive unionali non possono essere invocate dallo Stato Italiano per disapplicare la normativa nazionale per il fatto che, non essendo direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri ai sensi dell’art. 288 del TFUE (già art. 249 del Trattato CE), non possono mai essere invocate dagli Stati membri a danno dei cittadini unionali, anche quando siano direttamente efficaci in quanto rechino disposizioni dettagliate e incondizionate (così fra le altre CGE 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall e 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen).

(11) Così CGE 4 ottobre 2017, causa C-164/16, Mercedes Benz.

(12) Valga ad esempio il caso di un rivenditore che abbia acquisito la posizione di utilizzatore di un contratto di locazione finanziaria di durata pari a 5 anni che abbia ad un oggetto un bene di valore pari a 1.000 euro e una vita utile di 10 anni, alla fine del quarto anno, per un prezzo di 400 euro in quanto il valore di mercato residuo del bene locato sia pari a 600 euro (=1.000 – 400) ed il debito residuo attualizzato sia pari a 200 euro. In tal caso, se il rivenditore riuscisse a rivendere il contratto dopo pochi giorni sempre a 400 euro, dovrebbe assoggettare ad IVA il prezzo di vendita di 400 euro, anche se l’utilizzatore avesse già pagato l’IVA sull’intero importo dei canoni versati.

(13) CGE 3 marzo 2011, causa C-203/10, Auto Nikolovi OOD, ha ritenuto che l’art. 314 della Direttiva IVA sia direttamente efficace.

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