Corr. Trib. 1/2025, p. 18 e segg.
Per l’individuazione delle operazioni esenti da IVA accessorie ad operazioni imponibili che devono essere escluse dal pro-rata c.d. generale di detraibilità dell’IVA, la giurisprudenza di legittimità, nelle sue più recenti pronunce, tende ad attribuire rilevanza determinante ad un criterio meramente quantitativo e cioè quello della prevalenza del volume di affari delle attività imponibili rispetto a quello delle attività esenti. Secondo l’orientamento della Corte di Giustizia UE, invece, le operazioni esenti sono qualificabili come accessorie ad operazioni imponibili qualora l’attività esente costituisca il prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività imponibile dell’impresa ovvero, pur non costituendone il prolungamento, implichi un impiego significativo di beni e servizi per i quali l’IVA è dovuta.
Riferimenti
- D.P.R. 26-10-1972, n. 633, Art. 19 – Detrazione
- D.P.R. 26-10-1972, n. 633, Art. 19-bis – Percentuale di detrazione
Per quanto attiene al regime di detrazione dell’IVA una delle questioni che è sempre più dibattuta è sicuramente quella relativa all’ individuazione delle operazioni attive non comportanti il diritto alla detrazione dell’imposta che devono essere escluse dal denominatore del pro-rata di detraibilità dell’IVA ai sensi dell’art. 19- bis d e l D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in quanto qualificabili come accessorie ad operazioni attive imponibili ed assimilate. L’ interpretazione fornita più di recente di tale disposizione dalla giurisprudenza di legittimità si è infatti progressivamente disallineata dall’oramai consolidata interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“GCE”) degli artt. 173 e 174 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’IVA (“Direttiva IVA”) a cui essa dà attuazione. Pertanto con il presente contributo, dopo aver analizzato la normativa unionale e quella nazionale sul regime di detrazione dell’IVA, si spiegherà perché è ravvisabile un tale disallineamento.
Il regime unionale del pro-rata di detraibilità dell’IVA
Il regime di detraibilità dell’IVA previsto dalla normativa unionale risulta più lineare di quello domestico. In particolare, secondo il regime unionale, l’IVA è ammessa in detrazione ai sensi degli artt. 168 e 169 della Direttiva IVA (già par. 2 dell’art. 17 della Sesta Direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, “Sesta Direttiva”) per le operazioni passive che siano utilizzate per effettuare le operazioni attive che conferiscono il diritto alla detrazione ivi elencate, nonché, ai sensi del par. 1 dell’art. 173 della medesima Direttiva (già comma 1 del par. 5 dell’art. 17 della Sesta Direttiva), con un pro-rata specifico per le sole operazioni passive, che siano utilizzate tanto per operazioni attive che conferiscono il diritto alla detrazione, quanto per le operazioni attive che non lo conferiscono[1].
Pertanto, i soggetti passivi sono ammessi a detrarre con il pro-rata specifico così individuato l’IVA assolta sulle sole operazioni passive che siano destinate ad un utilizzo promiscuo. Tuttavia la lett. d) del par. 2 dell’art. 173 della Direttiva IVA (già lett. d del comma 3 del par. 5 dell’art. 17 della Sesta Direttiva), come interpretata dalla CGE, legittima gli Stati membri a consentire la detrazione dell’IVA assolta sulle operazioni passive dai soggetti passivi che pongano contemporaneamente in essere operazioni attive che conferiscono il diritto alla detrazione ed operazioni attive che non lo conferiscono con un pro-rata generale esteso a tutte le operazioni passive e, quindi, anche a quelle che non sono ad uso promiscuo. Ed infatti, il giudice comunitario ha statuito che “l’art. 17, par. 5, terzo comma, lett. d), della Sesta Direttiva … deve essere interpretato nel senso che il metodo di calcolo del diritto a detrazione dell’IVA che esso prevede implica il ricorso a un pro-rata fondato sulla cifra d’affari” e che però è soggetta a tale pro-rata la detrazione dell’IVA assolta sul “complesso dei beni e dei servizi utilizzati dal soggetto passivo al fine di realizzare tanto le operazioni che danno diritto a detrazione, quanto quelle che non conferiscono tale diritto, senza che sia necessario che tali beni e servizi servano ad effettuare sia l’uno sia l’altro tipo di operazioni” in quanto, se tale disposizione fosse applicabile “unicamente con riferimento ai beni e ai servizi utilizzati per realizzare ‘sia’ operazioni che danno diritto a detrazione ‘sia’ operazioni che non conferiscono tale diritto”, si sovrapporrebbe al comma 1 di cui costituisce invece una deroga[2]. Pertanto, “applicando la regola di calcolo prevista all’art. 17, par. 5, terzo comma, lett. d), della Sesta Direttiva, i soggetti passivi non hanno l’obbligo di imputare i beni e i servizi che acquistano o alle operazioni che danno diritto a detrazione, o a quelle che non conferiscono un tale diritto, o a entrambi i tipi di operazioni”[3].
Per contro, l’art. 173 della Direttiva IVA non prevede alcun criterio per la determinazione dell’IVA detraibile assolta sulle operazioni passive utilizzate per effettuare contemporaneamente tanto operazioni attive che abbiano natura economica e cioè commerciale[4], quanto operazioni che non abbiano tale natura[5]. Pertanto, secondo la CGUE, in tal caso, sono gli Stati membri a dover individuare tale criterio, con il duplice vincolo a tenere conto dello “scopo e dell’economia di tale Direttiva” ed a riflettere “oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese a monte a ciascuna di queste due attività”, potendo quindi utilizzare anche “un criterio di ripartizione basato sulla natura
dell’investimento, sulla natura dell’operazione o ancora ogni altro criterio appropriato, senza essere obbligati a limitarsi ad uno solo di tali metodi”[6].
Il pro-rata deve essere determinato, ai sensi del par. 1 del successivo art. 174 della Direttiva IVA (già art. 19 della Sesta Direttiva), mettendo a rapporto al numeratore il volume d’affari delle operazioni attive che danno diritto a detrazione ai sensi dei precedenti artt. 168 e 169 ed al denominatore il volume d’affari, oltre che delle predette operazioni attive, anche delle operazioni attive che non conferiscono il diritto alla detrazione. Tuttavia il successivo par. 2 prevede che, per la determinazione di tale rapporto, non devono essere considerate le operazioni esenti di cui alle lett. da b) a g) del par. 1 dell’art. 135 della medesima Direttiva che siano qualificabili come “accessorie alle operazioni imponibili”, stando a quanto si legge nella relazione della proposta di Sesta Direttiva IVA per “evitare che possano falsarne il significato reale nella misura in cui essi non riflettano l’attività professionale del soggetto passivo” come appunto nel caso delle “vendite di beni di investimento e delle operazioni immobiliari o finanziarie effettuate a titolo accessorio”[7].
Infine, i soggetti passivi che pongano contemporaneamente in essere attività che danno luogo ad operazioni attive soggette, non soggette ed esenti da IVA devono determinare l’IVA detraibile sulla base del pro-rata c.d. generale, scomputando prioritariamente dall’ importo dell’IVA assolta sulle operazioni passive, l’importo dell’IVA indetraibile sulla base del pro-rata specifico di detraibilità dell’IVA afferente alle operazioni non soggette[8].
Il regime nazionale del pro-rata di detraibilità dell’IVA
Per contro, secondo il regime nazionale, la detraibilità dell’IVA è in via di principio ammessa, ai sensi del comma 1 dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, per le operazioni passive per il semplice fatto che siano poste in essere nell’esercizio dell’impresa. Tuttavia, per assicurare che l’IVA detraibile sulle operazioni passive trovi copertura nell’ importo dell’IVA dovuta sulle operazioni attive, i successivi commi del predetto articolo dettano una serie articolata di regole che derogano il principio così posto.
In particolare, il comma 2, per quanto attiene alle operazioni passive, che, pur essendo state poste in essere “nell’esercizio dell’impresa”, siano “afferenti” esclusivamente ad operazioni attive che non conferiscono il diritto alla detrazione dell’IVA in quanto siano esenti ovvero non siano soggette ad imposta, prevede l’integrale indetraibilità dell’IVA.
Coerentemente, il comma 4, per quanto attiene alle operazioni passive afferenti sia ad operazioni attive imponibili, sia ad operazioni non soggette, non essendo individuato dalla Direttiva IVA, come si è visto, alcuno specifico criterio, ne prevede l’indetraibilità soltanto per la quota imputabile alle operazioni non soggette ed impone di determinarla in via analitica in quanto stabilisce che “per i beni ed i servizi in parte utilizzati per operazioni non soggette all’ imposta la detrazione non è ammessa per la quota imputabile a tali utilizzazioni e l’ammontare indetraibile è determinato secondo criteri oggettivi, coerenti con la natura dei beni e servizi acquistati”.
Per contro, il comma 5, nel caso in cui il soggetto passivo eserciti “sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi dell’art. 10” e, quindi, effettui in via continuativa operazioni di entrambe le tipologie, stante l’espresso riferimento eseguito da tale disposizione alle “attività” che danno luogo alle operazioni medesime[9], sancisce l’indetraibilità dell’IVA soltanto per la quota imputabile alle operazioni attive esenti, ma, a differenza di quanto previsto per le operazioni attive non soggette ad IVA, impone di determinare tale quota di IVA indetraibile mediante l’utilizzo del pro-rata, oltre che per le operazioni passive ad utilizzo promiscuo, anche per le operazioni passive afferenti operazioni attive che conferiscono il diritto alla detrazione d’imposta.
Tuttavia il comma 2 dell’art. 19-bis mantiene ferma l’indetraibilità specifica dell’IVA assolta sulle operazioni passive utilizzate esclusivamente per effettuare operazioni attive esenti di cui ai nn. da 1) a 9) dell’art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 e quindi il pro-rata c.d. generale previsto da tale disposizione non si applica anche a tali operazioni. Pertanto, sebbene la CGUE, come si è visto, abbia concluso sulla base delle allegazioni delle parti del giudizio che il predetto pro-rata sarebbe inquadrabile nella disposizione di deroga prevista dalla lett. d) del par. 2 dell’art. 173 della Direttiva IVA, laddove consente
l’introduzione di un pro-rata c.d. generale per tutte le operazioni passive, rimane dubbio che sia così in quanto il predetto pro-rata non si estende anche alle operazioni passive utilizzate esclusivamente per l’effettuazione di operazioni esenti[10].
Per evitare che, per effetto del pro-rata, le operazioni attive esenti possano comportare l’indetraibilità dell’IVA anche nel caso in cui per effettuarle non si sia reso necessario
l’impiego significativo di beni o servizi per i quali sia dovuta l’IVA, in attuazione della lett. c) del par. 2 dell’art. 174 della Direttiva IVA (già par. 2 dell’art. 19 della Sesta Direttiva), il comma 2 del medesimo art. 19- bis del D.P.R. n. 633/1972 prevede che “per il calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1 non si tiene conto …quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili, delle altre operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) del predetto art. 10”.
Pertanto, i soggetti passivi che pongano in essere in via continuativa operazioni esenti devono escludere dal pro-rata c.d. generale le operazioni esenti effettuate in via continuativa che altrimenti vi dovrebbero essere incluse, “quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili”.
Le operazioni attive esenti escluse dal pro-rata di detraibilità IVA per la CGE e l’AdE
Così ricostruita la disciplina unionale e nazionale del regime di detrazione dell’IVA, possiamo passare a stabilire quando le operazioni attive esenti devono essere escluse dal denominatore del pro-rata di detraibilità dell’IVA ai sensi dell’art. 19- bis del D.P.R. n. 633/1972 in quanto “non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo ovvero siano accessorie alle operazioni attive imponibili”, ove tale disposizione sia interpretata in conformità alla Direttiva IVA e alla giurisprudenza unionale.
Ebbene, è oramai orientamento consolidato del giudice comunitario che, per
l’individuazione delle operazioni attive esenti qualificabili come accessorie alle operazioni attive imponibili, assume rilevanza decisiva un criterio qualitativo, e cioè la loro estraneità all’attività imponibile abituale dell’impresa, proprio nell’ implicito presupposto che, in tal caso, non dovrebbero comportare l’utilizzo dell’organizzazione di beni e servizi creata dal soggetto passivo per l’esercizio della predetta attività, sempreché naturalmente, in una simile eventualità, non comportino un significativo impiego di beni o servizi per i quali l’IVA è dovuta.
In particolare, il giudice unionale ha ritenuto qualificabili come accessorie le operazioni attive che non costituiscono “il prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività imponibile dell’impresa”[11] per il fatto che le operazioni attive che rivestono “un carattere inusuale rispetto all’attività corrente del soggetto passivo interessato” non richiedono “un utilizzo dei beni o dei servizi ad uso misto … proporzionale al fatturato” da esse generato[12], nonché le operazioni che, pur esorbitando dall’attività imponibile dell’ impresa, non comportino, comunque, “un impiego significativo di beni e di servizi per i quali l’IVA è dovuta”[13]. Ed infatti, “l’inclusione di tale fatturato nel calcolo del pro-rata di detrazione falserebbe il suo risultato nel senso che esso non rifletterebbe più la rispettiva parte di impiego dei beni o servizi adibiti ad un uso misto per le attività imponibili e le attività esenti”[14].
Inoltre, la CGUE, pur avendo riconosciuto che “l’entità dei redditi provenienti dalle operazioni finanziarie ricomprese nella sfera di applicazione della Sesta Direttiva può costituire un indizio nel senso che tali operazioni non debbano essere considerate accessorie ai sensi dell’art. 19, n. 2, secondo periodo, della Sesta Direttiva”, ha statuito che “la circostanza che redditi superiori a quelli prodotti dall’attività indicata come principale dall’ impresa interessata provengano da tali operazioni non può, di per sé, escludere la qualificazione di queste ultime quali ‘operazioni accessorie’ ai sensi della disposizione medesima”[15]. Pertanto, stando a tale indicazione, le operazioni che non costituiscano il prolungamento dell’attività imponibile abituale del soggetto passivo, e non comportino un impiego significativo di beni o servizi per i quali l’IVA è dovuta, rimangono qualificabili come accessorie, anche se siano produttive di ricavi di importo superiore a quello dell’attività abituale, non risultando decisiva a questo fine quest’ultima circostanza.
Sulla base delle statuizioni così individuate, il giudice comunitario, se da un lato ha escluso che siano qualificabili come accessorie le operazioni di investimento poste in essere dalle “ imprese amministratrici di stabili” tramite gli “anticipi di fondi affidati loro dai condomini e dai locatari degli stabili amministrati”[16], dall’altro lato, ha ritenuto invece che siano qualificabili come accessorie “la concessione annuale [e quindi continuativa] di prestiti da parte di una holding alle società partecipate [e quindi a più di una società] e gli investimenti della medesima in depositi bancari ovvero in titoli, quali buoni del Tesoro certificati di deposito”, nel presupposto che non si configurano come “il prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività imponibile dell’ impresa” e implicano “solamente un uso estremamente limitato di beni o di servizi per i quali l’IVA è dovuta”[17].
La CGE ha ulteriormente confermato l’orientamento già espresso anche più di recente in quanto, dopo aver premesso che “l’entità dei redditi provenienti dalle operazioni finanziarie ricomprese nella sfera di applicazione della Sesta Direttiva può costituire un indizio del fatto che tali operazioni non debbano essere considerate accessorie”, ha confermato che “la circostanza che redditi superiori a quelli prodotti dall’attività indicata come principale dall’ impresa interessata provengano da tali operazioni non può, di per sé, escludere la qualificazione di queste ultime quali ‘operazioni accessorie’ ai sensi della disposizione medesima”. Ed infatti, a suo avviso, “un’attività economica deve essere qualificata come ‘accessoria’, ai sensi dell’art. 19, paragrafo 2, della Sesta Direttiva qualora essa non costituisca il prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività imponibile dell’impresa e non implichi un impiego significativo di beni e di servizi per i quali l’IVA è dovuta”. Di conseguenza, “la composizione della cifra d’affari del soggetto passivo costituisce un elemento rilevante per determinare se talune operazioni debbano essere considerate come ‘accessorie’” a questo fine, ma rimane comunque determinante il “rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonché, eventualmente, dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’IVA è dovuta”[18].
È significativo rilevare che l’Avvocato Generale della CGE, nelle conclusioni depositate in un giudizio che verteva sull’ interpretazione dell’art. 288 della Direttiva IVA, che esclude dal computo del limite di applicabilità del regime previsto per le piccole imprese “l’importo delle operazioni immobiliari, delle operazioni finanziarie di cui all’art. 135, paragrafo 1, lettere da b) a g) … a meno che tali operazioni non abbiano carattere di operazioni accessorie”, occupandosi proprio dell’ interpretazione della corrispondente nozione di “operazioni accessorie” contenuta nell’art. 174 della Direttiva IVA, ha limpidamente sostenuto che la CGE ha escluso che un’attività economica può qualificarsi “come accessoria qualora essa costituisca il prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività imponibile dell’ impresa oppure implichi un impiego significativo di beni e servizi per i quali l’IVA è dovuta”[19]. Inoltre, sempre nello stesso giudizio, la CGE ha concluso che “le nozioni contenute nelle summenzionate disposizioni, benché utilizzate in contesti diversi, hanno il medesimo oggetto e pertanto la nozione di ‘operazione accessoria’ designa talune operazioni che non rientrano nell’attività professionale abituale del soggetto passivo”[20].
Pertanto, può concludersi che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza unionale, le operazioni attive che non costituiscono il prolungamento dell’attività professionale abituale dell’impresa possono essere considerate accessorie, anche se l’importo dei relativi proventi sia superiore a quello delle attività imponibili, sempreché non implichino un impiego significativo di beni o servizi.
L’A.F. risulta allo stato orientata in senso conforme alla giurisprudenza unionale. Ed infatti il Ministero delle Finanze in alcune pronunce emesse a ridosso dell’introduzione della Sesta Direttiva IVA, evidentemente basandosi sulla relativa relazione, aveva assunto una posizione analoga a quella che avrebbe poi assunto la CGE in quanto, dopo aver premesso che “la nozione di ‘attività propria’, specie per le imprese, va assunta sotto un profilo prevalentemente qualitativo, intesa cioè come quella diretta a realizzare l’oggetto sociale e quindi a qualificare sotto l’aspetto oggettivo l’impresa esercitata”, ha precisato che “per le operazioni normalmente intese di natura finanziaria … previste nei numeri 1 e 4 dell’art. 10, deve ritenersi che tali operazioni, se poste in essere da società industriali o commerciali in conformità degli statuti (che ne prevedano l’effettuazione non come oggetto proprio delle società ma solo in quanto finalizzate al raggiungimento degli scopi sociali) non possono essere considerate come attività propria delle stesse, ma debbono piuttosto essere qualificate come strumentali al migliore svolgimento dell’ordinaria attività esercitata in quanto a supporto di detta attività e tendenti alla più proficua realizzazione economica della medesima; e sotto tale profilo non può darsi rilievo alla loro frequenza o alla loro entità”[21].
Inoltre, tale posizione è stata successivamente fatta propria anche dall’Agenzia delle entrate (“AdE”). In particolare, essa ha ritenuto che siano qualificabili come accessorie le attività che non presentino un nesso funzionale con quelle imponibili in quanto, come statuito dalla CGE con sentenza dell’11 luglio 1996 causa C-306/94, “se tutti i risultati delle operazioni finanziarie del soggetto passivo aventi un nesso con un’attività imponibile dovessero essere inclusi nel detto denominatore, anche qualora l’ottenimento di tali risultati non implichi l’ impiego di beni o di servizi soggetti all’IVA o, almeno, ne implichi solo un impiego limitatissimo, il calcolo della detrazione sarebbe falsato” e ha negato che, a questo fine, possa farsi riferimento ad un criterio quantitativo poiché, sempre come precisato dalla CGE “con sentenza del 20 aprile 2004, causa C-77/01 … affinché un’attività possa essere definita accessoria non è rilevante che le operazioni compiute producano redditi d’ impresa, né che tali redditi possano essere superiori a quelli conseguiti mediante l’attività indicata come principale”. Pertanto, essa ha concluso che la holding di un gruppo che concedeva “finanziamenti alle altre società ad esso appartenenti, utilizzando proprie eccedenze di liquidità ovvero fondi appositamente richiesti al sistema bancario” non si limitava in tal modo ad effettuare operazioni accessorie, ma solo perché tale attività non poteva “considerarsi effettuata con un limitassimo impiego di lavoro, beni e servizi”.
Ed ancora, l’AdE ha sostenuto che le “concessionarie automobilistiche che, oltre all’ordinaria e principale attività di vendita di autoveicoli … procacciano, anche per il tramite di società finanziarie, finanziamenti a favore dei propri clienti allo scopo di favorire ed incentivare le vendite”, effettuano operazioni “accessorie o strumentali all’acquisizione dei contratti di vendita” dei mezzi di trasporto, qualora comportino “un limitato impiego di lavoro, beni e servizi rilevanti ai fini IVA, tale da non costituire una vera e propria organizzazione specifica per la gestione di tali attività”[22].
Infine, ancora l’AdE, dopo aver premesso che “la Corte di Giustizia giunge ad affermare che l’attività esente può essere considerata accessoria se – in base ad una verifica in concreto che spetta al giudice effettuare – l’esercizio della stessa comporti un uso estremamente limitato di beni o servizi non assumendo quindi rilevanza determinante, ai fini del riconoscimento del carattere accessorio dell’attività economica esente, l’entità dei redditi provenienti dalla stessa”, ha escluso che “il servizio di noleggio di una unità navale battente bandiera italiana e/o comunitaria” effettuato da una compagnia di navigazione marittima per “garantire l’assistenza alloggiativa e la sorveglianza sanitaria dei migranti soccorsi in mare ovvero giunti sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi nell’ambito dell’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’ insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili (esente IVA di cui all’art. 10, primo comma, n. 21) del D.P.R. n. 633/1972 del 1972” rientri nell’attività propria della società medesima[23].
Le operazioni attive esenti escluse dal pro-rata di detraibilità IVA per la giurisprudenza di legittimità
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità, se era inizialmente allineato nella sostanza con quello della CGE e dell’A.F. in quanto, per l’individuazione delle operazioni accessorie, attribuiva rilevanza decisiva ad un criterio qualitativo, e cioè al nesso funzionale intercorrente fra l’attività imponibile e quella esente, si è progressivamente disallineato dal predetto orientamento per attribuire rilevanza decisiva ad un criterio quantitativo, e cioè quello della prevalenza del volume di affari, dell’attività imponibile rispetto a quella esente, prescindendo dalla verifica della sussistenza tanto di un nesso funzionale fra tali attività, quanto di un impiego significativo di beni o servizi per i quali l’IVA è dovuta.
Ed infatti, la Suprema Corte in un primo tempo aveva rilevato che, per stabilire se un’attività esente rientrasse nell’attività propria dell’ impresa e se quindi se il relativo volume di affari deve essere considerato nella determinazione del pro-rata, assumeva rilievo decisivo il criterio qualitativo della sussistenza di un nesso funzionale fra tali due attività sulla base della ricognizione dell’attività in concreto esercitata, in quanto aveva affermato “la necessità di avere riguardo, non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, bensì a quella effettivamente svolta dal contribuente nell’esercizio dell’impresa”. Pertanto, a suo avviso, a tal fine, “oltre agli atti che tipicamente esprimano il raggiungimento del fine produttivo enunciato nell’atto costitutivo dell’ente, occorre avere riguardo a quei soli atti ulteriori che si raccordino con detto fine secondo parametri di regolarità causale, o che siano comunque ad esso legati da un nesso di carattere funzionale non meramente occasionale (Cass. 6194/01, 9762/03, 11073/06, 6574/08)”, con la conseguenza che “quegli atti che si pongono, invece, come meramente strumentali e occasionali rispetto al fine dell’impresa, non possono che essere esclusi dalla determinazione del pro-rata di riduzione dell’imposta detraibile”[24].
Senonché la Cassazione, per l’individuazione delle operazioni attive esenti accessorie, pur continuando a richiamare le statuizioni delle precedenti sentenze che consideravano determinante il requisito qualitativo della necessità di un rapporto funzionale fra l’attività esente e quella imponibile, ha poi privilegiato il requisito quantitativo della prevalenza del volume di affari dell’attività esente rispetto a quella imponibile, avendo sostenuto che, “in tema di IVA, ai fini dell’ inclusione nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti, per verificare se una determinata operazione attiva rientri, o meno, nel calcolo del cosiddetto ‘pro-rata’, occorre avere riguardo a quella prevalente concretamente svolta dall’impresa e, a tal fine, ha rilievo l’esistenza di una contabilità distinta, e la misura ingente dell’ammontare dei ricavi derivanti dall’una, rispetto a quelli provenienti dall’altra attività” (Cass. 29 marzo 2019, n. 8813, in senso adesivo 25 febbraio 2020, n. 5016).
Questo nuovo orientamento è stato formulato in senso ancora più netto in alcune sentenze successive in quanto è stata riconosciuta rilevanza decisiva, per l’individuazione delle operazioni attive esenti accessorie, al criterio quantitativo della prevalenza del volume di affari delle attività imponibili rispetto a quelle esenti, prescindendo dalla verifica della sussistenza tanto di un nesso funzionale fra tali attività, quanto di un impiego significativo di beni o servizi. Ed infatti la Corte di cassazione, dopo aver rilevato che “costituiscono proventi di un’attività strumentale ed accessoria, tale da non concorrere al calcolo della percentuale di detraibilità pro-rata dell’IVA, quelli derivanti da un’attività assolutamente episodica e, quindi, estranea all’attività propria dell’ impresa contribuente, dovendosi accertare detta occasionalità in concreto e non in base alle mere previsioni statutarie, avuto riguardo all’attività svolta in via prevalente dall’ impresa, con particolare riferimento all’ammontare complessivo dei ricavi derivanti dall’una rispetto a quelli provenienti dall’altra attività”, ha concluso che “la sentenza impugnata … nella parte in cui ha affermato la natura accessoria dell’attività di prestazione di garanzie alle società del gruppo ai fini dell’esclusione dalla percentuale di detraibilità, senza procedere all’accertamento in concreto di come tale attività contribuisca alla generazione dei ricavi e, quindi, senza tenere conto dell’ammontare complessivo degli stessi, si è sottratta a tali principi e va, pertanto, cassata”[25].
Pertanto, sulla base dell’orientamento appena enunciato, la Suprema Corte, se da un lato ha cassato per violazione di legge una sentenza con cui la CTR aveva accertato in fatto che i finanziamenti esenti concessi “a consociate non sono oggetto dell’attività principale d’ impresa (gestione centrali elettriche), ma sono occasionali e accessorie, di scarsa entità per quantità e frequenza”, perché il predetto giudice non avrebbe valutato “attentamente l’attività in concreto svolta in modo prevalente dall’ impresa, assumendo a tal fine rilevanza l’esistenza di una contabilità distinta e la misura ingente dell’ammontare dei ricavi derivanti dall’una, rispetto a quelli provenienti dall’altra attività e per un altro verso” avrebbe, “altrettanto troppo approssimativamente e genericamente, valutato tali attività come di scarsa entità per quantità e frequenza, dovendosi avere riguardo all’ammontare complessivo e aggregato delle operazioni imponibili ed esenti effettuate da tutte le società coinvolte, mediante una analisi analitica della portata delle suddette operazioni”[26], dall’altro lato, ha confermato una sentenza con cui la CTR aveva concluso che i finanziamenti esenti concessi a società del gruppo rientrassero nell’attività propria
dell’ impresa appunto perché avrebbe “correttamente verificato l’attività effettivamente esercitata dalla società, in base al criterio quantitativo ‘del rapporto tra le operazioni in parola e quelle imponibili’, avuto riguardo all’ incidenza notevole sull’ammontare dei proventi (‘rilevante ammontare di interessi attivi’) nonché al protrarsi nel tempo (2013-2015) della stessa, il che denotava il raccordo non meramente strumentale e occasionale delle operazioni in questione rispetto al fine dell’ impresa (holding finanziaria)”[27]. Pertanto, le operazioni esenti che esorbitino dall’attività propria dell’impresa, ma siano poste in essere in via continuativa per importi superiori a quelli delle operazioni imponibili, non sarebbero giammai qualificabili come accessorie ed escluse dal pro-rata.
Considerazioni conclusive
Stante l’emersione del contrasto interpretativo evidenziato, non resta a questo punto che auspicare, in attesa dell’emanazione del decreto di revisione della normativa IVA, un intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione ovvero della CGE per dirimere una questione che non solo è foriera di gravi incertezze per gli operatori, ma può comportare a loro carico un aggravio oltre che impositivo e sanzionatorio, laddove non siano ritenute meritevoli di disapplicazione le sanzioni, anche se si siano uniformati alle chiare indicazioni dell’Ade.
Note:
[1] Secondo CGE 9 giugno 2016, causa C-332/14, Wolfgang, “per i beni e i servizi destinati ad un uso promiscuo, invece, l’art. 17, paragrafo 5, primo comma, di tale Direttiva sancisce che il diritto a detrazione è limitato al pro-rata dell’IVA proporzionale all’importo relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione realizzate mediante tali beni o tali servizi”.
[2] CGE 14 dicembre 2016, causa C-378/15, Mercedes Benz punti 31 e 38.
[3] CGE Mercedes Benz, punto 40.
[4] È orientamento della CGE che non sono qualificabili come attività commerciali e sono quindi fuori del campo di applicazione dell’IVA l’investimento di somme in azioni, quote di OICVM e in altri titoli, dietro la distribuzione di utili, in quanto tali utili non hanno natura di corrispettivi (CGE 27 settembre 2001, causa C-16/00, Cibo Participations SA, punti 41 ss.), nonché l’acquisto e la vendita di azioni, quote di OICR e di altri titoli acquistati a scopo di investimento e, infine, le operazioni di “reinvestimento da parte di una società capogruppo dei dividendi, da essa riscossi dalle sue società controllate … in prestiti a tali controllate”, costo che “gli interessi su siffatti prestiti devono essere considerati … come i frutti della mera proprietà del bene e non rientrano pertanto nel sistema della detrazione” (così CGE 14 novembre 2000, causa C-142/99, Floridienne SA, punto 30) e che sono per contro qualificabili come attività commerciali l’erogazione di prestiti e l’investimento di somme in titoli e in depositi, dietro il riconoscimento di interessi in quanto gli interessi costituiscono il corrispettivo per la concessione della disponibilità temporanea di capitali (così CGE 11 luglio 1996, causa C-306/94, Regie Dauphinoise, punti 16-17).
[5] CGE 13 marzo 2008, causa C-437/06, Securenta AG, punti 33-35, e CGE 6 settembre 2012, causa C-496/11, Portugal Telecom, parr. 42 e 47.
[6] CGE, Securenta AG.
[7] Bollettino delle CEE, supplemento n. 11/73, pag. 20.
[8] Par. 3.3. della C.M. 24 dicembre 1997, n. 128, risoluzione 25 luglio 2005, n. 100/E e risposta n. 2 del 4 gennaio 2021.
[9] Il Ministero delle Finanze, commentando la vigente formulazione della’ art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, ha precisato nella C.M. n. 328/1997 che “l’occasionale effettuazione di operazioni esenti da parte di un contribuente che svolge essenzialmente un’attività soggetta ad IVA (come pure l’occasionale effettuazione di operazioni imponibili, da parte di un soggetto che svolge essenzialmente un’attività esente) non dà luogo all’applicazione del pro-rata” in quanto “secondo quanto evidenziato dalla predetta Commissione e nella relazione al Decreto legislativo”, su “specifica proposta della Commissione parlamentare, la norma in esame, anziché fare riferimento, com’era in passato, alle operazioni che danno diritto a detrazione e alle operazioni esenti, utilizza ora, ai predetti fini, l’espressione attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione ed attività esenti”. In senso adesivo risposta n. 83/2023.
[10] Cfr. P. Maspes, “IVA detraibile: la Direttiva è veramente molto semplice, ma noi insistiamo nel renderla complicata!”, in Il fisco, 2021, pag. 545.
[11] CGE 11 luglio 1996, causa C-306/94, Régie Dauphinoise, punto 22 e CGE 29 ottobre 2009, causa C-174/08, NCC punto 31.
[12] GGUE 6 marzo 2008, causa C-98707, Nordania, punto 24.
[13] CGE 29 aprile 2004, causa C-77/01, EDM, punto 76 e CGE, NCC punto 31.
[14] CGE 6 marzo 2008, causa C-98/07, Nordania, punto 24.
[15] CGE EDM, punto 77.
[16] CGE, Régie Dauphinoise, punto 22.
[17] CGE EDM, punto 78.
[18] CGE Mercedes Benz Italia punti 47-49.
[19] Conclusioni di J. Kokott del 6 febbraio 2020, causa C-716/18 CT.
[20] CGE 9 luglio 2020, causa C-716/18 CT punto 38.
[21] C.M. 26 novembre 1987, n. 71.
[22] AdE risoluzione 5 aprile 2011, n. 41/E.
[23] AdE risposta n. 83/2023.
[24] Così Cass. 13 novembre 2013, n. 25475, in senso conforme Cass. 9 marzo 2016, n. 4613; Cass. 24 marzo 2017, n. 7654, Cass. 16 marzo 2018, n. 6486, Cass. 25 gennaio 2019, n. 2141 e Cass. 31 gennaio 2019, n. 2902.
[25] Così Cass. 24 maggio 2022, n. 16674, in senso conforme Cass. 25 febbraio 2020, n. 5016, Cass. 25 giugno 2020, n.12689 , Cass. 5 novembre 2020, n. 24708, Cass. 24 maggio 2022, n. 16674, Cass. 22 dicembre 2023, n. 35851, Cass. 27 maggio 2024, n. 14802, in senso difforme Cass. 15 marzo 2021, n. 7183.
[26] Così Cass. 27 giugno 2022, n. 20558.
[27] Così Cass. 23 agosto 2023, n. 25116.
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