Corr. Trib. 11/2021, p. 964 e segg.
Le somme pagate sulla base di transazioni a parziale soddisfazione di pretese litigiose di natura pecuniaria sono soggette ad IVA se tali pretese abbiano a loro volta ad oggetto corrispettivi soggetti alla predetta imposta, mentre sono invece escluse se abbiano ad oggetto indennità per risarcimento dei danni in quanto il pagamento di tali somme non trova titolo nella rinuncia alla lite, bensì nell’originario rapporto giuridico intercorrente fra le parti, così come modificato in virtù delle loro concessioni reciproche.
L’AdE, in alcune recenti risposte ad istanze di interpello, ha sostenuto che le somme pagate sulla base di transazioni concluse per definire le liti relative a pretese litigiose di natura pecuniaria aventi ad oggetto il pagamento di maggiori corrispettivi ovvero di indennità per risarcimento di danni sarebbero assoggettabili ad IVA per essere configurabili come corrispettivi per la prestazione di servizi ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, laddove considera tale anche “l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”, in quanto si porrebbero in nesso diretto con l’assunzione di un obbligo di non fare consistente nella rinuncia alla lite.
Senonché questa presa di posizione presenta criticità prima di tutto civilistiche, che poi si ripercuotono inevitabilmente anche sul piano fiscale. Pertanto, dopo aver brevemente illustrato il contenuto di tali risposte, passerò ad analizzare le predette criticità.
Orientamenti dell’AdE sul regime IVA della transazione
Inizialmente l’AdE, affrontando il caso di una società che, avendo venduto con riserva di proprietà alcune auto ad un’altra società, senza però ricevere il pagamento del relativo prezzo, aveva esercitato un’azione di rivendica delle auto non pagate nei confronti della seconda, la quale aveva chiesto il risarcimento dei danni subìti, aveva precisato non solo che la transazione conclusa fra le parti per definire tale lite ha natura dichiarativa, ma anche che “le somme pagate a saldo, stralcio e transazione di ogni e qualsiasi pretesa, dedotta o deducibile, con riferimento alle pretese di risarcimento dei danni conseguenti alla gestione del rapporto contrattuale di concessione” non sono soggette ad IVA, sebbene la venditrice si era obbligata a rinunciare all’azione di rivendica. Ed infatti, a suo dire, “l’obbligo di abbandonare o rinunciare alla lite si caratterizza quale effetto tipico o naturale dell’accordo di composizione della controversia”(1).
Senonché l’AdE ha sovvertito il suo iniziale orientamento nelle successive risposte fornite a talune istanze di interpello relative a transazioni concluse per la definizione di pretese litigiose di natura pecuniaria da appaltatori di opere pubbliche con gli enti appaltanti (2), nonché da società proprietarie di impianti o di immobili locati con le società locatarie (3).
In particolare, nelle prime tre risposte, un concessionario di costruzioni (4), un’A.T.I. (5) e un consorzio (6), appaltatori di opere pubbliche, avevano richiesto il risarcimento dei danni subìti per ritardi ed inadempienze dell’ente appaltante e, per definire la lite, avevano concluso una transazione con cui l’ente appaltante si era obbligato a pagare loro una somma a saldo, stralcio e tacitazione delle pretese avanzate o, comunque, a soddisfazione di tali pretese (“a totale saldo, stralcio e definizione delle predette ragioni di controversia”; “a saldo, stralcio e tacitazione di ogni e qualsiasi pretesa, ragione e/o diritto comunque connessi od occasionati in dipendenza del contratto di appalto”; “calcolato anche tenendo conto del ritardo cumulato nell’esecuzione dei lavori”) e gli enti appaltanti per parte loro avevano espressamente dichiarato di rinunciare ad ogni ulteriore pretesa rispetto a quella saldata (“non avrà null’altro a pretendere nei confronti dell’(interpellante) per qualsivoglia titolo, ragione o causa direttamente o indirettamente connessa in forza del contratto di appalto”).
Ebbene, nelle predette risposte l’Agenzia delle entrate ha concluso che le somme pagate dagli enti appaltanti agli appaltatori sulla base delle transazioni sarebbero state soggette ad IVA per il fatto che sarebbero configurabili come corrispettivi per l’assunzione di un obbligo di non fare consistente nell’obbligo di rinuncia alla lite. Per quanto attiene alle altre due risposte, la prima, riguarda una società proprietaria di un immobile locato che, dopo aver richiesto in giudizio al locatario il risarcimento dei danni procurati a tale immobile, aveva aderito ad una proposta di conciliazione giudiziale, la quale prevedeva che il locatario si obbligasse a corrisponderle una somma che sostanziava “un rimborso di spese di ripristino per inadempienza contrattuale”(7), mentre, la seconda, una società locatrice di taluni impianti che, dopo aver richiesto alla società concedente il risarcimento dei danni generati dal loro malfunzionamento, aveva concluso due transazioni con cui si era vista riconoscere dalla controparte una somma “a saldo e stralcio di ogni e qualsiasi pretesa”(8).
Anche in questo caso, l’AdE ha ritenuto che le somme corrisposte sulla base delle transazioni siano soggette ad IVA per il fatto che sarebbero configurabili come il corrispettivo per l’assunzione da parte del proprietario dell’immobile ovvero della locataria di un obbligo di non fare consistente nell’obbligo di rinuncia alla lite (9).
Senonché, come si vedrà, la posizione espressa dall’AdE nelle risposte sopra illustrate, stando almeno ai fatti ivi riportati, non sembra condivisibile per quanto attiene alla particolare tipologia di transazioni che ne costituiscono oggetto (10).
Non qualificabilità come corrispettivi per rinuncia alla lite delle somme pagate sulla base delle transazioni de quo
Innanzitutto le somme riconosciute sulla base delle transazioni analizzate dall’AdE, essendo state concluse per definire pretese di natura pecuniaria, dietro il pagamento di una quota di tali pretese, con abbuono dell’eccedenza, non possono ritenersi configurabili come corrispettivi di prestazioni di servizi consistenti nell’assunzione di obblighi di non fare aventi ad oggetto la rinuncia alla lite in quanto, in tal caso, il pagamento di tali somme costituisce soddisfazione parziale delle pretese litigiose.
Stando a quanto emerge dalle clausole della maggior parte di tali transazioni, come si è visto, le concessioni reciproche che le parti si sono scambiate sono identificate, da un lato, nel pagamento di somme prestabilite a parziale soddisfazione delle originarie pretese litigiose di natura pecuniaria e, dall’altro lato, nell’abbuono delle relative eccedenze (11). Pertanto, il pagamento di tali somme non può risultare configurabile come un corrispettivo per la rinuncia a coltivare tali pretese per il fatto che, essendo esse soddisfatte fino a concorrenza dell’importo delle somme medesime, sono rinunciate solo per l’eccedenza. D’altro canto, anche nel caso in cui le concessioni reciproche che le parti si sono scambiate sono formalmente identificate, da un lato, nel pagamento di somme prestabilite e, dall’altro lato, nella rinuncia integrale alle pretese litigiose originarie (12), non sembra potersi ritenere configurabile nella sostanza una siffatta rinuncia, poiché anche in questo caso tali pretese sono soddisfatte, fino a concorrenza dell’importo delle somme pagate, e rinunciate, solo per l’eccedenza. Di conseguenza, nelle transazioni analizzate dall’AdE, essendo state definite pretese litigiose di natura pecuniaria dietro il pagamento di quota delle somme che ne costituivano oggetto, il pagamento delle somme medesime costituisce soddisfazione parziale di tali pretese, piuttosto che corrispettivo per la rinuncia a coltivarle.
Né può obiettarsi che, sempre stando a quanto emerge dalle clausole di talune transazioni, le parti hanno assunto l’obbligo di abbandonare i giudizi eventualmente avviati. Ed infatti l’abbandono di tali giudizi, nei casi in cui è stato convenuto, non solo ha natura di atto dovuto (13), ma è adempiuto tramite la richiesta al giudice di dichiarare la cessazione della materia del contendere per il fatto che la definizione delle pretese litigiose fa venir meno l’interesse delle parti ad ottenere una sua pronuncia (14). Tant’è vero che tale obbligo è assunto da entrambe le parti e non solo da quella che aveva instaurato la lite.
Ma v’è di più. Per il tramite delle concessioni reciproche sopra individuate, le parti non hanno instaurato un nuovo rapporto giuridico con diverso titolo od oggetto in sostituzione di quello originario, concludendo quindi transazioni novative (15), ma si sono limitate a modificare tale rapporto, concludendo invece transazioni dichiarative (16). Ed infatti, esse non hanno ricondotto il pagamento delle somme ad un nuovo rapporto giuridico, proprio per il fatto di aver pattuito l’esecuzione di tale pagamento a saldo e stralcio delle pretese litigiose originarie ovvero per la rinuncia a tali pretese (17).
Senonché la natura dichiarativa delle transazioni oggetto delle risposte dell’AdE comporta che le somme di cui è ivi previsto il pagamento non possono costituire corrispettivo per l’assunzione di un obbligo di rinuncia alla lite, per il fatto che il pagamento di tali somme continua a trovare titolo nell’originario rapporto giuridico, così come modificato proprio in virtù delle reciproche concessioni delle parti. È infatti orientamento della Cassazione che, qualora sia conclusa una transazione dichiarativa in quanto le parti “si siano limitate ad apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contratto”, tale contratto “si pone come causa dell’accordo transattivo che, di regola, non è volto a trasformare il rapporto controverso”, cosicché, “con la transazione … non novativa, le parti non eliminano il precedente rapporto e la relativa fonte negoziale, che permangono nei sensi e con le modifiche di cui alla transazione”(18). Pertanto, le predette somme devono intendersi pagate allo stesso titolo a cui erano state originariamente avanzate le pretese litigiose parzialmente soddisfatte.
Né può obiettarsi che le transazioni analizzate dall’AdE darebbero luogo all’instaurazione di un nuovo rapporto con diverso titolo od oggetto e avrebbero, quindi, natura novativa per il solo fatto che entrambe le parti hanno allegato l’infondatezza delle pretese litigiose avanzate dalla controparte. Ed infatti, va considerato non solo che l’allegazione dell’infondatezza di tali pretese costituisce presupposto per la stessa configurabilità di una transazione, essendo funzione tipica di tale negozio dirimere le liti e non accertare chi abbia ragione (19), che è invece funzione tipica dei negozi di accertamento, ma anche e soprattutto perché le concessioni reciproche comportano l’accoglimento parziale delle rispettive pretese litigiose, pur in assenza del riconoscimento della relativa fondatezza (20) e quindi senza effetti confessori (21), modificando di conseguenza il rapporto giuridico originario.
SOLUZIONI INTERPRETATIVE:
Il regime IVA delle somme pagate sulla base di transazioni
Nel caso in cui le transazioni siano concluse per definire pretese litigiose di natura non pecuniaria, dietro pagamento di somme con una modifica del relativo oggetto o titolo, ed assumano quindi natura novativa, la rinuncia a tali pretese dietro pagamento di somme potrebbe dar luogo all’assunzione di un obbligo di non fare o di pati, qualora comporti l’assunzione dell’obbligo di non esercitare propri diritti o di accettare una limitazione temporanea al loro esercizio.
Comunque, le rinunce a pretese litigiose di natura pecuniaria che siano pattuite sulla base di transazioni di natura dichiarativa come effetto diretto del pagamento di quota delle pretese litigiose medesime non possono dar luogo all’assunzione di un obbligo di fare o di non fare anche per l’ulteriore ragione che, per essere perfezionate, non richiedono il compimento o il mancato compimento di alcuna condotta dopo la loro stipula, essendo sufficiente a questo fine l’esecuzione del predetto pagamento per l’estinzione delle predette pretese (22).
Diverse conclusioni devono invece ritenersi valide nel caso in cui le transazioni siano concluse per definire pretese litigiose di natura non pecuniaria, dietro pagamento di somme con una modifica del relativo oggetto o titolo ed assumano quindi natura novativa. Ed infatti, in tal caso, la rinuncia a tali pretese dietro pagamento di somme potrebbe dar luogo all’assunzione di un obbligo di non fare o di pati, qualora comporti l’assunzione dell’obbligo di non esercitare propri diritti ovvero di accettare una limitazione temporanea al loro esercizio. Ad esempio, nel caso in cui un contribuente abbia lamentato la violazione di un obbligo a contrarre o l’occupazione di un suo immobile, se rinunciasse a tali pretese dietro il pagamento di somme, assumerebbe dietro corrispettivo, nel primo caso, un obbligo di non fare, mentre, nel secondo caso, un obbligo di pati. Pertanto, potrebbero comportare l’assunzione degli obblighi così individuati le transazioni con cui siano definite dietro il pagamento di somme pretese litigiose di natura non pecuniaria, allorché comportino la rinuncia all’esercizio di propri diritti ovvero l’accettazione di limitazioni temporanee al loro esercizio.
Non qualificabilità come corrispettivi per obblighi di non fare delle somme pagate sulla base delle transazioni de quo
L’aver stabilito che le somme pagate sulla base delle transazioni analizzate dall’AdE non sono configurabili come il corrispettivo di prestazioni di servizi consistenti nell’assunzione di un obbligo di non fare avente ad oggetto la rinuncia alla lite consente di escludere che tali somme siano qualificabili come tali anche ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972 e che, quindi, siano soggette ad IVA.
È bensì vero che la Corte di Giustizia ha statuito che “per quanto concerne … il ruolo delle clausole contrattuali nell’ambito della qualificazione di un’operazione come imponibile … la valutazione della realtà economica e commerciale costituisce un criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune dell’IVA” e che “la nozione di prestazione di servizi ha … un carattere obiettivo e si applica indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi, senza che l’amministrazione fiscale sia obbligata a procedere ad indagini per accertare la volontà del soggetto passivo”(23).
Tuttavia va considerato che tale giudice ha stabilito altresì che a questi effetti devono essere prese a riferimento le clausole contrattuali, ogniqualvolta non sottendano costruzioni di puro artificio (24). Ed infatti, “dato che la situazione contrattuale riflette, di norma, l’effettività economica e commerciale delle operazioni, ed allo scopo di rispettare le esigenze di certezza del diritto, le clausole contrattuali rilevanti costituiscono un elemento da prendere in considerazione quando occorre identificare il prestatore e il destinatario nell’ambito di un’operazione di ‘prestazione di servizi’”(25), fatto salvo il caso in cui “tali clausole contrattuali costituiscono una costruzione meramente artificiosa, non corrispondente all’effettività economica e commerciale delle operazioni”(26).
Inoltre, l’Avvocato Generale Tizzano ha affermato che, agli effetti dell’IVA, sebbene siano irrilevanti i motivi per cui le singole parti abbiano concluso i contratti, è rilevante invece la loro causa, laddove ha precisato che, “per valutare … quali siano gli elementi predominanti in un determinato contratto, non ci si può limitare ad una considerazione astratta o puramente formale dello stesso, ma occorre individuare la funzione economica del contratto, vale a dire la funzione concreta che esso è oggettivamente chiamato a svolgere per soddisfare gli interessi delle parti”, e cioè “quella che, nella tradizione giuridica di vari Paesi europei, viene definita come la causa del negozio giuridico, intesa appunto quale funzione economica dello stesso”, che “è la stessa per tutte le parti del negozio e condiziona anzi i contenuti di quest’ultimo”, ma “non ha nulla a che vedere con i motivi subiettivi che hanno indotto ciascuna parte a concludere il contratto e che ovviamente non risultano dal contenuto dello stesso”(27).
IL PARERE DELL’AVVOCATO GENERALE UE
Rilevanza IVA della causa del contratto
L’Avvocato Generale della Corte di Giustizia ha affermato che, agli effetti dell’IVA, sebbene siano irrilevanti i motivi per cui le singole parti abbiano concluso i contratti, è rilevante invece la loro causa. Per valutare quali siano gli elementi predominanti in un determinato contratto, infatti, non ci si può limitare ad una considerazione astratta o puramente formale dello stesso, ma occorre individuare la funzione economica del contratto, vale a dire la funzione concreta che esso è oggettivamente chiamato a svolgere per soddisfare gli interessi delle parti, e cioè quella che viene definita come la causa del negozio giuridico, intesa quale funzione economica dello stesso. Essa è la stessa per tutte le parti del negozio e condiziona anzi i contenuti di quest’ultimo, ma non ha nulla a che vedere con i motivi subiettivi che hanno indotto ciascuna parte a concludere il contratto e che non risultano dal contenuto dello stesso.
Ebbene, le clausole delle transazioni oggetto delle risposte dell’AdE riflettono la realtà economica sottostante per il fatto che, nel caso in cui una parte abbia avanzato nei confronti dell’altra una pretesa litigiosa di natura pecuniaria avente ad oggetto la richiesta di un maggiore corrispettivo per le prestazioni rese ovvero di un’indennità per il risarcimento dei danni subìti, è sicuramente più aderente alla loro funzione economica configurare le somme pagate da parte della seconda a favore della prima come saldo e stralcio della predetta pretesa litigiosa, piuttosto che come corrispettivo per l’assunzione di un obbligo di rinuncia alla lite. Del resto, la stessa AdE nelle predette risposte non ha neanche solo ipotizzato che le transazioni così individuate non riflettevano la realtà economica sottostante.
Comunque, le somme pagate sulla base delle transazioni analizzate dall’AdE non possono ritenersi configurabili agli effetti IVA come corrispettivi per l’assunzione di un obbligo di non fare consistente nella rinuncia alla lite, anche prescindendo dal loro inquadramento civilistico. È infatti orientamento della CGE che le prestazioni di servizi devono intendersi effettuate a titolo oneroso “soltanto quando tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il corrispettivo effettivo di un servizio individuabile prestato al destinatario” in quanto “sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto”(28).
Senonché le predette somme non si pongono in nesso diretto con l’assunzione dell’obbligo così individuato in quanto, come si è visto, il loro pagamento è eseguito a parziale soddisfazione delle pretese litigiose avanzate sulla base del rapporto giuridico originario, non avendo le parti instaurato un nuovo rapporto giuridico e pertanto si pongono in nesso diretto con le prestazioni di servizi rese sulla base di tale rapporto ovvero con la violazione delle obbligazioni che ne derivano.
Ma non basta. Le somme pagate sulla base delle transazioni oggetto delle risposte dell’AdE, quand’anche presentassero un nesso diretto con l’assunzione di un obbligo di non fare consistente nella rinuncia alla lite, non potrebbero essere ritenute configurabili perciò solo come corrispettivi di prestazioni di servizi assoggettabili ad IVA. Ed infatti, secondo la CGE, perché si configuri una prestazione di servizi imponibile, essendo tale imposta un’imposta generale sui consumi, è necessario che sia attribuito ad un soggetto identificabile un beneficio suscettibile di consumo (29), posto che “l’impiego di denaro per ottenere denaro è il prototipo di una non prestazione”.
Senonché la rinuncia ad una lite instaurata per pretese litigiose di natura pecuniaria non comporta di per sé l’attribuzione di un beneficio consumabile per il fatto che si sostanzia nella mera rinuncia ad una cessione di denaro e non implica, quindi, l’attribuzione di un’utilità materiale rilevante agli effetti dell’IVA.
Naturalmente diverse conclusioni devono invece ritenersi valide nel caso in cui le transazioni siano concluse per definire, dietro pagamento di somme, pretese di natura non pecuniaria in quanto, in tal caso, la rinuncia a tali pretese, allorché comporti l’assunzione dell’obbligo di non esercitare propri diritti ovvero l’accettazione di una limitazione temporanea al loro esercizio, potrebbe dar luogo all’attribuzione di un beneficio consumabile in quanto consentirebbe alla controparte di fruire delle utilità derivanti dal mancato esercizio di tali diritti.
Regime IVA delle somme pagate sulla base delle transazioni de quo
Stabilito che le somme pagate sulla base delle transazioni analizzate dall’AdE, essendo tali transazioni state concluse per definire pretese litigiose di natura pecuniaria, non sono qualificabili come corrispettivi di prestazioni di servizi imponibili consistenti nell’assunzione di obblighi di non fare, rimane da stabilire quale sia il loro regime agli effetti dell’IVA.
Ebbene penso che, attenendosi alla definizione di onerosità che, come si è visto, è stata elaborata dalla CGE, tali somme siano soggette ad IVA se sono configurabili come il corrispettivo di operazioni imponibili rese sulla base del rapporto giuridico originario in quanto si pongano in nesso diretto con tali operazioni e non siano invece soggette a tale imposta se siano invece configurabili come indennità per il risarcimento danni in quanto siano pagate per risarcire danni subiti dalla controparte.
Peraltro la CGE ha ritenuto che, per stabilire se una somma sia configurabile come il corrispettivo di un’operazione imponibile ovvero un’indennità per risarcimento danni, non assuma rilievo decisivo il titolo giuridico formale a cui sia pagata (30), ma sia necessario stabilire se la predetta somma corrisponda al corrispettivo pattuito fra le parti sulla base del rapporto originario e la controprestazione sia stata già resa o messa a disposizione del destinatario (31). Pertanto il giudice unionale ha concluso che siano qualificabili come corrispettivi gli indennizzi spettanti ad una compagnia aerea per il mancato utilizzo del biglietto (32), ad una compagnia telefonica per il periodo di risoluzione anticipata del contratto di abbonamento telefonico (33) e alla società concedente per la risoluzione anticipata del contratto di locazione finanziaria (34).
Le considerazioni esposte consentono di concludere che le somme pagate sulla base di transazioni a parziale soddisfazione di pretese litigiose di natura pecuniaria aventi ad oggetto il riconoscimento di maggiori corrispettivi, quali i corrispettivi per prestazioni aggiuntive o revisione prezzi, siano configurabili come corrispettivi imponibili e siano quindi soggette ad IVA, mentre le somme corrisposte a parziale soddisfazione di pretese consistenti nel risarcimento di danni, quali i danni subìti per ritardi del committente, per il malfunzionamento degli impianti locati o per l’utilizzo degli immobili locati, non siano configurabili come tali e non siano quindi soggette ad IVA. Coerentemente, non sembrano configurabili come corrispettivi soggetti ad IVA le somme pagate sulla base di transazioni a parziale soddisfazione di pretese litigiose avanzate dai cessionari o committenti per la riduzione di corrispettivi o per il riconoscimento di indennizzi, essendo tali pretese qualificabili, a seconda dei casi, come rettifiche di prezzo o come risarcimento di danni.
SOLUZIONI INTERPRETATIVE
IVA su somme pagate sulla base di transazioni relative a pretese pecuniarie
Le somme pagate sulla base di transazioni a parziale soddisfazione di pretese litigiose di natura pecuniaria aventi ad oggetto il riconoscimento di maggiori corrispettivi, quali i corrispettivi per prestazioni aggiuntive o revisione prezzi, sono configurabili come corrispettivi imponibili e sono quindi soggette ad IVA, mentre le somme corrisposte a parziale soddisfazione di pretese consistenti nel risarcimento di danni, quali i danni subiti per ritardi del committente, per il malfunzionamento degli impianti locati o per l’utilizzo degli immobili locati, non sono configurabili come tali e non sono quindi soggette ad IVA.
Note:
(1) Agenzia delle entrate, risposta n. 178/2019.
(2) Agenzia delle entrate, risposte n. 179/2021, n. 212/2021 e n. 401/2021.
(3) Agenzia delle entrate, risposte n. 386/2020 e n. 145/2021.
(4) Agenzia delle entrate, risposta n. 179/2021.
(5) Agenzia delle entrate, risposta n. 212/2021.
(6) Agenzia delle entrate, risposta n. 401/2021.
(7) Agenzia delle entrate, risposta n. 386/2021.
(8) Agenzia delle entrate, risposta n. 145/2021.
(9) Con la risposta 2 marzo 2021, n. 130, riguardante il caso di una società che, con la conclusione di una compravendita e di una transazione, aveva rinunciato alla qualità di beneficiaria di una fondazione a favore di altra fondazione, dietro pagamento di un corrispettivo, l’AdE ha sostenuto che tale corrispettivo sarebbe imponibile perché troverebbe contropartita nell’assunzione di obblighi di non fare. Senonché il merito di tale risposta risulta difficilmente apprezzabile poiché i fatti non sono stati ricostruiti in maniera sufficientemente chiara.
(10) Per un’analisi critica delle risposte dell’AdE si veda Assonime, circolare n. 26/2021, “IVA – Prestazioni di servizi derivanti da accordi transattivi”.
(11) Le transazioni comportano la definizione di un nuovo regolamento di interessi risultante dalle modifiche apportate alle pretese litigiose ordinarie per il tramite le concessioni reciproche.
(12) Agenzia delle entrate, risposta n. 212/2021.
(13) Cass. 17 settembre 2013, n. 21255.
(14) Cass., SS.UU., 11 aprile 2018, n. 8980.
(15) È orientamento della Cassazione che la transazione novativa consiste “nell’addivenire, in sede di composizione dell’originario rapporto litigioso, alla sostituzione di quest’ultimo con un nuovo rapporto, fonte di autonome obbligazioni, oggettivamente diverse da quelle preesistenti”, configurandosi la “novazione oggettiva come un contratto che è nel contempo estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un diverso rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente, con nuove ed autonome situazioni giuridiche” di cui sono “elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’‘animus novandi’, consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’‘aliquid novi’, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto” (così Cass. 29 dicembre 2020, n. 29791; conf. Cass. 6 ottobre 2020, n. 21371 e 20 aprile 2020, n. 7963).
(16) È orientamento della Cassazione che la transazione dichiarativa ha come scopo quello di “apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contratto, il quale si pone come causa dell’accordo transattivo che, di regola, non è volto a trasformare il rapporto controverso” (così Cass. 31 luglio 2019, n. 20666; conf. 11 novembre 2016, n. 23064 e 14 luglio 2011, n. 15444). Con tale transazione le parti provvedono “a regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti (anche) in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese, in modo tale da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un quid medium tra le prospettazioni iniziali” (così Cass. 21 giugno 2021, n. 17636; conformi per tutte Cass. 6 ottobre 2020, n. 21371 e Cass. 20 aprile 2020, n. 7963).
(17) La transazione oggetto della risposta n. 356/2021 è solo parzialmente novativa in quanto le parti, pur avendo sostituito il vecchio contratto di fornitura con un nuovo rapporto di fornitura, hanno convenuto il pagamento di una somma pari ai costi sostenuti per le attività svolte sulla base di tale vecchio contratto.
(18) Cass. 31 luglio 2019, n. 20666; conf. Cass. 14 luglio 2011, n. 15444, 11 novembre 2016, n. 23064; 23 febbraio 2006, n. 4008.
(19) Cass. 31 gennaio 2019, n. 2784.
(20) Secondo Cass. 18 maggio 2007, n. 11649, “le proposte, le concessioni e le rinunzie fatte dalle parti a scopo transattivo (ed a maggior ragione con la transazione) che non hanno … come proprio presupposto l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria, non comportano neppure implicito riconoscimento della validità di una o di entrambe le contrapposte tesi delle parti; ma, al contrario sono rivolte a modificare la disciplina di un rapporto preesistente mediante reciproche concessioni tra di esse in modo che ciascuna subisca un sacrificio”.
(21) Precisa la Corte nella sentenza di cui alla nota 20 che “le dichiarazioni rese da una parte all’altra in sede transattiva ed il riconoscimento di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all’altra parte non hanno natura confessoria, per mancanza di ‘animus confitendi’, ove costituiscano l’oggetto di una delle reciproche concessioni di un contratto di transazione”.
(22) Cass. 1° ottobre 2018, n. 23688, ha sostenuto che la rinuncia da parte dell’ANAS al credito relativo ai canoni devolutivi dietro rinuncia da parte della società concessionaria al credito relativo agli adeguamenti tariffari, nonché la reciproca obbligazione all’estinzione dei relativi giudizi darebbe luogo ad una duplice prestazione di servizi assoggettabile ad IVA consistente nell’assunzione di un’obbligazione di non fare e di fare. Tuttavia, Cass. 15 luglio 2021, n. 20316, ha ritenuto che la somma pagata sulla base di una transazione da una banca ad un proprio socio per la rinuncia alla richiesta di annullamento di una delibera di aumento del capitale sociale che aveva riservato l’esercizio dei relativi diritti di opzione ad un altro socio non sia configurabile come un corrispettivo per l’assunzione di un obbligo di non fare o permettere. Ed infatti, guardare a tali obblighi “come categoria autonoma e generale della transazione, significa accordare a quell’istituto una funzione novativa anche sotto il profilo fiscale, con la conseguenza che ogni operazione – più o meno fiscalmente onerosa ovvero di tassazione incerta – può essere oggetto di transazione su di una lite minacciata, al solo fine di far ricadere quanto corrisposto” nella predetta “categoria generale e sussidiaria”. Pertanto, occorre “guardare alla ragion d’essere ed alla natura dei diritti dedotti in transazione per fondare su quelli (e non su questa) il regime fiscale appropriato”.
(23) CGE 20 giugno 2013, causa C-653/11, Newey, punto 42; nello stesso senso CGE 7 ottobre 2010, cause riunite C53/09 e C-55/09, Loyalty Management UK e Baxi Group; CGE 22 novembre 2018, causa C-295/17, MEO, 43; CGE 11 giugno 2020, causa C-43/19, Vodafone Portugal.
(24) In senso parzialmente difforme, per quanto attiene alle prestazioni di servizi Cass. 1° ottobre 2018, n. 23668, ove ha precisato che “le categorie negoziali del diritto interno vanno connotate secondo la prospettiva tributaria, alla stregua della quale finiscono col perdere la loro complessità semantica: ciò che conta sono soltanto i tratti idonei a rivelare l’esistenza del presupposto d’imposta”.
(25) CGE 20 giugno 2013, causa C-653/11, Newey, 43, conf. CGE 2 maggio 2019, causa C-224/18, Budimex, 28-29.
(26) AG Jaaskinen 25 giugno 2015, causa C-174/14, Saudaçor, 55; AG De La Tour 3 giugno 2021, causa C-90/20, Apcoa Parking.
(27) AG Tizzano 23 gennaio 2001, causa C-409/98, Mirror Group plc e Cantor, punti 27 e 28.
(28) CGE 22 dicembre 2018, causa C-295/17, MEO, nello stesso senso CGE 23 dicembre 2015, Air France-KLM e Hop!- Brit-Air, cause riunite C-250/14 e C-289/14; CGE 18 luglio 2007, causa C-277/05, Société Thermale d’Eugénie-les-Bains, 19.
(29) CGE 26 febbraio 1996, causa C-215/94, Mohr, 23; CGE 18 dicembre 1997, causa C-384/95, Landboden-Agrardienste, 23; AG Kokott 7 giugno 2018, causa C-295/17, MEO, 31-33.
(30) AG Kokott, MEO, 34.
(31) CGE 23 dicembre 2015, cause riunite C-250/14 e C289/14, Air France-KLM e Hop!Brit-Air SAS, CGE 22 novembre 2018, causa C-295/17, MEO, punto 41 e CGE 3 luglio 2019, causa C-242/18, Unicredit Leasing EAD, 69-70.
(32) CGE, Air France-KLM.
(33) CGE, MEO.
(34) Unicredit Leasing EAD.
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