Dubbi di costituzionalità sul regime degli interessi passivi per banche ed assicurazioni

Dubbi di costituzionalità sul regime degli interessi passivi per banche ed assicurazioni

Corr. Trib. 16/2009, pag. 1283 e segg.

Esistono seri dubbi sulla legittimità costituzionale dei nuovi limiti di deducibilità degli interessi passivi dall’imponibile IRES ed IRAP delle imprese bancarie, finanziarie e assicurative in quanto tali limiti di deducibilità legittimano il prelievo delle predette imposte anche in mancanza di quella manifestazione di capacità contributiva che ne costituisce il presupposto e cioè il conseguimento di un reddito o di un valore della produzione netto – determinato al netto dei relativi costi – e comportano altresì un’ingiustificata disparità di trattamento fra le predette imprese, consentendo di prelevare, a parità di profitti, un ammontare di imposte proporzionalmente superiore a carico delle imprese che operino con margini più ridotti.

Il comma 33 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008) ha introdotto nell’art. 96 del T.U.I.R. un limite di deducibilità degli interessi passivi agli effetti IRES per le sole imprese industriali e le holding di partecipazioni industriali («imprese industriali»), abolendo il pro rata patrimoniale di deducibilità degli interessi passivi di cui all’art. 97 del T.U.I.R. e le misure di contrasto della sottocapitalizzazione delle imprese di cui al successivo art. 98. In particolare, l’eccedenza degli interessi passivi ed oneri assimilati rispetto agli interessi attivi ed oneri assimilati risulta deducibile dall’imponibile IRES di ciascun periodo d’imposta nel limite del 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica («ROL») (1).

Il limite di deducibilità introdotto per le imprese industriali si caratterizza per il fatto che ha ad oggetto non gli interessi passivi, bensì l’eccedenza degli interessi passivi ed oneri assimilati rispetto agli interessi attivi ed oneri assimilati, e quindi il margine negativo di interesse, e comporta soltanto un rinvio della deducibilità degli interessi passivi.

Nuovi limiti di deducibilità degli interessi passivi agli effetti IRES ed IRAP per imprese bancarie, finanziarie ed assicurative

Per effetto della contemporanea abolizione del pro rata patrimoniale e delle misure di contrasto della sottocapitalizzazione, per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative non era più prevista alcuna limitazione alla deducibilità degli interessi passivi e degli oneri assimilati, anche se tali interessi erano stati sostenuti per conseguire proventi esenti da IRES. Tale scelta trovava evidentemente giustificazione nel fatto che le imprese così individuate, oltre ad essere sottoposte a vigilanza amministrativa e a vincoli minimi di patrimonializzazione, presentano generalmente un margine di interesse positivo e non negativo. Pertanto, gli interessi passivi sono compensati da un pari ammontare di interessi attivi imponibili.

Senonché, il nuovo comma 5-bis nell’art. 96 del T.U.I.R., aggiunto dal comma 1 dell’art. 82 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha introdotto un limite di deducibilità anche per gli interessi passivi sostenuti dai «soggetti indicati nel primo periodo del comma 5» ossia «le banche e gli altri soggetti finanziari indicati nell’art. 1 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87», le «imprese di assicurazione» e le «società capogruppo di gruppi bancari e assicurativi» («imprese bancarie, finanziarie ed assicurative»). In particolare, tale disposizione stabilisce che «gli interessi passivi sostenuti» da tali soggetti «sono deducibili dalla base imponibile della predetta imposta nei limiti del 96 per cento del loro ammontare».

Per le società partecipanti al consolidato è ammessa la deduzione degli interessi passivi fino a concorrenza dell’ammontare degli interessi passivi corrisposti da tali società a soggetti terzi. Tuttavia la deduzione deve essere operata dalla società consolidante nella propria dichiarazione dei redditi.

Con l’aggiunta di un nuovo periodo nei commi 8 e 9 dell’art. 6 e nel comma 2 dell’art. 7 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 dal comma 3 dell’art. 82 del D.L. n. 112/2008 è stato introdotto un limite di deducibilità degli interessi passivi anche dall’imponibile IRAP per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative, nonché per le holding di partecipazioni industriali, pur essendo queste ultime destinatarie agli effetti dell’IRES del limite di deducibilità del 30% del ROL. Questo nuovo periodo recita infatti testualmente che «gli interessi passivi concorrono alla formazione del valore della produzione nella misura del 96 per cento del loro ammontare».

I commi 2 e 4 dell’art. 82 del D.L. n. 112/2008 attribuiscono effetto ai due nuovi limiti di deducibilità fin a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e, quindi, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, dal periodo d’imposta 2008. Tuttavia, in forza di tali disposizioni, la percentuale del 96% è ridotta al 97% per questo primo periodo d’imposta.

Il limite di deducibilità degli interessi passivi dall’imponibile IRES previsto per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative presenta caratteristiche tali da renderlo ben più penalizzante rispetto a quello previsto per le altre imprese. Tale limite ha ad oggetto gli interessi passivi e non il margine di interesse negativo. Pertanto, può comportare il prelievo dell’imposta anche se le imprese destinatarie non abbiano conseguito alcun imponibile. L’indeducibilità è definitiva, invece che solo temporanea, e può legittimare un’indeducibilità multipla degli interessi passivi nei rapporti a cascata (2).

Dubbi di costituzionalità agli effetti IRES per violazione della capacità contributiva

Fra tutte le misure introdotte negli ultimi tempi per colpire i pretesi extra profitti delle imprese operanti in taluni settori economici, sicuramente quella su cui si addensano i più seri dubbi di legittimità costituzionale è costituita proprio dal nuovo limite di deducibilità degli interessi passivi dall’imponibile IRES ed IRAP delle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative.

Detto limite di deducibilità sembra innanzitutto arrecare violazione al principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost. ed al principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost., legittimando il prelievo dell’IRES anche in mancanza di quella manifestazione di capacità contributiva che ne costituisce il presupposto.

Il comma 1 dell’art. 75 del T.U.I.R. considera presupposto dell’IRES per le società ed enti commerciali residenti in Italia il possesso di un reddito netto e cioè al netto dei costi afferenti alla sua produzione. Stabilisce infatti quest’ultima disposizione che detta imposta si applica «sul reddito complessivo netto, determinato secondo le disposizioni della sezione I del capo II, per le società e gli enti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73» del medesimo T.U.I.R. e cioè, per l’appunto, le società e gli enti commerciali. Pertanto, gli interessi passivi, poiché per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative costituiscono un costo di produzione del reddito, essendo sostenuti per procurarsi i capitali necessari per l’esercizio della loro attività, al pari degli altri costi di produzione del reddito, dovrebbero essere ammessi in deduzione dall’imponibile IRES per il loro intero ammontare.

Sennonché il limite di deducibilità introdotto a carico delle imprese così individuate, consentendo loro di dedurre solo parzialmente gli interessi passivi, comporta il prelievo dell’IRES in relazione ad una manifestazione di capacità economica difforme da quella che, ai sensi dell’art. 75 del T.U.I.R., tale imposta intende colpire e cioè il conseguimento di un reddito lordo, anziché di un reddito netto (3).

Inoltre, il predetto limite di deducibilità comporta l’assoggettamento ad IRES di un reddito che è in realtà inesistente in quanto risulta generato dall’indeducibilità degli interessi passivi (4). Tant’è vero che le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative che abbiano evidenziato una perdita a conto economico potrebbero addirittura essere obbligate a corrispondere l’IRES, qualora l’ammontare degli interessi passivi indeducibili risultasse superiore all’ammontare della predetta perdita. Pertanto, l’indeducibilità degli interessi passivi, anche se parziale, in taluni casi può addirittura generare effetti ablatori.

Peraltro, l’assoggettamento ad IRES di un reddito inesistente, perché generato dall’indeducibilità degli interessi passivi, legittima altresì una doppia imposizione dei medesimi redditi. Ed infatti gli interessi, dopo essere stati assoggettati una prima volta ad IRES a carico delle imprese bancarie, finanziarie od assicurative che li abbiano corrisposti, risultano assoggettabili una seconda volta alle imposte sui redditi a carico dei soggetti che li abbiano percepiti.

Carenza di una giustificazione razionale

Né vale obbiettare che il limite di deducibilità può trovare giustificazione nell’obiettivo di colpire i pretesi extra profitti delle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative. Colpire questi pretesi extra profitti rendendo indeducibili gli interessi passivi è non solo contraddittorio, ma anche incongruo. L’ammontare dei profitti conseguiti dalle imprese bancarie, finanziarie e assicurative è inversamente proporzionale a quello degli interessi passivi da loro sostenuti considerato che le imprese che sostengono maggiori interessi passivi sono in via di principio proprio quelle che dispongono di minori profitti. Pertanto, in tal modo, si finisce con il sottoporre ad un maggiore livello di prelievo proprio quelle fra di esse che hanno realizzato un minore livello di profitti.

DISCIPLINE A CONFRONTO
Deducibilità degli interessi passivi di banche e assicurazioni e di altre imprese
Il limite di deducibilità degli interessi passivi dall’imponibile IRES previsto per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative presenta caratteristiche tali da renderlo ben più penalizzante rispetto a quello previsto per le altre imprese. Tale limite ha ad oggetto gli interessi passivi e non il margine di interesse negativo. Pertanto, può comportare il prelievo dell’imposta anche se le imprese destinatarie non abbiano conseguito alcun imponibile. L’indeducibilità è definitiva, invece che solo temporanea, e può legittimare un’indeducibilità multipla degli interessi passivi nei rapporti a cascata.

Inoltre, gli interessi passivi costituiscono soltanto uno dei costi che le imprese così individuate sostengono per l’esercizio della loro attività. Limitando la deducibilità dei soli interessi passivi, non si colpisce perciò la generalità dei loro pretesi extra profitti, ma soltanto una loro componente e cioè quella degli extra profitti realizzabili mediante l’impiego del capitale di debito.

Comunque, questi pretesi extra profitti non esistono più già fin dal periodo d’imposta di entrata in vigore del limite di deducibilità degli interessi passivi. Tale dato risulta evidente dai risultati di conto economico delle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative ove siano depurati degli effetti generati delle disposizioni che hanno derogato i criteri di valutazione degli strumenti finanziari e di quelle che hanno consentito di affrancare l’avviamento dimezzando il relativo periodo di ammortamento fiscale. Pertanto, l’obiettivo di colpire i pretesi extra profitti delle imprese bancarie, finanziarie e assicurative, ammesso e non concesso che avrebbe potuto giustificare l’introduzione di un limite di deducibilità degli interessi passivi da loro sostenuti, non la può certamente giustificare nell’attuale situazione di crisi finanziaria.

Ma neppure vale obbiettare che il limite di deducibilità può trovare giustificazione nell’obiettivo di rendere indeducibili gli interessi passivi che si può ragionevolmente presumere che le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative abbiano sostenuto per produrre proventi esenti dall’IRES. Con la conseguenza che l’indeducibilità colpirebbe gli interessi passivi che, in quanto correlabili a proventi esenti dalla predetta imposta, non costituirebbero costi afferenti alla produzione del reddito imponibile.

IL PROBLEMA APERTO
Effetti IRES del limite di deducibilità degli interessi passivi
Il limite di deducibilità degli interessi passivi IRES comporta l’assoggettamento ad IRES di un reddito che è in realtà inesistente in quanto risulta generato dall’indeducibilità degli interessi passivi. Tant’è vero che le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative che abbiano evidenziato una perdita a conto economico potrebbero addirittura essere obbligate a corrispondere l’IRES, qualora l’ammontare degli interessi passivi indeducibili risultasse superiore all’ammontare della predetta perdita.

A parte che di questa motivazione non v’è traccia nella relazione illustrativa del D.L. n. 112/2008, né è stata mai evocata nel corso dei relativi lavori preparatori, è agevole rilevare che gli interessi passivi sostenuti da imprese bancarie, finanziarie ed assicurative trovano ordinariamente correlazione in un pari ammontare di interessi attivi o, comunque, di proventi finanziari imponibili per il fatto che esse presentano normalmente un margine di intermediazione positivo. Di conseguenza, tali interessi sono di regola interamente afferenti alla produzione del reddito imponibile.

Inoltre, le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative che non dispongano di partecipazioni classificate fra le immobilizzate finanziarie fruenti del regime della cd. participation exemption non sono in via di principio in grado di conseguire proventi esenti, non essendo ammesse a fruire di altri regimi di esenzione agli effetti dell’IRES. Di conseguenza, la limitazione della deducibilità degli interessi passivi per tali imprese non risulta giustificabile a priori. Peraltro, la scelta di introdurre il limite di deducibilità degli interessi passivi risulta chiaramente incoerente anche con l’assetto emergente dalla riforma dell’imposizione sulle società. Prima dell’entrata in vigore dei nuovi limiti di deducibilità, per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative gli interessi passivi erano considerati interamente afferenti alla produzione del reddito imponibile IRES nella misura in cui trovavano correlazione in un pari ammontare di interessi attivi imponibili. Ed infatti, l’art. 97 del T.U.I.R. imponeva anche alle imprese così individuate di assoggettare al pro rata patrimoniale soltanto l’eventuale eccedenza degli interessi passivi rispetto a quelli attivi.

Comunque, al di là delle considerazioni che precedono, la misura della percentuale di deducibilità degli interessi passivi non sembra rispondere ad un criterio razionale. Non esiste alcuna regola di esperienza secondo cui i proventi esenti conseguiti da imprese bancarie, finanziarie ed assicurative ammonterebbero mediamente al 4% dei loro proventi complessivi. La percentuale di proventi esenti che tali imprese possono conseguire è destinata a variare non solo da settore a settore e da impresa ad impresa, ma anche di anno in anno (5). Tanto più che la percentuale di indeducibilità per il solo primo periodo d’imposta è stata addirittura fissata nella minore misura del 3%.

Un precedente esemplare: il divieto di deducibilità dell’IRAP dall’imponibile IRES

A conferma delle considerazioni esposte è importante sottolineare che la questione di legittimità costituzionale del divieto di deducibilità dell’IRAP dall’imponibile IRES sancito dal comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 446/1997 per violazione, fra l’altro, degli artt. 3 e 53 Cost. è stata sottoposta alla Corte costituzionale proprio per ragioni analoghe a quelle sopra esposte e cioè perché tale divieto comporta l’assoggettamento ad IRES di un reddito inesistente perché generato dall’indeducibilità dell’IRAP (6). Per di più il legislatore è sembrato implicitamente riconoscere la fondatezza di tale questione laddove con l’art. 6 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha accordato alle società ed enti anche «in relazione ai periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2008» il diritto a chiedere il rimborso della maggiore IRES versata per effetto della mancata deduzione della quota dell’IRAP riferita alle spese per il personale dipendente e agli interessi passivi ed oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati nel limite forfetario del 10% dell’IRAP dell’anno di competenza.

Dubbi di costituzionalità agli effetti IRES per violazione del principio di uguaglianza

Ma non basta. Il limite di deducibilità degli interessi passivi dall’imponibile IRES delle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative sembra porsi in contrasto anche con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Le imprese così individuate possono essere tenute a corrispondere un diverso ammontare d’imposta, pur a parità di reddito netto da loro conseguito, essendo obbligate a corrispondere un crescente ammontare d’imposta al crescere degli interessi passivi. Pertanto, in tal modo, le imprese che lavorino con margini di interesse più ridotti sono colpite in misura proporzionalmente maggiore rispetto alle altre.

Ed ancora, le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative sono sottoposte agli effetti dell’IRES ad un trattamento chiaramente deteriore rispetto alle altre imprese. Per le prime, l’indeducibilità colpisce gli interessi passivi ed è definitiva, mentre, per le seconde, l’indeducibilità colpisce soltanto l’eccedenza degli interessi passivi rispetto a quelli attivi ed è solo temporanea, potendo gli interessi passivi non dedotti in un periodo d’imposta essere dedotti in quelli successivi.

E l’applicazione di questo deteriore trattamento a carico delle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative sembra priva di una giustificazione razionale. Che tali imprese possano sostenere interessi passivi non afferenti alla produzione del reddito imponibile è eventualità sicuramente più remota di quanto non sia per le altre imprese, considerato che sono sottoposte a vigilanza amministrativa, devono rispettare vincoli minimi di patrimonializzazione e generalmente appartengono a gruppi ad azionariato diffuso. Tant’è vero che, prima dell’entrata in vigore dei nuovi limiti di deducibilità, esse erano sottoposte agli effetti dell’IRES ad un trattamento certamente non deteriore rispetto a quello cui erano sottoposte le altre imprese, essendo destinatarie del pro rata patrimoniale, ma non anche delle misure di contrasto della sottocapitalizzazione limitatamente ai finanziamenti assunti nell’esercizio di attività bancaria o finanziaria.

Per superare i dubbi di illegittimità costituzionale precedentemente evidenziati, nel caso di specie, non può reputarsi invocabile l’orientamento della Corte costituzionale secondo cui non comportano la violazione del principio di capacità contributiva i tributi che presentino carattere straordinario e di una tantum (7). Tali due requisiti non risultano soddisfatti nel caso di specie in quanto il limite di deducibilità si presenta come una misura ordinaria ed applicabile a regime.

Dubbi di costituzionalità agli effetti IRAP

Considerazioni analoghe a quelle finora esposte valgono, mutatis mutandis, anche per quanto attiene al limite di deducibilità degli interessi passivi dall’imponibile IRAP delle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative introdotto dagli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 446/1997, come modificati dall’art. 82 del D.L. n. 112/2008, per il fatto che, in virtù dell’espresso disposto dell’art. 4 di questo medesimo decreto legislativo, anche tale imposta deve essere applicata «sul valore della produzione netta» e cioè sul valore della produzione al netto dei relativi oneri e quindi, per le imprese così individuate, anche degli interessi passivi.

Peraltro dubbia appare non solo la legittimità costituzionale dei limiti di deducibilità degli interessi passivi, ma anche della deduzione forfetaria del 10% dell’IRAP versata dall’imponibile IRES introdotta dall’art. 15 del D.L. n. 185/2008. Tale percentuale, ammesso e non concesso che possa essere ritenuta rispondente ad effettivi indici di verosimiglianza, sembra essere stata fissata senza tenere conto della maggior IRAP pagata che è stata pagata e sarà pagata dalle imprese bancarie, assicurative e finanziarie per effetto dei predetti limiti di deducibilità. Secondo quanto è statuito dalla disposizione richiamata, essa è forfetariamente riferita alla quota indeducibile degli interessi passivi e degli oneri assimilati assunta al netto degli interessi attivi e proventi assimilati e quindi alla sola quota indeducibile dell’eventuale margine di interesse negativo.

Sennonché le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative, essendo ammesse a dedurre soltanto il 96% degli interessi passivi, possono risultare titolari di interessi passivi indeducibili non solo di importo superiore al margine di interesse negativo, ma anche nel caso in cui tale margine sia positivo. Pertanto anche la deduzione forfetaria dell’IRAP dall’imponibile IRES, pur a prescindere da ogni altra considerazione sulla congruità del limite del 10%, potrebbe essere considerata costituzionalmente illegittima per violazione del principio di eguaglianza e di capacità contributiva ove, come sembra, sia stata commisurata senza tenere conto della maggiore IRAP pagata per effetto dell’indeducibilità dei predetti interessi passivi.

Non resta che auspicare, dunque, che le limitazioni della deducibilità degli interessi passivi per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative, costituendo misure irrazionali e discriminatorie, siano radicalmente riviste, se non addirittura soppresse.

Note:

(1) Cfr. G. Ferranti, «Ulteriori modifiche alla disciplina degli interessi passivi», in Corr.Trib. n. 1/2008, pag. 9.

(2) Secondo quanto precisato nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del D.L. n. 112/2008, la disposizione che considera deducibili dall’imponibile consolidato gli interessi passivi fino a concorrenza di quelli pagati a soggetti estranei al consolidato fiscale «così come concepita … tende ad evitare duplicazioni della indeducibilità … ma non la evita in modo assoluto: infatti, in caso di successivi finanziamenti a cascata all’interno del gruppo, gli ulteriori interessi passivi corrisposti restano soggetti all’indeducibilità parziale».

(3) La Corte costituzionale, se da un lato nella sentenza 8 novembre 1979, n. 126 (in Banca Dati BIG, IPSOA) ha affermato essere illegittima una legge che, non risultando coerente con il conseguimento del fine voluto, determini irrazionali discriminazioni, dall’altro lato, nella sentenza 22 aprile 1997, n. 111 (in Corr.Trib. n. 29/1997, pag. 2146) ha rilevato che un giudizio di ragionevolezza delle scelte discrezionali del legislatore presuppone la coerenza interna della struttura dell’imposta con il presupposto.

(4) È significativo rilevare come la Corte costituzionale nella sentenza 27 luglio 1982, n. 143 (in Banca Dati BIG, IPSOA), pronunciandosi in materia di oneri deducibili dal reddito, ha statuito incidenter tantum che «può consentirsi, in linea di principio, nel considerare come incidenti sulla capacità contributiva le spese e gli oneri strumentalmente collegati alla produzione del reddito, i quali risultano così suscettibili di essere portati in deduzione per ottenere la base imponibile del tributo; si tratta, invero, di elementi che incidono negativamente sul reddito, cioè su quella ricchezza del contribuente dalla quale debbono trarsi i mezzi necessari per le spese pubbliche».

(5) È orientamento della Corte costituzionale che «le presunzioni tributarie non sono di per sé illegittime purché si fondino su “indici concretamente rivelatori di ricchezza” ovvero su “fatti reali” quand’anche difficilmente accertabili, affinché l’imposizione non abbia una “base fittizia” (così Corte cost., 22 ottobre 1987, n. 334, in Corr.Trib. n. 44/1987, pag. 3007; nello stesso senso Id., 15 luglio 1976, n. 200; Id., 23 luglio 1987, n. 283, ivi n. 15/1987, pag. 1000; Id., 26 marzo 1980, n. 42, in Banca Dati BIG, IPSOA), nel senso che cioè “l’applicazione del tributo che ne deriva non può riposare su basi del tutto incontrollabili per i fini che si ripropongono, quando non addirittura fittizie” (così Corte cost., 11 marzo 1991, n. 103, in Corr.Trib. n. 14/1991, pag. 1029). Pertanto, le presunzioni «per potere essere considerate in armonia con il principio della capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost., debbono essere confortate da elementi concreti che le giustifichino razionalmente» (così Corte cost., n. 200 del 1976, cit.).

(6) Cfr. Comm. trib. prov. di Parma, Ord. 9 maggio 2007, n. 86, in Banca Dati BIG, IPSOA; Id., 9 novembre 2006, n. 105, cfr. A. Bodrito, in Corr. Trib. n. 4/2007, pag. 325; Id., 23 marzo 2006, n. 26; Comm. trib. prov. di Chieti, Ord. 30 ottobre 2006, in Banca Dati BIG, IPSOA; Comm. trib. prov. di Bologna, Ord. 24 settembre 2007, ivi; Comm. trib. prov. di Genova, Ord. 12 febbraio 2004, n. 570, ivi.

(7) Corte cost., 5 febbraio 1996, n. 21, in GT – Riv. giur. trib. n. 8/1996, pag. 705, con commento di A. Baldassari, «Un’altra pronuncia della consulta in materia di imposta straordinaria sugli immobili», e in Banca Dati BIG, IPSOA, per quanto attiene all’ISI; Id., 4 maggio 1995, n. 143, in GT – Riv. giur. trib. n. 12/1995, pag. 1145, con commento di P. Bianchi, «“Una tantum” sui depositi bancari: la pronuncia della Consulta non elimina tutti i dubbi», per quanto attiene all’imposta straordinaria sui depositi bancari; e Id., 23 maggio 1985, n. 159, in Banca Dati BIG, IPSOA, per quanto attiene alla SOCOF.

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