Alcune valutazioni emerse nel corso del Web meeting del 4 marzo sui “Rischi penali e fiscali per i cessionari dei crediti relativi ai bonus fiscali”

Alcune valutazioni emerse nel corso del Web meeting del 4 marzo sui “Rischi penali e fiscali per i cessionari dei crediti relativi ai bonus fiscali”

Il 4 marzo u.s. si è tenuto il Web Meeting organizzato dal nostro studio sui “Rischi penali e fiscali per i cessionari dei crediti relativi ai bonus fiscali”, che ha registrato un’ampia partecipazione di società del settore bancario, finanziario, dell’energia, nonché di associazioni di categoria.

Per quanto attiene ai rischi penali è oramai noto che, per ridurre il danno arrecato all’Erario dall’utilizzo di detrazioni non spettanti per la mancata esecuzione degli interventi, talune procure della Repubblica hanno disposto con decreto il sequestro penale dei crediti d’imposta acquisiti dai cessionari in buona fede.

In particolare, tali procure, dopo aver contestato il delitto di truffa, di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti od altri reati a carico delle imprese che hanno optato per l’utilizzo di detrazioni d’imposta non spettanti, hanno sottoposto a sequestro penale ai sensi dell’art. 321 c.p.p. anche i crediti d’imposta non ancora compensati acquisiti in buona fede da banche ed altri intermediari finanziari sulla base dell’assunto che tali crediti sarebbero “fittizi” e che pertanto tali soggetti sarebbero vittime della frode.

Senonché dall’analisi della normativa relativa all’utilizzo dei bonus fiscali emergono più che validi argomenti per concludere che il sequestro dei crediti d’imposta acquisiti dai cessionari in buona fede non sia legittimo. Ed infatti tali crediti non possono ritenersi fittizi, anche nell’ipotesi in cui trovino contropartita in detrazioni non spettanti, non solo perché non sussiste un’identità giuridica con le detrazioni medesime e la loro attribuzione a favore dei cessionari trova fonte in un atto unilaterale di esercizio di un’opzione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, ma anche perché, anche in una siffatta ipotesi, sono comunque validamente compensabili, come chiaramente riconosciuto dallo stesso Direttore dell’Agenzia delle Entrate nella sua audizione del 10 febbraio u.s. presso la Commissione Bilancio del Senato.       

Ed infatti si legge nel testo di tale Audizione che, “nell’ipotesi in cui il credito d’imposta originariamente ceduto venga disconosciuto dall’Agenzia, quest’ultima recupera il credito d’imposta dal contribuente che lo ha indebitamente ceduto, fermo restando il diritto del cessionario in buona fede di potersene avvalere in sede di versamento delle proprie imposte”.

Per quanto attiene ai rischi fiscali, il recupero del controvalore della detrazione d’imposta e degli interessi, nonché delle sanzioni, risulta ammissibile a carico dei cessionari, nel caso di regolare utilizzo dei crediti d’imposta, soltanto qualora possa essere loro contestato di aver concorso nella violazione tributaria di utilizzo di detrazioni non spettanti in quanto abbiano prestato un contributo causale alla sua commissione, rendendola più agevole e tale contributo sia stato prestato almeno a titolo colpa e, quindi, per mera negligenza, imprudenza od inosservanza di obblighi tributari.

Senonché l’eventuale recupero non sembra potersi ritenere ammissibile, per difetto del contributo causale, nel caso in cui i crediti siano stati acquistati da precedenti cessionari, perfezionandosi la predetta violazione tributaria soltanto con l’esercizio dell’opzione per l’utilizzo delle detrazioni, nonché per difetto di colpa, allorché non siano emersi elementi tali da indurre a ritenere che ai beneficiari non spettino le detrazioni d’imposta, non avendo la legge posto a carico dei cessionari obblighi di controllo specifici.     

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