Il Fisco, 32-33/2021, p. 3120 e segg.
Le società commerciali sono legittimate a fruire dell’esclusione da IRES e della PEX, rispettivamente, sui dividendi e sulle plusvalenze delle partecipazioni nel capitale di Banca d’Italia non classificate in bilancio fra le attività finanziarie detenute per la negoziazione per il fatto che non è prevista una classificazione fiscale ex lege di tali partecipazioni fra le predette attività finanziarie indipendente dalla loro classificazione contabile.
1. Premessa
L’individuazione del regime IRES dei dividendi e delle plusvalenze derivanti dalle partecipazioni detenute da società commerciali nel capitale di Banca d’Italia risulta allo stato problematica [1].
L’Agenzia delle entrate, nella circolare 24 febbraio 2014, n. 4/E, ha sostenuto che il comma 6 dell’ art. 6 del D.L. 30 novembre 2013, n. 133 (“ D.L. n. 133/2013”) [2], avrebbe inteso classificare fiscalmente le predette partecipazioni fra le attività finanziarie detenute per la negoziazione, indipendentemente dalla loro classificazione contabile, “a partire dall’esercizio in corso alla data di entrata in vigore” di tale D.L. e, quindi, in caso di esercizio coincidente con l’anno solare, a partire dall’esercizio 2013 , ma non ha chiarito quali sarebbero gli effetti di una siffatta classificazione.
Tuttavia un’eventuale classificazione solo fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie detenute per la negoziazione, pur non comportando una modifica del regime fiscale dei dividendi percepiti dalle società commerciali OIC adopter , che rimarrebbero soggetti ad IRES per il 5% del loro importo ai sensi del comma 2 dell’ art. 89 del T.U.I.R., comporterebbe invece una modifica del regime fiscale dei dividendi percepiti da quelli IAS adopter in quanto tali dividendi sarebbero integralmente soggetti ad IRES ai sensi del comma 2-bis della predetta disposizione. Per converso la predetta classificazione fiscale non dovrebbe comportare la disapplicazione della PEX [3] tanto per le società commerciali IAS adopter, quanto per quelle OIC adopter, per quanto attiene alle partecipazioni che siano state acquistate, in caso di esercizio coincidente con l’anno solare, prima dell’esercizio 2013, per il fatto che l’applicazione di tale regime ai sensi della lett. b) dell’ art. 87 del T.U.I.R. è subordinata alla classificazione delle partecipazioni nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie e per le partecipazioni medesime rileva la classificazione di bilancio dell’esercizio 2003 o dell’esercizio 2002, rispettivamente, secondo che siano state acquistate nell’esercizio 2003 o in quelli precedenti[4], con la conseguente irrilevanza dell’ultima classificazione, anche fiscale, delle partecipazioni medesime e, quindi, anche di quella eventualmente imposta dalla predetta disposizione a partire dall’esercizio 2013.
Ebbene, la tesi dell’Agenzia delle entrate secondo cui il comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013 sancirebbe una riclassificazione fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie detenute per la negoziazione indipendente dalla loro classificazione contabile non sembra condivisibile per una pluralità di ragioni. Prima di passare al loro esame è opportuno ricostruire la normativa di riferimento.
2. Revisione del regime civilistico delle partecipazioni della Banca d’Italia
La Banca d’Italia è un ente pubblico che svolge le funzioni di Banca centrale della Repubblica Italiana ed è parte integrante del Sistema Europeo di banche centrali. Originariamente l’art. 3 del suo Statuto, in attuazione dell’art. 20 del R.D. 12 marzo 1936, n. 375, ne determinava il capitale in 156.000 euro, suddiviso in 300.000 quote di partecipazione, rappresentate da certificati nominativi di valore nominale unitario pari a 0,52 euro. Tali quote potevano essere cedute solo previo consenso della medesima Banca e, ai sensi degli artt. 39 e 40 del medesimo Statuto, attribuivano il diritto ai dividendi per un importo non superiore al 10% di tale capitale, maggiorato di una quota degli eventuali frutti degli investimenti delle riserve, per un importo non superiore al 4% delle riserve medesime. Inoltre, l’art. 20 del predetto R.D. prevedeva che le quote di partecipazione potessero essere detenute solamente da casse di risparmio, istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale, istituti di previdenza e di assicurazione e dalle fondazioni ex-bancarie.
Per favorire la circolazione delle partecipazioni della Banca d’Italia onde soddisfare i requisiti di autonomia e indipendenza prescritti dall’ art. 130 del TFUE per le banche centrali nazionali, il Governo ha introdotto una serie di modifiche al loro regime civilistico. In particolare, i commi 2 e 3 dell’art. 4 del D.L. n. 133/2013 hanno autorizzato tale istituto “ad aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie all’importo di euro 7.500.000.000”, suddiviso in 300.000 “quote nominative di partecipazione di nuova emissione, di euro 25.000 ciascuna” e hanno riconosciuto il diritto ai dividendi per un importo non superiore al 6% del nuovo capitale. Tuttavia il comma 5 del predetto articolo ha fissato al 3% la percentuale di partecipazione al capitale massima di ciascun partecipante ed ha escluso la spettanza dei diritti di voto e dei dividendi per la quota eccedente tale percentuale, accordando alla Banca d’Italia la facoltà di acquistare temporaneamente tali partecipazioni [5]. Inoltre, il comma 4 dell’art. 4 del D.L. n. 133/2013 ha stabilito che le partecipazioni possono essere acquistate da banche, imprese di assicurazioni, enti di previdenza, con sede in Italia, fondi pensione e fondazioni (ex-)bancarie. Infine, il comma 6-bis dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013 ha autorizzato la Banca d’Italia a dematerializzare le partecipazioni, che poi lo ha fatto con la delibera del 30 settembre 2015.
3. Obbligo di riclassificazione delle partecipazioni Banca d’Italia al valore di iscrizione
Con l’art. 6 del D.L. n. 133/2013, sono stati posti a carico delle società commerciali partecipanti a Banca d’Italia speciali obblighi di classificazione e valutazione delle partecipazioni nel suo capitale.
In particolare, il comma 6 di tale articolo, nella sua formulazione originaria vigente a partire dal 30 novembre 2013, aveva posto a carico di tali società, “a partire dall’esercizio in corso alla data della sua entrata in vigore” e quindi, in caso di esercizio coincidente con l’anno solare, dall’esercizio 2013, l’ obbligo di trasferire le partecipazioni da loro possedute dal comparto in cui erano prima classificate – che per le società commerciali IAS adopter era di regola costituito dal comparto delle attività finanziarie disponibili per la vendita e, per quelli OIC adopter, dal comparto delle immobilizzazioni finanziarie – al “ comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione, ai medesimi valori di iscrizione del comparto di provenienza” e, quindi, in regime di continuità di valori, senza tenere conto dell’aumento a 25.000 euro del loro valore nominale, mantenendo, per il resto, “ferme le disposizioni di cui all’ art. 4 del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38”, e cioè le disposizioni che prevedono l’adozione dei principi contabili internazionali per la redazione del bilancio di esercizio. La relazione illustrativa del comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133/2013 si era limitata a precisare che tale disposizione, “coerentemente con la creazione di un mercato delle partecipazioni al capitale di Banca d’Italia e al fine di favorire effettivamente gli scambi”, ha previsto che “le quote di partecipazione al capitale di Banca d’Italia debbano essere collocate tra le attività destinate alla negoziazione, quindi nel portafoglio di trading, allo stesso valore di iscrizione che avevano nel precedente portafoglio (se diverso)” e che “salvo per quanto riguarda la classificazione delle quote di partecipazione in Banca d’Italia … restano in vigore a regime i principi contabili internazionali anche per la redazione dei bilanci individuali”.
Per le società commerciali IAS adopter il trasferimento delle partecipazioni della Banca d’Italia avrebbe assunto rilievo fiscale in forza dell’ art. 4 del D.M. 8 giugno 2011, laddove stabilisce che “nella riclassificazione di uno strumento finanziario in una delle altre categorie previste dallo IAS 39, che comporta il passaggio ad un diverso regime fiscale dello strumento stesso, il valore dello strumento finanziario iscritto nella nuova categoria, quale risultante da atto di data certa e, in ogni caso, dal bilancio d’esercizio approvato successivamente alla data di riclassificazione, assume rilievo fiscale”. Ed infatti, per costoro tale trasferimento avrebbe comportato non solo la riclassificazione contabile delle partecipazioni, ma anche il passaggio ad un diverso regime fiscale, posto che, per le partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie ai sensi del comma 3-bis dell’ art. 85 del T.U.I.R., in quanto classificate fra le attività disponibili per la vendita, i dividendi sono soggetti ad IRES nel limite del 5% ai sensi del comma 2 dell’ art. 89 del T.U.I.R., e le valutazioni sono fiscalmente irrilevanti ai sensi della lett. d) dell’ art. 110, comma 1, del T.U.I.R., mentre, per le partecipazioni classificate fra gli strumenti finanziari detenuti per la negoziazione i dividendi sono integralmente soggetti ad IRES ai sensi del comma 2-bis dell’ art. 89 del T.U.I.R. e le valutazioni sono fiscalmente rilevanti ai sensi della lett. b) del comma 1-bis dell’ art. 110 del T.U.I.R. D’altro canto, tale riclassificazione avrebbe comportato l’ inapplicabilità della PEX alle successive cessioni delle partecipazioni poiché il comma 3 dell’ art. 4 del D.M. 8 giugno 2011 stabilisce che la riclassificazione contabile degli strumenti finanziari che comporti il passaggio ad un diverso regime fiscale “assume rilevanza anche ai fini di cui alla lettera a) e b) dell’ art. 87 del T.U.I.R. e si applicano le disposizioni di cui alla lett. c) del comma 1-bis dell’art. 110” del T.U.I.R.
Tuttavia tale trasferimento contabile delle partecipazioni, dovendo essere eseguito “allo stesso valore di iscrizione che avevano nel precedente portafoglio”, senza quindi rilevare l’aumento a 25.000 euro del loro valore nominale, avrebbe comportato l’ applicazione dell’IRES in forza del comma 2 dell’art. 4 del predetto D.M., laddove stabilisce che “il differenziale tra il valore di cui al comma precedente ed il valore fiscalmente riconosciuto prima della riclassificazione dello strumento finanziario in un’altra categoria tra quelle contemplate dallo IAS 39 rileva secondo la disciplina fiscale applicabile allo strumento finanziario prima della riclassificazione” soltanto nel periodo d’imposta in cui tale differenziale sarebbe stato rilevato in bilancio per effetto della valutazione delle quote al fair value o della loro cessione a titolo oneroso.
Quando il D.L. n. 133/2013 era in corso di conversione, il comma 148 dell’ art. 1 della Legge 27 dicembre 2013, n. 147, dopo aver confermato l’applicazione dell’ art. 4 del D.M. 8 giugno 2011 al trasferimento delle partecipazioni della Banca d’Italia, “qualunque sia la categoria di provenienza”, aveva istituito un’ imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP del 12% sui “maggiori valori iscritti in bilancio per effetto del comma 6, primo periodo, dello stesso art. 6 del” D.L. n. 133/2013 sulle partecipazioni della Banca d’Italia per effetto dell’aumento del loro valore nominale. Pertanto, il differenziale fra il valore originario di iscrizione e il maggior valore nominale di 25.000 euro nel periodo d’imposta in cui fosse rilevato in bilancio sarebbe stato assoggettabile non più ad IRES, ma alla predetta imposta sostitutiva.
4. Obbligo di riclassificazione delle partecipazioni Banca d’Italia al valore rivalutato
L’originaria formulazione del comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133/2013, nel prevedere l’obbligo di trasferire le partecipazioni della Banca d’Italia al loro valore originario di iscrizione nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione non solo nelle scritture contabili, ma anche nel bilancio di esercizio, anche in deroga agli IAS, si poneva in contrasto con le loro prescrizioni in quanto tali princìpi, pur non disciplinando la redazione delle scritture contabili, disciplinano le modalità di classificazione e valutazione delle attività finanziarie nel bilancio di esercizio[6].
In particolare, lo IAS 39 consentiva di iscrivere nel comparto relativo alle attività finanziarie detenute per la negoziazione soltanto le attività finanziarie acquisite principalmente al fine di venderle o riacquistarle a breve termine e quelle appartenenti ad “un portafoglio di identificati strumenti finanziari che sono gestiti insieme per i quali esiste evidenza di una recente ed effettiva strategia rivolta all’ottenimento di un profitto nel breve periodo” ed imponeva di rilevarle al loro fair value. Inoltre, il par. 50 di tale principio vietava di riclassificare le attività finanziarie nel comparto del bilancio di esercizio relativo alle attività finanziarie detenute per la negoziazione successivamente alla loro rilevazione, laddove stabiliva che “un’entità non deve riclassificare alcuno strumento finanziario nella categoria del fair value rilevato a prospetto di conto economico complessivo dopo la rilevazione iniziale”. Pertanto, le società commerciali IAS adopter, nel caso in cui avessero trasferito le partecipazioni della Banca d’Italia nel comparto delle attività detenute per la negoziazione al loro valore originario non sarebbero stati più IAS compliant. Ed infatti, l’IFRS 1 prevede che non si deve “descrivere il bilancio come conforme agli IFRS a meno che non sia conforme a tutte le disposizioni degli IFRS” (par. 16). D’altro canto, l’art. 5 del Regolamento 1606/2002/CE ha accordato agli Stati membri la facoltà di consentire o prescrivere alle imprese l’adozione degli IAS per la redazione dei bilanci di esercizio individuali, così come omologati dalla Commissione Europea.
Inoltre, per quanto attiene alle società commerciali OIC adopter, il trasferimento delle partecipazioni della Banca d’Italia nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione non risultava coerente con i parr. 1 e 2 dell’art. 15 della Direttiva 78/660/CEE del Consiglio del 25 luglio 1978 pro tempore vigente in quanto tale disposizione prevedeva che “le immobilizzazioni comprendono gli elementi patrimoniali destinati a servire durevolmente all’attività dell’impresa”. Pertanto, avrebbero dovuto essere classificate fra le immobilizzazioni finanziarie le partecipazioni della Banca d’Italia non detenute per la negoziazione.
Senonché l’art. 1 della Legge 29 gennaio 2014, n. 5, in sede di conversione del D.L. n. 133/2013, ha riformulato il comma 6 dell’art. 6, prevedendo l’obbligo non più di “trasferire” le partecipazioni della Banca d’Italia in continuità di valori dal comparto originario di iscrizione nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione, anche in deroga agli IAS, bensì di “iscrivere” tali quote direttamente in quest’ultimo comparto ai “ medesimi valori” e cioè ai maggiori valori derivanti dall’aumento del loro valore nominale a 25.000 euro, ma mantenendo “in ogni caso ferme le disposizioni di cui all’ art. 4 del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38”, e cioè le disposizioni che prevedono l’adozione degli IAS per la redazione del bilancio di esercizio, senza però disporre anche la salvezza delle disposizioni del Codice civile. Pertanto, l’autonomo obbligo di iscrivere le partecipazioni della Banca d’Italia nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione al loro maggior valore nominale di 25.000 euro, se è stato confermato per le società commerciali OIC adopter, per quelle IAS adopter è venuto meno proprio perché sono state integralmente mantenute ferme le prescrizioni degli IAS[7].
Corrispondentemente, il comma 4 dell’art. 12 del D.L. 24 aprile 2014, n. 66 [8], ha integralmente riformulato il comma 148 dell’art. 1 della Legge n. 147/2013, non solo per elevare al 26% l’aliquota dell’imposta sostitutiva ed individuare i criteri di determinazione della relativa base imponibile, ma anche per coordinarlo con il nuovo comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013. Ed infatti, tale disposizione così testualmente recita: “sui maggiori valori iscritti nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2013, per effetto dell’art. 6, comma 6, del Decreto-Legge 30 novembre 2013, n. 133 … si applica un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP e di eventuali addizionali … L’imposta è pari al 26 per cento del valore nominale delle quote alla suddetta data, al netto del valore fiscalmente riconosciuto. Il valore fiscale delle quote si considera riallineato al maggior valore iscritto in bilancio, fino a concorrenza del valore nominale, a partire dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Se il valore iscritto in bilancio è minore del valore nominale, quest’ultimo valore rileva comunque ai fini fiscali a partire dallo stesso periodo d’imposta”.
Pertanto, con la nuova versione del comma 6 dell’art. 6, il legislatore ha inteso introdurre per le partecipazioni della Banca d’Italia un obbligo d’iscrizione fra le attività detenute per la negoziazione al loro valore rivalutato proprio per far emergere contabilmente i relativi plusvalori e poterli quindi ad assoggettare a imposta sostitutiva.
5. Trattamento riservato dalle società alle partecipazioni Banca d’Italia
Le società commerciali hanno generalmente ritenuto che la revisione del regime delle partecipazioni sancita dal nuovo comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013 dovesse essere rappresentata contabilmente come un’operazione di assegnazione di nuove partecipazioni in contropartita dell’annullamento di quelle vecchie e che, quindi, le nuove partecipazioni dovessero essere iscritte al maggior valore unitario di 25.000 euro. Pertanto, le società commerciali IAS adopter hanno iscritto le nuove partecipazioni detenute a scopo di durevole investimento nel comparto delle attività finanziarie disponibili per la vendita, cancellando quelle vecchie, essendo incompatibile con lo IAS 39, per quanto si è detto, la loro iscrizione nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione, ma hanno eseguito tale iscrizione al maggior valore unitario rivalutato di 25.000 euro, avendo ritenuto che tale valore fosse espressivo del loro fair value, imputando a conto economico la differenza fra il maggior valore attribuito alle nuove partecipazioni ed il costo di quelle vecchie.
Per contro, le società commerciali OIC adopter, non essendo stata espressamente fatta salva anche l’applicazione delle disposizioni del Codice civile in materia di bilancio, hanno generalmente cancellato le vecchie partecipazioni della Banca d’Italia ed iscritto quelle nuove, anche se detenute a scopo di durevole investimento, nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione e quindi nell’ attivo circolante al loro maggior valore unitario rivalutato di 25.000 euro, imputando a loro volta a conto economico la differenza fra il maggiore valore attribuito alle nuove partecipazioni ed il costo di quelle vecchie.
La revisione del regime delle partecipazioni della Banca d’Italia, pur essendo stata rappresentata in bilancio come un’operazione di assegnazione di nuove partecipazioni in contropartita dell’annullamento di quelle vecchie, agli effetti delle imposte sui redditi, non sembra aver dato luogo ad un’operazione di rimborso delle vecchie partecipazioni dietro assegnazione di nuove partecipazioni produttiva di utili ai sensi del combinato disposto del comma 2 dell’ art. 89 del T.U.I.R. e del comma 7 dell’ art. 47 del T.U.I.R., bensì ad un’ operazione fiscalmente neutrale di aumento gratuito del capitale mediante aumento del valore nominale delle partecipazioni con rimodulazione dei diritti dei partecipanti. Ed infatti, a ben vedere, la modifica del predetto regime non è stata attuata mediante l’annullamento delle vecchie partecipazioni con azzeramento del capitale sociale e l’assegnazione di quelle nuove con ricostituzione del capitale sociale fino alla nuova misura di 7,5 miliardi di euro, bensì mediante un aumento gratuito del capitale sociale eseguito tramite imputazione di riserve statutarie di utili, posto che il comma 2 dell’art. 4 del D.L. 133 ha autorizzato tale istituto “ad aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie all’importo di euro 7.500.000.000” con l’emissione di quote nominative di partecipazione di valore nominale unitario 25.000 euro. Pertanto, la predetta operazione risulta neutrale agli effetti delle imposte sui redditi ai sensi del comma 6 dell’ art. 47 del T.U.I.R., laddove stabilisce che “in caso di aumento del capitale sociale mediante passaggio di riserve o altri fondi a capitale le azioni gratuite di nuova emissione e l’aumento gratuito del valore nominale delle azioni o quote già emesse non costituiscono utili per i soci”, essendo l’applicabilità di tale disposizione estesa anche ai soggetti IRES dal comma 4 dell’ art. 89 del T.U.I.R.
Né vale obiettare che per le società commerciali IAS adopter la rappresentazione fornita nel bilancio di esercizio della revisione del regime delle partecipazioni della Banca d’Italia avrebbe assunto rilevanza fiscale per il principio sancito dal comma 1 dell’ art. 83 del T.U.I.R., pro tempore vigente, secondo cui anche “i criteri di qualificazione” previsti da tali princìpi assumono diretta valenza fiscale. L’art. 3 del Regolamento 1° aprile 2009, n. 48 deroga espressamente tale principio per le operazioni che hanno ad oggetto titoli partecipativi, imponendo di assoggettarle ad un regime fiscale coerente con la loro natura giuridica, laddove statuisce che “il regime fiscale è individuato sulla base della natura giuridica delle operazioni … quando oggetto delle operazioni di cui sopra siano i titoli di cui all’art. 85, comma 1, lettere c) e d) del Testo Unico, anche costituenti immobilizzazioni finanziarie” [9], ed esclude l’applicabilità di tale deroga solo alle operazioni su azioni proprie e su strumenti rappresentativi del patrimonio proprio. Inoltre, è da escludere che la predetta rappresentazione di bilancio poteva risultare fiscalmente realizzativa ai sensi dell’art. 4 del D.M. 8 giugno 2011, per il fatto che tale disposizione non solo non è stata più richiamata dal comma 148 dell’art. 1 della Legge n. 147/2013, ma risulta applicabile solo alle riclassificazioni contabili poste in essere da società commerciali IAS adopter che comportino un passaggio di regime fiscale. Senonché, come si è detto, tali società non hanno eseguito alcuna riclassificazione contabile delle partecipazioni della Banca d’Italia detenute a scopo di investimento, essendo stata fatta salva l’applicazione degli IAS.
Comunque, che la revisione del regime delle predette partecipazioni abbia dato luogo agli effetti delle imposte sui redditi ad un’operazione fiscalmente neutrale di aumento gratuito del capitale mediante aumento del valore nominale delle partecipazioni con rimodulazione dei diritti dei partecipanti è confermato in via legislativa proprio dal comma 148 dell’art. 1 della Legge n. 147/2013. Ed infatti, quest’ultima disposizione, stabilendo che “il valore fiscale delle quote si considera riallineato al maggior valore iscritto in bilancio, fino a concorrenza del valore nominale, a partire dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione” e, quindi, soltanto dal successivo periodo d’imposta 2014 e che “se il valore iscritto in bilancio è minore del valore nominale, quest’ultimo valore rileva comunque ai fini fiscali a partire dallo stesso periodo d’imposta”, dietro pagamento dell’imposta sostitutiva del 26%, ha dato per acquisito che per le società commerciali partecipanti a Banca d’Italia la revisione del regime delle sue partecipazioni non ha dato luogo ad un’operazione di rimborso delle vecchie partecipazioni dietro assegnazione di quelle nuove produttiva di utili in quanto, attribuendo effetto al riallineamento del costo fiscale delle quote al loro valore nominale dal periodo d’imposta 2014, dietro pagamento dell’imposta sostitutiva del 26%, prevede implicitamente che tali soggetti nel precedente periodo d’imposta 2013 hanno mantenuto in carico le partecipazioni al loro costo fiscale originario.
Infine, a partire dall’entrata in vigore dell’IFRS 9 e quindi dagli esercizi aventi inizio dal 1° gennaio 2018, i soggetti IAS adopter hanno generalmente riclassificato le partecipazioni nel capitale della Banca d’Italia nella categoria delle attività finanziarie valutate al fair value rilevato nelle altre componenti del conto economico complessivo (FVTOCI), esercitando l’opzione prevista dal par. 5.7.5. del predetto principio per gli strumenti rappresentativi di capitale non detenuti per la negoziazione. Pertanto, i soggetti così individuati hanno continuato a considerare tali partecipazioni come non detenute per la negoziazione, dovendo le attività finanziarie che presentano tali caratteristiche essere in ogni caso iscritte, secondo il predetto principio contabile, che non prevede più per loro un’autonoma categoria, nella categoria delle attività finanziarie valutate al fair value rilevato nell’utile (perdita) di esercizio (FVTPL).
6. Tesi dell’AdE: una classificazione fiscale ex lege delle partecipazioni Banca d’Italia
Come si è visto, il 24 febbraio 2014, e quindi nella vigenza della versione finale del comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133/2013 e della prima versione del comma 148 dell’ art. 1 della Legge n. 147/2013, l’Agenzia delle entrate, per illustrare queste disposizioni, ha emanato la circolare n. 4/E. Nella predetta circolare essa ha innanzitutto sostenuto che la prima di tali due disposizioni introdurrebbe una classificazione fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie detenute per la negoziazione, indipendente dalla loro classificazione contabile, laddove ha precisato che tale disposizione “prescindendo … da valutazioni di carattere contabile … detta una disciplina fiscale per le quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia inquadrandole nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione (portafoglio di trading)” e che “tale inquadramento, da un punto di vista fiscale, deve essere effettuato a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 30 novembre 2013, data di entrata in vigore del D.L. n. 133 del 2013”.
Inoltre, l’Agenzia delle entrate ha riconosciuto che l’iscrizione delle quote di partecipazione della Banca d’Italia al loro maggior valore nominale di 25.000 euro nel bilancio dell’esercizio 2013 non assume rilevanza fiscale e genera quindi un disallineamento con il loro precedente valore fiscale. Ed infatti, nella circolare n. 4/E/2014, essa, dopo aver premesso che il comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013 “con l’utilizzo della locuzione ‘ai medesimi valori’ … ha voluto individuare un nuovo valore delle partecipazioni a seguito dell’inquadramento delle stesse nella categoria delle attività finanziarie detenute per la negoziazione … pari al valore nominale delle quote di nuova emissione … vale a dire 25.000 euro per ciascuna quota di partecipazione”, ha rilevato che “l’individuazione di un valore della partecipazione, pari al valore nominale, determina un disallineamento rispetto al valore fiscale ascrivibile alle quote precedentemente iscritte in bilancio” e che “l’ art. 1, comma 148, della Legge n. 147 del 2013 … prende atto del disallineamento tra il valore nominale e quello fiscale delle quote di partecipazione, generato dal comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133 del 2013 e prevede l’obbligo di riallineare i predetti valori con il versamento di un’imposta sostitutiva”. Di conseguenza, a suo avviso, il regime così descritto “da un lato disattiva di fatto il regime di esenzione delle plusvalenze previsto dall’ art. 87 del T.U.I.R. dall’altro riconosce un maggior valore fiscale con il versamento di un’ imposta sostitutiva, caratterizzata da un’ aliquota inferiore rispetto a quella applicabile in caso di tassazione ordinaria” in quanto “la previsione di un’imposta sostitutiva sul differenziale tra il valore nominale e quello fiscale è, con tutta evidenza, incompatibile con il regime di esenzione delle plusvalenze previsto dall’ art. 87 del T.U.I.R.”.
L’Agenzia delle entrate non si è occupata anche del regime fiscale dei dividendi e plusvalenze delle partecipazioni della Banca d’Italia. Tuttavia, come si è anticipato, per le società commerciali IAS adopter una pretesa riclassificazione fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie detenute per la negoziazione comporterebbe l’ integrale assoggettabilità ad IRES dei dividendi ai sensi del comma 2-bis dell’ art. 89 del T.U.I.R., mentre per le società commerciali OIC adopter la predetta riclassificazione fiscale, pur comportando la qualificazione delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie non costituenti immobilizzazioni finanziarie, non comporterebbe la tassazione integrale dei dividendi.
Per contro, una pretesa riclassificazione solo fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia nel comparto delle attività detenute per la negoziazione non comporterebbe la disapplicazione della PEX tanto per le società commerciali IAS adopter, quanto per quelle OIC adopter per quanto attiene alle partecipazioni acquistate prima del periodo d’imposta 2013, per il fatto che l’applicazione di tale regime ai sensi della lett. b) dell’ art. 87 del T.U.I.R. risulta subordinata alla classificazione delle partecipazioni nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso nel periodo di possesso e, quindi, nel bilancio relativo all’esercizio d’acquisto ed è quindi irrilevante la loro ultima classificazione fiscale. Ed infatti le lett. c) e d) del comma 1 dell’ art. 85 del T.U.I.R. lasciano intendere che possono beneficiare della PEX anche partecipazioni che, pur non essendo classificate fra le immobilizzazioni finanziarie alla data della cessione, erano classificate come tali nel bilancio relativo all’esercizio di acquisto, laddove considerano come ricavi i corrispettivi delle cessioni delle azioni e degli strumenti finanziari similari alle azioni “che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie” soltanto se siano “diversi da quelli cui si applica l’esenzione di cui all’art. 87”. Pertanto, le partecipazioni acquistate prima dell’esercizio 2013, nel caso in cui non siano state classificate nella categoria delle attività finanziarie detenute per la negoziazione o in quella dell’attivo circolante nel bilancio relativo all’esercizio di acquisto, soddisferebbero comunque il requisito così individuato.
Né d’altro canto può obiettarsi che la revisione del regime civilistico delle partecipazioni della Banca d’Italia è stata rappresentata contabilmente dai soggetti partecipanti al suo capitale come un’assegnazione di nuove partecipazioni in cambio di quelle vecchie e che, quindi, sarebbe configurabile una prima iscrizione in bilancio rilevante ai sensi della lett. b) dell’art. 87, comma 1, del T.U.I.R. Come si è visto, tale rappresentazione contabile non sembra assumere rilevanza fiscale, tanto per le società commerciali OIC adopter, quanto per quelli IAS adopter non solo perché la predetta revisione ha dato luogo ad un’operazione fiscalmente neutrale di aumento gratuito del capitale e non ha legittimato, per i secondi, una riclassificazione contabile delle predette partecipazioni ai sensi dell’ art. 4 del D.M. 8 giugno 2011, ma anche perché è lo stesso comma 148 dell’ art. 1 della Legge n. 147/2013 ad averlo dato per acquisito, riconoscendo rilevanza fiscale ai maggiori valori iscritti sulle partecipazioni della Banca d’Italia soltanto con effetto dal periodo d’imposta 2014 , dietro pagamento dell’imposta sostitutiva del 26%.
7. Non sussiste una classificazione fiscale ex lege delle partecipazioni Banca d’Italia
La ricostruzione del quadro normativo ed interpretativo di riferimento induce a dissentire dalla tesi secondo cui il comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013 prevederebbe una classificazione fiscale ex lege delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie detenute per la negoziazione indipendente dalla loro classificazione contabile.
La predetta disposizione sembra volta ad introdurre esclusivamente un obbligo di classificazione e valutazione delle partecipazioni della Banca d’Italia di valenza contabile non solo perché non reca alcun richiamo alla normativa fiscale ovvero a nozioni fiscali, ma anche perché, ponendo il precetto secondo cui i “partecipanti al capitale di Banca d’Italia … iscrivono le quote di cui all’art. 4, comma 2, nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione ai medesimi valori” e cioè ai maggiori valori derivanti dall’aumento del loro valore nominale a 25.000 euro, richiama nozioni contabili. Ed infatti, se da un lato è esclusivamente la contabilità che accoglie l’iscrizione dei valori delle partecipazioni, esistendo autonome scritture fiscali solo per i beni ammortizzabili e quelli di magazzino, dall’altro lato, anche la nozione di “ comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione” è una nozione contabile in quanto il T.U.I.R. utilizza di regola le diverse nozioni di attività che “non costituiscono immobilizzazioni finanziarie” nel comma 1 dell’ art. 85 del T.U.I.R., in contrapposizione a quelle di attività classificate “nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie” utilizzata nell’art. 87 e di attività che “costituiscono” o “si considerano come immobilizzazioni finanziarie” utilizzata nei commi 3 e 3- bis dell’art. 85, nel comma 4 dell’art. 86, nei commi 2 e 2- bis dell’art. 101 e nei commi 1 ed 1- bis dell’ art. 110 del medesimo T.U.I.R. Inoltre, il secondo periodo del comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013, mantenendo “in ogni caso ferme le disposizioni di cui all’ art. 4 del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38” e cioè le disposizioni che prevedono l’obbligo o la facoltà di adottare i principi contabili internazionali per la redazione del bilancio, non solo dà per presupposto che il precedente primo periodo sancisca un obbligo di valenza contabile e non fiscale, risultando altrimenti inutiliter data, ma per i soggetti IAS adopter ha escluso anche la stessa sussistenza di un autonomo obbligo di classificazione contabile, mantenendo ferma l’applicazione degli IAS.
Né d’altra parte può obiettarsi che tale clausola, proprio facendo salva l’applicazione dei princìpi contabili internazionali, intenderebbe riconoscere una valenza esclusivamente fiscale agli obblighi di classificazione e valutazione sanciti dal comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013 per il fatto che, se così fosse stato, avrebbe dovuto fare salva l’applicazione anche delle disposizioni del Codice civile in materia di bilancio.
Ma non basta. A ben vedere, è lo stesso comma 148 della Legge n. 147/2013 a confermare che l’obbligo d’iscrizione delle partecipazioni nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione ai maggiori valori derivanti dall’aumento del loro valore nominale a 25.000 euro ha una valenza contabile in quanto prevede non solo che il comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133/2013 ha come effetto l’ iscrizione di “maggiori valori” nel bilancio dell’esercizio 2013 , ma anche che i maggiori valori così iscritti non sono rilevanti fiscalmente in quanto, come si è visto, assumono rilevanza fiscale soltanto nel periodo d’imposta 2014 fino a concorrenza del maggior valore nominale delle quote dietro pagamento dell’imposta sostitutiva del 26%.
Nel senso appena esposto depone anche la relazione illustrativa dell’art. 4 di tale D.L., laddove lascia intendere che tale D.L. non ha inteso modificare il regime fiscale dei dividendi delle partecipazioni della Banca d’Italia, avendo precisato che “il meccanismo di remunerazione basato esclusivamente sull’ammontare massimo dei dividendi, a valere sull’utile netto di esercizio, mantiene inalterato l’attuale regime fiscale”. Tant’è vero che la relazione tecnica non ha inserito fra le previsioni di gettito il maggior gettito derivante dall’integrale assoggettamento ad IRES dei dividendi.
Ed ancora, il comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133/2013 non può porre a carico dei soggetti IAS adopter un obbligo di classificazione fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie detenute per la negoziazione indipendente dalla qualificazione contabile perché l’art. 83 del T.U.I.R., sancendo il principio secondo cui i criteri di classificazione previsti dai princìpi contabili internazionali assumono diretta valenza fiscale, in difetto di una deroga espressa, non consente di prevedere classificazioni fiscali difformi da quelle dei predetti princìpi.
Comunque, la previsione di un obbligo di riclassificazione solo fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia fra le attività finanziarie detenute per la negoziazione violerebbe i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’ art. 3 della Costituzione in quanto comporterebbe l’assoggettamento dei proventi di tali partecipazioni non detenute per la negoziazione ad un regime fiscale deteriore rispetto a quello dei proventi delle altre partecipazioni non detenute per la negoziazione, senza una giustificazione razionale, sfavorendone l’acquisto e la detenzione, tanto più per il fatto che per le partecipazioni della Banca d’Italia eccedenti il 3% non è previsto il pagamento di dividendi.
Né può obiettarsi che, in tal caso, l’assoggettamento integrale ad IRES dei dividendi e delle plusvalenze potrebbe trovare giustificazione nel precedente assoggettamento ad imposta sostitutiva con l’aliquota del 26% dei maggiori valori derivanti dall’aumento del valore nominale delle partecipazioni della Banca d’Italia. L’applicazione di tale imposta sostitutiva ha comportato un aggravio e non un risparmio d’imposta a carico delle imprese che non le hanno acquistate per la negoziazione in quanto le plusvalenze di tali partecipazioni avrebbero altrimenti fruito della PEX. D’altro canto, sarebbero integralmente soggetti ad IRES anche i dividendi e le plusvalenze di partecipazioni detenute da imprese IAS adopter che, avendole acquistate dopo il periodo d’imposta 2013, non hanno corrisposto l’imposta sostitutiva.
Peraltro, l’assoggettamento al regime d’ imposizione integrale dei dividendi anche delle partecipazioni della Banca d’Italia non detenute per la negoziazione si pone in chiaro contrasto con la ratio di tale regime in quanto, essendo stato introdotto per contrastare le operazioni di acquisto e rivendita di partecipazioni che consentano di conseguire dividendi esclusi in contropartita del realizzo di minusvalenze deducibili[10], non ha ragione di trovare applicazione anche per le partecipazioni così individuate.
Infine, l’integrale assoggettamento ad IRES dei dividendi delle partecipazioni della Banca d’Italia non detenute per la negoziazione sarebbe incompatibile con l’eventuale fruizione della PEX sulle plusvalenze realizzate mediante la loro cessione a titolo oneroso per il fatto che consentirebbe di considerare esenti da IRES per il 95% del loro importo plusvalenze che troverebbero fonte nella capitalizzazione di dividendi integralmente soggetti a tale imposta.
Con l’entrata in vigore dell’IFRS 9 le conclusioni esposte sono state vieppiù confermate dall’ art. 2 del Decreto del MEF del 10 gennaio 2018, recante “disposizioni di coordinamento” tra lo IFRS 9 “e le regole di determinazione della base imponibile dell’IRES e dell’IRAP”. Tale disposizione ha infatti stabilito che, a seguito dell’adozione di tale principio contabile, “si considerano detenute per la negoziazione, ai sensi del comma 3-bis dell’ art. 85 del T.U.I.R.”, esclusivamente le attività finanziarie che integrino due distinti requisiti di natura contabile e cioè che rispettino “la definizione di possedute per la negoziazione di cui alle lettere a) e b) dell’Appendice A dell’IFRS 9” [11] e “che sono rilevate come tali in bilancio” [12], senza fare alcuna eccezione per le partecipazioni nel capitale della Banca d’Italia. Pertanto, come rilevato nella relazione illustrativa, tale disposizione ha statuito che le partecipazioni non detenute principalmente al fine di essere vendute o riacquistate a breve “non possono essere in alcun caso ricondotte alla classificazione di quelle detenute per la negoziazione, ai sensi del comma 3-bis dell’art. 85 del T.U.I.R.”.
8. Spettanza dell’esclusione da IRES e della PEX per le partecipazioni Banca d’Italia
L’aver escluso che il comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013 possa sancire una classificazione fiscale ex lege delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività detenute per la negoziazione indipendente dalla loro classificazione contabile consente di concludere che è la classificazione riservata a tali partecipazioni nel bilancio di esercizio ad assumere rilevanza fiscale. Pertanto le società commerciali IAS adopter devono ritenersi legittimate a fruire sui dividendi del regime di esclusione da IRES del 95%, fino all’esercizio 2017, nel caso in cui abbiano continuato a classificare le predette partecipazioni nel comparto delle attività finanziarie disponibili per la vendita e, a partire dall’esercizio 2018, in quanto non detengano tali partecipazioni al fine di venderle a breve e non le abbiano quindi classificate nella voce relativa alle attività finanziarie detenute per la negoziazione, ove prevista nello schema di bilancio, nonché della PEX, nel caso in cui non abbiano iscritto le predette partecipazioni fra quelle detenute per la negoziazione nel bilancio relativo al primo esercizio chiuso nel periodo di possesso. Inoltre, i soggetti OIC adopter devono ritenersi legittimati a fruire non solo del regime di esclusione da IRES del 95% sui dividendi, ma anche della PEX, nel caso in cui abbiano classificato le partecipazioni della Banca d’Italia fra le immobilizzazioni finanziarie nel bilancio del primo esercizio chiuso nel periodo di possesso, nonché, nel bilancio dell’esercizio 2003 o dell’esercizio 2002, secondo che siano state acquistate nell’esercizio 2003 o in quelli precedenti [13].
Note:
[1] Si veda Assonime, circolare n. 20/2014.
[2] Convertito, con modificazioni, dalla Legge 29 gennaio 2014, n. 5.
[3] L’Agenzia delle entrate, sostenendo nella circolare n. 4/E/2014 che per le partecipazioni della Banca d’Italia può essere fruita la PEX, ha dato per assunto che tale istituto costituisca un ente commerciale, pur essendo un ente pubblico.
[4] Ai sensi della lett. g) dell’art. 4 del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, per le partecipazioni acquistate nell’esercizio anteriore a quello di entrata in vigore del T.U.I.R. e quindi, in caso di esercizio coincidente con l’anno solare, nell’esercizio 2003, rileva la classificazione di bilancio di tale esercizio, mentre per quelle acquistate nel secondo esercizio anteriore e in quelli precedenti e, quindi, in caso di esercizio coincidente con l’anno solare, nell’esercizio 2002 e in quelli precedenti, rileva la classificazione di bilancio del secondo esercizio anteriore e, quindi, dell’esercizio 2002.
[5] Pertanto il diritto ai dividendi non spetta per le partecipazioni che eccedano il valore di 225 milioni di euro.
[6] Stando a quanto emerge dal parere del 27 dicembre 2013 (CON/2013/96), la BCE aveva auspicato non solo che “la ricapitalizzazione risulti sempre pienamente conforme … al sistema contabile dell’Unione e, in particolare che le regole sulla riclassificazione degli strumenti finanziari di cui agli IAS e IFRS non siano violate (in particolare lo IAS 39, paragrafo 50)”.
[7] La Banca d’Italia, la Consob e l’IVASS, con il Comunicato Stampa congiunto dell’11 marzo 2014, avevano richiamato le imprese IAS compliant a “adottare, in sede di approvazione del bilancio 2013, modalità di contabilizzazione che tengano conto di quanto disposto dal D.L. 133/2013 così come convertito nella Legge n. 5/2014, ma nel rispetto dei principi contabili internazionali del complessivo quadro informativo disponibile”.
[8] Convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 giugno 2014, n. 89.
[9] La relazione illustrativa di tale articolo chiarisce proprio che per quanto attiene al “regime fiscale del trasferimento di partecipazioni … non rilevano i richiamati criteri di
‘derecognition’ ma la nozione giuridica di realizzo ordinariamente applicabile ai soggetti non IAS”.
[10] G. Escalar, “Il regime fiscale di azioni, quote e strumenti similari per le società IAS adopter”, in A.A.V.V., La fiscalità delle società IAS/IFRS, IPSOA, 2011, pag. 210.
[11] E cioè che siano “acquisite o sostenute principalmente al fine di essere vendute o riacquistate a breve” ovvero “al momento della rilevazione iniziale” siano “parte di un portafoglio di strumenti finanziari identificati che sono gestiti insieme e per i quali è provata l’esistenza di una recente ed effettiva strategia rivolta all’ottenimento di un utile nel breve periodo”.
[12] Come risulta dalla relazione illustrativa, poiché l’IFRS 9 non prevede più un’autonoma categoria per le attività finanziarie detenute per la negoziazione, quest’ultimo requisito intende “dare rilievo, ai fini del comma 3- bis dell’ art. 85 del T.U.I.R. alla classificazione in bilancio” con esclusivo riguardo ai “soggetti che prevedono un’apposita voce in cui registrare le attività di trading … (come, ad esempio, per gli schemi di bilancio imposti dall’Autorità di vigilanza degli enti finanziari)”.
[13] Cfr. nota 4.
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