L’aliquota dell’imposta sulle assicurazioni applicabile su polizze CQS E CPI

L’aliquota dell’imposta sulle assicurazioni applicabile su polizze CQS E CPI

Corr. Trib. 1/2023, pagg. 91 e segg.

Le polizze CQS (Cessione del Quinto dello Stipendio) e CPI (Credit Protection Insurance) sono riconducibili fra le “assicurazioni contro i rischi d’impiego” soggette ad imposta sulle assicurazioni con l’aliquota del 2,50% e non fra le “assicurazioni della solvibilità dei debitori” soggette a tale imposta con l’aliquota del 12,50%, in quanto le prime accordano il pagamento di un indennizzo agli intermediari che abbiano concesso a lavoratori dipendenti finanziamenti garantiti dalla predetta cessione alla condizione che abbiano per qualsiasi motivo perso l’impiego, e le seconde subordinano il pagamento dell’indennizzo a favore dei lavoratori dipendenti che abbiano ricevuto finanziamenti non garantiti alla condizione che abbiano perso il loro impiego per ragioni indipendenti dalla loro condotta. Pertanto il pagamento dell’indennizzo non è subordinato all’insolvenza dei lavoratori finanziati.

È divenuta oramai oggetto di ampio dibattito la questione relativa all’individuazione dell’aliquota dell’imposta sulle assicurazioni applicabile alle polizze stipulate in relazione a finanziamenti garantiti mediante la Cessione del Quinto dello Stipendio (“polizze CQS”) e alle polizze Credit Protection Insurance (“polizze CPI”) stipulate in relazione a finanziamenti personali, anche per le contestazioni formulate dall’Agenzia delle entrate a carico di talune imprese di assicurazione [1].

In particolare, si controverte se le predette polizze siano riconducibili fra le “Assicurazioni contro i rischi di impiego, diversi da quello di morte, connessi alla cessione del quinto dello stipendio” e fra le “Assicurazioni contro i rischi di impiego” soggette all’aliquota del 2,5%, ai sensi, rispettivamente, dell’art. 14 Tariffa dell’imposta sulle assicurazioni contenuta nell’Allegato A alla Legge 29 ottobre 1961, n. 1216 (“la Tariffa”) e dell’art. 5 del D.L. 30 dicembre 1982, n. 953[2], ovvero, per contro, fra le “Assicurazioni della solvibilità dei debitori” soggette all’aliquota del 12,50% ai sensi dell’art. 13 della Tariffa.

Cercherò in questa sede di fornire una mia opinione sulla questione sulla base di una dovuta valorizzazione della normativa civilistica di riferimento, svolgendo per maggior chiarezza espositiva un’analisi distinta per le polizze CQS e le polizze CPI.

La disciplina civilistica delle polizze CQS

Le polizze CQS sono le polizze che le imprese di assicurazioni collocano sul mercato a copertura del rischio di perdita dell’impiego in relazione ai finanziamenti concessi da intermediari finanziari a lavoratori dipendenti pubblici e privati ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, recante “Approvazione del Testo Unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti” (“D.P.R. n. 180/1950 ”), dietro cessione dei crediti relativi allo stipendio fino al massimo di un quinto.

L’art. 54 del D.P.R. n. 180/1950 pone infatti a carico degli intermediari che concedano i predetti finanziamenti l’obbligo di stipulare una polizza contro i rischi di impiego per garantirsi il recupero dei relativi crediti. Tant’è vero che tale disposizione non solo stabilisce che i finanziamenti garantiti mediante “cessioni di quote di stipendio o di salario … devono avere la garanzia dell’assicurazione contro i rischi di impiego” ovvero di altre “malleverie che … assicurino il ricupero” del credito residuo agli intermediari finanziatori “nei casi in cui per cessazione o riduzione di stipendio o salario … non sia, possibile la continuazione dell’ammortamento o il [suo] ricupero”, ma esclude anche che i rischi di impiego possano essere assunti in proprio dai predetti intermediari.

L’obbligo così posto dalla predetta disposizione è evidentemente volto a garantire la stabilità finanziaria degli intermediari finanziatori, garantendogli il rimborso del finanziamento anche nel caso in cui venga meno l’unica garanzia fornita dai lavoratori finanziati e cioè il quinto dello stipendio. Pertanto la stipula delle polizze CQS è posta a tutela dell’interesse degli intermediari finanziatori e non di quello dei lavoratori finanziati. In questo senso si è chiaramente espressa la Cassazione civile, laddove ha rilevato che “l’assicurazione obbligatoriamente prevista dall’art. 54 del D.P.R. n. 180/1950 è volta a garantire il mutuante, nel caso in cui per qualsiasi ragione venga a mancare la disponibilità dello stipendio del mutuatario”[3]. Di conseguenza tali polizze possono accordare alle imprese di assicurazione il diritto di surrogarsi, una volta che abbiano corrisposto agli intermediari finanziatori l’indennizzo per la perdita dell’impiego, nel credito da loro vantato nei confronti dei lavoratori finanziati per il rimborso dei finanziamenti.

Gli intermediari finanziatori di regola si fanno carico del pagamento dei premi e pertanto concludono le polizze CQS nella congiunta qualità di contraenti, assicurati e beneficiari, ma possono anche porre contrattualmente il pagamento dei premi a carico dei lavoratori dipendenti che, in tal caso, assumono la veste di contraenti e di assicurati, pur rimanendo beneficiari dell’indennizzo. Tuttavia, secondo la Cassazione civile, anche nel caso nel caso in cui i premi siano posti a carico dei lavoratori finanziati tali polizze rimangono poste a tutela dell’interesse degli intermediari finanziatori in quanto non è “ incompatibile con tale qualificazione … la circostanza che il premio è stato corrisposto dal … debitore finanziato, in quanto costui era contrattualmente obbligato a farlo, e questa previsione contrattuale non può nemmeno dirsi incompatibile con lo schema contrattuale, poiché ben può rispondere all’interesse delle parti che il finanziato riconosca al finanziatore un diritto alla assicurazione per il rischio in cui il debito non venga restituito”[4].

Le polizze CQS, dovendo essere stipulate, per espressa disposizione di legge, a tutela dell’interesse degli intermediari finanziatori, prevedono il pagamento dell’indennizzo a loro favore alla condizione che i lavoratori finanziati abbiano perso l’impiego per qualunque motivo e quindi, fra l’altro, oltre che per licenziamento per giustificato motivo oggettivo, anche per licenziamento per giusta causa e dimissioni volontarie e che non subentrino al datore di lavoro nel rimborso del finanziamento mediante l’adesione ad un piano di rientro. Pertanto, tali polizze non pongono a carico degli intermediari finanziatori l’onere di previa escussione dei lavoratori finanziati, ma, se del caso, soltanto quello di accertare se intendano accettare tale subentro con le modalità così stabilite.

Le polizze CQS sono volte a coprire i rischi di impiego

Così ricostruito il regime civilistico delle polizze CQS, ritengo che tali polizze siano soggette ad imposta sulle assicurazioni con l’aliquota del 2,5% in quanto sono volte a coprire non il rischio di “solvibilità dei debitori” di cui all’art. 13 della Tariffa, bensì “ i rischi di impiego … connessi alla cessione del quinto dello stipendio” di cui all’art. 14 della Tariffa non solo perché lo prevedono le relative condizioni generali di contratto, ma anche perché riconoscono il diritto all’indennizzo alla sola condizione che i lavoratori finanziati per la perdita dell’impiego non rimborsino il finanziamento[5]. Di conseguenza, per il riconoscimento del diritto all’indennizzo, è sempre necessario che i lavoratori finanziati abbiano perso l’impiego. Per contro, la loro insolvenza non solo non è necessaria, bastando, se del caso, che non subentrino al datore di lavoro nel rimborso del finanziamento mediante apposito piano di rientro, ma non è neppure sufficiente, qualora trovi giustificazione in una ragione diversa dalla perdita dell’impiego, come, ad esempio, nel mancato pagamento dello stipendio da parte del datore di lavoro ovvero nella sua temporanea sospensione.

È dirimente rilevare a questo riguardo che la Cassazione tributaria, essendo stata chiamata a stabilire se i crediti derivanti da finanziamenti in relazione a cui siano state stipulate le polizze CQS possano ritenersi “coperti da garanzia assicurativa” ai sensi del comma 3 dell’art. 106 del T.U.I.R. lo ha escluso in quanto ha ritenuto che tali polizze coprono il rischio di impiego e non il rischio di solvibilità dei debitori. Ed infatti la Suprema Corte, dopo aver premesso che le polizze “stipulate dalla società contribuente a garanzia del rischio derivante dal finanziamento in favore dei lavoratori, a fronte della cessione del quinto dello stipendio da parte degli stessi, sono limitate a garantire soltanto … la perdita dell’impiego del lavoratore destinatario del finanziamento”, ha concluso che “la copertura assicurativa ex lege, che trae origine dall’art. 54 del D.P.R. n. 180 del 1950, non fornisce una copertura globale dei rischi di realizzo del credito in favore della società contribuente finanziatrice, rimanendo scoperti i rischi derivanti dal mancato pagamento delle somme da parte del datore di lavoro, che pure le ha trattenute direttamente sullo stipendio del dipendente, oltre che dall’insolvenza stessa del datore di lavoro e dalla diminuzione dell’importo dello stipendio”[6].

Comunque, l’art. 14 della Tariffa, laddove assoggetta ad imposta sulle assicurazioni con l’aliquota del 2,5% le “assicurazioni contro i rischi di impiego … connessi alla cessione del quinto dello stipendio”, non può che essere volto a rendere applicabile tale aliquota alle polizze CQS per il fatto che tali polizze sono quelle di cui l’art. 54 del D.P.R. n. 180/1950 prevede come obbligatoria la stipula per i finanziamenti garantiti dalla cessione del quinto dello stipendio. Ed infatti tale disposizione non solo stabilisce che i predetti finanziamenti “… devono avere la garanzia dell’assicurazione … contro i rischi di impiego” e non quella contro i rischi di “solvibilità dei debitori”, ma, laddove ammette il ricorso, in alternativa, anche ad “altre malleverie che … assicurino il ricupero” del credito residuo agli intermediari finanziatori “nei casi in cui per cessazione o riduzione di stipendio o salario … non sia possibile la continuazione dell’ammortamento o il [suo] ricupero”, lascia chiaramente intendere altresì che le assicurazioni contro i rischi di impiego e le altre malleverie così individuate devono garantire agli intermediari finanziatori il recupero del credito residuo per la perdita dello stipendio da parte dei lavoratori finanziati da qualsiasi causa derivante nel caso in cui il recupero di tale credito “non sia possibile” perché i lavoratori finanziati non subentrino nel rimborso del finanziamento.

Ebbene, le polizze CQS presentano tutte le caratteristiche così individuate in quanto prevedono come beneficiari gli intermediari finanziatori anche nel caso in cui i premi siano versati dai lavoratori finanziati e riconoscono il diritto all’indennizzo per la perdita dell’impiego da qualsiasi causa derivante ovverosia non solo per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ma anche per il licenziamento per giusta causa o per dimissioni volontarie e subordinano di regola il riconoscimento di tale diritto alla condizione che i lavoratori finanziati si rifiutino di subentrare nel rimborso del finanziamento, non aderendo ad un piano di rientro. Del resto, se così non fosse, si dovrebbe concludere che gli intermediari finanziatori che abbiano fatto ricorso a tali polizze si sarebbero resi inadempienti all’obbligo sancito dall’art. 54 del D.P.R. n. 180/1950 , ancorché tale inadempimento non sia mai stato ravvisato dalle stesse Autorità di vigilanza.

In senso contrario a quanto finora rilevato non vale osservare che le polizze CQS, proprio perché stipulate a tutela dell’interesse degli intermediari finanziatori non sarebbero riconducibili fra le assicurazioni soggette ad imposta sulle assicurazioni con l’aliquota del 2,5% di cui all’art. 14 della Tariffa in quanto la predetta minore aliquota, avrebbe finalità agevolativa e potrebbe trovare applicazione soltanto per le polizze CQS stipulate a tutela dell’interesse dei lavoratori finanziati.

Tale disposizione è infatti assolutamente inequivoca nell’assoggettare a tale minore aliquota le assicurazioni connesse alla cessione del quinto dello stipendio per il solo fatto che siano poste a copertura dei “rischi di impiego” e, quindi, indipendentemente dall’identità tanto del soggetto che le abbia stipulate, quanto del soggetto nel cui interesse siano stipulate, poiché non ne fa alcuna menzione.

Del resto, la Tariffa prevede l’applicazione di aliquote differenziate in funzione della natura oggettiva del rischio assicurato in sé considerato, prescindendo dall’identità del soggetto nel cui interesse sia conclusa l’assicurazione proprio per il fatto che è la copertura di tale rischio la manifestazione di capacità contributiva che l’imposta sulle assicurazioni è volta a colpire. È significativo rilevare a questo riguardo che lo stesso Ministero delle Finanze ha dato per acquisito, nella nota 3 dicembre 1983, n. 301716 che, se la Tariffa assoggetta ad una determinata aliquota l’assicurazione di un rischio, tale aliquota deve essere applicata indipendentemente dall’identità di chi abbia concluso tale assicurazione. Ed infatti nella predetta nota il Ministero delle Finanze ha precisato che l’aliquota del 12,5% prevista dalla lett. A) dell’art. 3 della Tariffa per le assicurazioni contro i rischi dei trasporti terrestri è applicabile non solo nel caso in cui la polizza sia stipulata dal proprietario dei beni trasportati, ma anche dal vettore posto che “ in mancanza di una espressa limitazione”, tale aliquota “non può che intendersi riferita a qualsiasi rischio derivante dai trasporti terrestri e quindi sia alle assicurazioni che garantiscono direttamente le cose trasportate, sia quelle che garantiscono il rischio di r.c. del vettore per danni causati alla merce trasportata”, e “gli altri rischi inerenti al veicolo … o i danni causati dalla loro circolazione comprendono anche le assicurazioni del ritiro della patente a seguito di investimento”.

Ma v’è di più. L’art. 14 della Tariffa non può che risultare applicabile alle polizze stipulate nell’interesse degli intermediari finanziatori per il semplice fatto che le assicurazioni connesse alla cessione del quinto dello stipendio devono sempre essere stipulate a tutela del loro interesse per espresso ed inequivoco disposto dell’art. 54 del D.P.R. n. 180/1950 . Ed infatti, come si è visto, tale disposizione pone a carico degli intermediari finanziatori, al fine di preservarne la stabilità finanziaria, l’obbligo di garantire i finanziamenti da loro concessi dietro cessione del quinto dello stipendio mediante la stipula di assicurazioni a tutela del loro interesse, laddove statuisce che tali assicurazioni devono essere volte a garantire agli intermediari medesimi il “ricupero” del credito e cioè il recupero del credito non ancora rimborsato. Pertanto, l’eventualità che, per adempiere all’obbligo previsto dall’art. 54 del D.P.R. n. 180/1950, possano essere stipulate a garanzia dei predetti finanziamenti polizze che tutelino l’interesse dei lavoratori finanziati, non risulta configurabile. Tant’è vero che, come si è visto, è orientamento della Cassazione civile che “l’assicurazione obbligatoriamente prevista dall’art. 54 del D.P.R. n. 180/1950 è volta a garantire il mutuante, nel caso in cui per qualsiasi ragione venga a mancare la disponibilità dello stipendio del mutuatario”, anche nel caso in cui il premio sia posto a carico dell’assicurato.

Peraltro, la stessa Agenzia delle entrate, nella circolare emessa a commento del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, ha chiaramente riconosciuto che “le assicurazioni del rischio di impiego connesse alla cessione del quinto dello stipendio” devono essere assoggettate ad imposta sulle assicurazioni con l’aliquota del 2,5% ai sensi dell’art. 14 della Tariffa, sebbene siano stipulate a tutela dell’interesse degli intermediari finanziatori[7]. Ed infatti, nel par. 3 della predetta circolare l’Agenzia, dopo aver premesso che per quanto riguarda tali assicurazioni “- originariamente definite dalla dottrina come polizze contenenti sia un’assicurazione sulla vita del debitore (con beneficiario il creditore) sia un’assicurazione a garanzia del rischio della perdita dell’impiego dell’assicurato per licenziamento o abbandono del posto, o della riduzione dello stipendio che incida sulla quota ceduta al beneficiario” – ha precisato “che, ferma restando la funzione di tutela della posizione del creditore” con la sostituzione disposta dal comma 3 dell’art. 13 del D.Lgs. n. 47/2000 dell’art. 14 della Tariffa, “viene, da un lato, confermata, anche se indirettamente, l’esenzione per la quota di premio relativa all’assicurazione sulla vita del debitore e, dall’altro, precisato che per la quota relativa alle garanzie di altra natura insite nel contratto (ad esempio ai rischi di perdita di impiego) viene mantenuto l’assoggettamento ad imposta nella misura del 2,5 per cento, così come previsto in origine dall’art. 5, 14 comma, del D.L.” n. 953/1982.

Comunque, la ratio dell’art. 14 della Tariffa, che coincide con la ratio del D.P.R. n. 180/1950 , e cioè agevolare l’accesso al credito anche ai lavoratori dipendenti che non dispongano di garanzie reali o personali tramite il ricorso a finanziamenti garantiti con la cessione del quinto dello stipendio, sarebbe chiaramente disattesa se fossero soggette all’aliquota del 12,50% tutte le polizze CQS stipulate nell’interesse degli intermediari finanziatori. Ed infatti, in tal caso, i lavoratori dipendenti sarebbero disincentivati a stipulare tali finanziamenti, posto che gli intermediari ribalterebbero a loro carico il maggior costo relativo all’imposta sulle assicurazioni. La Cassazione ha infatti rilevato che, nel caso di finanziamenti con cessione del quinto dello stipendio, “solo formalmente il premio assicurativo viene a gravare sulla società” finanziatrice “che, in realtà, fornisce solo una mera ‘anticipazione finanziaria’ per il pagamento del premio, che ricade in realtà proprio sul lavoratore”, considerato che “la somma che il lavoratore dipendente deve restituire alla società finanziatrice include al proprio interno anche il costo del premio assicurativo”[8]. Infine, la collocazione delle polizze CQS nella classificazione dei rami assicurativi fornita dall’art. 2 del Codice delle Assicurazioni Private (“CAP”) non assume alcuna rilevanza agli effetti della loro collocazione nell’elenco delle specie di assicurazioni contento nella Tariffa[9].

È bensì vero che l’ISVAP, nell’art. 14 del Reg. 29 del 16 marzo 2009, ha stabilito che le polizze stipulate “da un ente finanziatore … in qualità di contraente/assicurato per garantirsi dal rischio di mancato adempimento dell’obbligazione di pagamento da parte del … debitore finanziato” e, quindi, a tutela del suo interesse sono classificabili nel ramo 14 “Credito – Perdite patrimoniali derivanti da insolvenze” e non nel ramo 16 relativo alle “Perdite pecuniarie di vario genere: rischi relativi all’occupazione; insufficienza di entrate (generale); intemperie; perdite di utili; persistenza di spese generali; spese commerciali impreviste; perdita di valore venale; perdita di fitti o di redditi”.

Tuttavia l’elenco delle specie di assicurazioni contenuto nella Tariffa non presenta alcun collegamento con la classificazione dei rami assicurativi fornita dall’art. 2 del CAP non solo perché il primo, risalendo al 1961, è di anni antecedente alla classificazione dei rami, ma anche e soprattutto perché non reca alcun rinvio a tale classificazione, né diretto, mediante il richiamo delle relative previsioni, né indiretto, mediante l’utilizzo di locuzioni omologhe. Inoltre, la ratio dell’elenco delle specie di assicurazioni è ben diversa da quella della classificazione dei rami in quanto è volta a differenziare le aliquote in funzione della capacità contributiva manifestata dalla copertura dei singoli rischi e non invece i requisiti autorizzativi e di vigilanza in funzione del livello del rischio, come ad esempio per quanto attiene al ramo 13, relativo al “Credito” che, proprio a differenza del ramo 16 “Perdite patrimoniali”, può essere esercitato solo dietro il rilascio di un’autorizzazione specifica.

La disciplina civilistica delle polizze CPI

Le polizze CPI sono la tipologia di polizze che sono collocate dalle imprese di assicurazioni sul mercato in relazione a finanziamenti personali non garantiti concessi ai lavoratori dipendenti a copertura del rischio di impiego e cioè del rischio che i lavoratori finanziati, avendo perso l’impiego, non dispongano delle somme necessarie per rimborsare il debito da loro contratto.

La stipula di tali polizze è meramente facoltativa. Tuttavia l’intermediario finanziatore può subordinare a tale stipula la concessione del finanziamento, ma in tal caso ha l’obbligo di accettare le polizze reperite dai clienti sul mercato che prevedano le medesime condizioni.

Le polizze CPI sono di regola stipulate dai lavoratori dipendenti, facendosi carico del relativo premio, in alternativa, direttamente con l’impresa di assicurazione tramite la stipula di una polizza individuale, in qualità di contraenti ed assicurati, ovvero indirettamente tramite l’adesione alle polizze collettive precedentemente stipulate dagli intermediari finanziatori ai sensi dell’art. 1891 c.c. per conto altrui o per conto di chi spetta, in qualità di aderenti ed assicurati.

Tali polizze possono designare gli intermediari finanziatori come beneficiari o come vincolatari dell’indennizzo per loro maggiore garanzia. Tuttavia, in una siffatta eventualità, gli intermediari devono imputare l’indennizzo a rimborso del loro credito residuo relativo al finanziamento. Di conseguenza, nel caso in cui vi sia un’eccedenza, devono rimborsarla ai lavoratori finanziati.

Le polizze CPI sono poste a tutela dell’interesse dei lavoratori finanziati a disporre delle somme necessarie per il rimborso del debito residuo e, quindi, non possono accordare all’impresa di assicurazione il diritto a surrogarsi nel credito degli intermediari finanziatori in quanto tale interesse sarebbe altrimenti pregiudicato.

Tali polizze prevedono il pagamento dell’indennizzo esclusivamente se i lavoratori finanziati perdano l’impiego “per giustificato motivo oggettivo” e cioè per ragioni indipendenti dalla loro condotta proprio perché poste a loro tutela.

Le polizze CPI sono volte a coprire il rischio di impiego

Ritengo che anche le polizze CPI siano soggette ad imposta sulle assicurazioni con l’aliquota del 2,5% in quanto non sono volte a coprire il rischio di “solvibilità dei debitori”, bensì i “rischi di impiego”, prevedendo il pagamento dell’indennizzo per il solo fatto che i lavoratori finanziati abbiano subìto la perdita dell’impiego per giustificato motivo oggettivo e quindi per ragioni indipendenti dalla loro condotta. Pertanto, per il pagamento dell’indennizzo, costituisce condizione necessaria, ma al tempo stesso sufficiente, che il lavoratore dipendente abbia subìto l’involontaria perdita dell’impiego e, quindi, non si richiede non solo che egli risulti insolvente, ma neppure che si rifiuti di aderire ad un piano di rientro[10].

Ma v’è di più. Le polizze CPI non sono volte ad assicurare il rischio di insolvenza per il fatto che i lavoratori finanziati possono mantenerle in vita anche quando tale rischio non possa più verificarsi poiché il finanziamento sia stato già rimborsato. Ed infatti, tali polizze accordano di regola ai lavoratori finanziati, nel caso in cui il finanziamento sia rimborsato, la facoltà, ma non l’obbligo, di recedere dalle polizze e quindi costoro, nel caso in cui non abbiano esercitato tale facoltà, continuano ad avere diritto, quali beneficiari, a percepire direttamente tale indennizzo allorché siano licenziati per giustificato motivo oggettivo.

Né può obiettarsi che le polizze CPI di tipo collettivo dovrebbero ritenersi stipulate a tutela dell’interesse degli intermediari finanziatori nel caso in cui costoro assumano contemporaneamente la qualità di contraenti e di beneficiari o vincolatari dell’indennizzo[11] in quanto in tal caso conseguirebbero tutti i vantaggi della polizza. Con la conseguenza che il rischio coperto non sarebbe più quello di impiego, bensì di insolvenza dei lavoratori finanziati.

È agevole infatti rilevare che tali intermediari, pur assumendo la qualità di contraenti da un punto di vista formale non lo sono da un punto di vista sostanziale in quanto le polizze collettive, secondo quanto emerge dalle relative condizioni contrattuali, sono da loro stipulate ai sensi dell’art. 1891 c.c. per conto altrui o per conto di chi spetta ovverosia dei lavoratori dipendenti che sottoscriveranno i finanziamenti. Pertanto sono esclusivamente costoro ad essere, oltre che assicurati, anche parti sostanziali delle polizze CPI mediante la loro adesione individuale alle polizze collettive.

A questa conclusione è pervenuta anche la Direzione Centrale Gestione Tributi dell’Agenzia delle entrate nella nota del 13 novembre 2017. Ed infatti, essendole stato chiesto di sapere quali siano i soggetti di cui devono essere comunicati i dati identificativi ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, nel caso di polizze collettive concluse dagli intermediari finanziatori per conto dei soggetti finanziati aderenti, ha precisato che devono essere comunicati i dati identificativi di questi ultimi proprio sulla base della considerazione che “ in tali polizze il mutuatario, soggetto assicurato, anche se non appare essere il soggetto contraente, ai fini in esame può essere a questi equiparato in quanto è colui che sottoscrive la polizza e sostiene l’onere economico del premio, mentre la banca erogante il mutuo è il soggetto contraente che stipula la polizza in nome e per conto del sottoscrittore”.

D’altro canto, gli intermediari finanziatori, quand’anche nelle polizze CPI siano designati come beneficiari o come vincolatari dell’indennizzo, non ne sono anche i beneficiari economici in quanto tale designazione ha soltanto funzione di garanzia e cioè è volta a garantire che tali indennizzi non siano destinati ad altro utilizzo posto che, essendo il pagamento dei premi eseguito dai lavoratori finanziati a tutela del loro interesse, gli indennizzi non possono che essere di loro esclusiva spettanza. Pertanto gli intermediari medesimi devono imputare tali indennizzi a compensazione dell’importo dei finanziamenti ancora non rimborsati, nonché, per l’eccedenza, restituirli ai lavoratori finanziati.

Peraltro, la funzione di garanzia della designazione come beneficiari o come vincolatari degli intermediari finanziatori comporta che tali polizze, anche quando siano stipulate da costoro nella duplice qualità di contraenti in senso formale e di beneficiari o vincolatari, continuano a tutelare l’interesse dei lavoratori dipendenti. Tant’è vero che non è giammai accordato alle imprese di assicurazioni il diritto di surrogarsi nei crediti relativi a tali finanziamenti proprio per il fatto che tale surroga sarebbe incompatibile con la tutela dell’interesse dei lavoratori finanziati.

Comunque, ammesso e non concesso che le polizze CPI fossero stipulate a tutela dell’interesse degli intermediari finanziatori, tale circostanza non potrebbe in alcun modo renderle riconducibili fra quelle concluse per la copertura dei rischi “solvibilità dei debitori” per il semplice fatto che, come si è visto, sia l’art. 14 della Tariffa, che l’art. 5 del D.L. n. 953/1982 sono assolutamente inequivoci nell’assoggettare ad imposta con l’aliquota del 2,5% le assicurazioni per il solo fatto che siano stipulate a copertura dei rischi di impiego e, quindi, indipendentemente dall’identità tanto del soggetto che le abbia stipulate, quanto di quello nel cui interesse siano stipulate.

Infine, la collocazione delle polizze CPI nella classificazione dei rami assicurativi fornita dall’art. 2 del CAP non assume alcuna rilevanza agli effetti della loro collocazione nell’elenco delle specie di assicurazioni contenuto nella Tariffa per le ragioni che si sono già esposte e, comunque, ove assumesse rilevanza, deporrebbe chiaramente a favore della riconducibilità delle polizze CPI fra le assicurazioni contro i rischi di impiego per il semplice fatto che tali polizze sono sempre pacificamente classificabili fra le polizze del ramo 16 relativo a “Perdite pecuniarie di vario genere: rischi relativi all’occupazione”.

Non si può che concludere a questo punto con l’auspicio che l’Agenzia delle entrate rimediti le sue posizioni anche per le considerazioni sopra svolte.

Note:

(1) Ania, circolare 5 marzo 2021, n. 0087; S. Cameli – P. Maspes, “Imposta sulle assicurazioni e polizze a copertura della perdita d’impiego: il rischio di fraintendere il rischio”, in il Fisco, n. 34/2021, pag. 3241; G. Scifoni, “Imposta sui premi e rischio di un caso prestiti”, in Corr. Trib., n. 7/2022, pag. 675.

(2) Convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 febbraio 1983, n. 53.

(3) Così Cass. civ. 20 agosto 2020, n. 17466.

(4) Così Cass. civ. 28 marzo 2022, n. 9866.

(5) Contra Corte di Giustizia Tributaria di Milano 7 novembre 2022, n. 3037 e Comm. trib. prov. di Milano 5 febbraio 2022, n. 343.

(6) Cass. 12 agosto 2021, n. 22763; in senso conforme Cass. 31 ottobre 2022, n. 32129.

(7) Circolare 20 marzo 2001, n. 29/E.

(8) Sempre Cass. 12 agosto 2021, n. 22763.

(9) Così circolare Ania cit.

(10) In questo senso Corte di Giustizia Tributaria di Milano 7 novembre 2022, n. 3037 e Comm. trib. prov. Milano 1° settembre 2022, n. 2396.

(11) Tale eventualità è peraltro venuta meno in quanto l’ISVAP con il Provvedimento 6 dicembre 2011, n. 2946 ha vietato agli intermediari finanziatori di concludere polizze collettive aperte all’adesione dei finanziati dietro pagamento di commissioni di intermediazione, assumendo contemporaneamente la qualifica di beneficiari o vincolatari delle predette polizze.

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