La difesa dei cessionari di bonus fiscali edilizi da azioni di recupero e sequestro

La difesa dei cessionari di bonus fiscali edilizi da azioni di recupero e sequestro

Corr. Trib. 7/2024, p. 645 e ss.

Il recupero a carico dei cessionari di buona fede dei crediti d’imposta relativi ai bonus fiscali edilizi utilizzati in compensazione, come pure il loro sequestro penale, non può ritenersi legittimo, anche se tali crediti derivino dall’utilizzo di detrazioni non spettanti, in quanto la legge non solo ha reso indipendente la spettanza dei crediti d’imposta dalla spettanza delle detrazioni d’imposta, ma ha anche stabilito che possano essere recuperate a carico dei cessionari soltanto le predette detrazioni d’imposta a titolo di concorso ed in via solidale con il beneficiario.

Le agevolazioni fiscali per gli interventi di efficientamento energetico i c.d. bonus fiscali edilizi si sono rivelate il volano non solo per un ingente afflusso di risorse pubbliche al finanziamento di interventi inidonei a ripagare la relativa spesa[1], ma anche per la realizzazione di una pluralità di frodi fiscali di entità molto rilevante.

Tali frodi sono state sicuramente agevolate dalla previsione di meccanismi di controllo inadeguati, ma anche dell’introduzione in via sperimentale della facoltà di utilizzare le detrazioni d’imposta per la concessione di sconti in fattura ovvero di crediti d’imposta cedibili e compensabili con ogni entrata patrimoniale.

Senonché, stante la volontà del Governo di recuperare le somme frodate, l’interrogativo che ora si pone è chi potrà essere chiamato a rispondere per l’utilizzo di detrazioni d’imposta non spettanti per la concessione dello sconto in fattura ovvero la cessione di crediti d’imposta.

La legge, ad avviso di chi scrive, è formulata nel senso di prevedere il recupero di tali detrazioni d’imposta esclusivamente in via principale a carico dei beneficiari, nonché in via solidale a carico dei cessionari che abbiano concorso nelle predette violazioni, facendo salva l’utilizzabilità in compensazione da parte dei cessionari di buona fede dei crediti d’imposta derivanti dal loro utilizzo.

L’Autorità giudiziaria, poiché il recupero delle somme frodate a carico di chi ha commesso le frodi si è rivelato fin da subito alquanto problematico, ha disposto il sequestro preventivo dei crediti d’imposta derivanti dall’utilizzo di tali detrazioni a carico di tutti i successivi cessionari, anche se estranei a tali frodi, così da precluderne l’utilizzo in compensazione.

La legittimità dei sequestri di tali crediti d’imposta disposti dall’Autorità giudiziaria è stata finora confermata con una pluralità di sentenze dalla Cassazione penale che ha reputato del tutto irrilevanti a questo fine le disposizioni che disciplinano la responsabilità dei cessionari.

Anche l’Agenzia delle entrate (“AdE”), dopo aver sancito il principio secondo cui non può essere contestato l’utilizzo in compensazione da parte dei cessionari di buona fede di crediti d’imposta derivanti da detrazioni d’imposta non spettanti, ha successivamente posto in discussione tale principio, ipotizzando che tale utilizzo potrebbe risultare precluso.

Occorre a questo punto cercare di capire come i cessionari di buona fede di crediti d’imposta relativi ai bonus fiscali edilizi possano difendersi dai provvedimenti di recupero o di sequestro di cui a questo punto sono o saranno destinatari. Pertanto, nella trattazione che segue, cercherò di individuare le ragioni per cui tali provvedimenti potranno essere contestati davanti ai competenti organi giurisdizionali.

L’attribuzione ex lege del credito a fornitori e cessionari per l’esercizio dell’opzione per il contributo o la cessione

Innanzitutto il recupero a carico dei cessionari di buona fede dei crediti d’imposta utilizzati in compensazione non può ritenersi legittimo, anche se tali crediti derivino dall’utilizzo di detrazioni non spettanti in quanto l’art. 121 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34 [2], non configurando l’attribuzione di tali crediti come una vicenda traslativa, bensì estintivo-costitutiva, esclude un loro subentro nella posizione dei cedenti. Tale disposizione è infatti formulata nel senso di ricollegare all’esercizio da parte dei beneficiari dell’opzione per un contributo ovvero un credito d’imposta l’estinzione ex lege della detrazione d’imposta e l’attribuzione ex lege di un credito d’imposta al cessionario o al fornitore, come emerge pure dalla sua stessa rubrica che recita “opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali”.

In particolare, la lett. a) dell’art. 121 prevede che il beneficiario della detrazione d’imposta, esercitando l’opzione per un contributo da parte del fornitore sotto forma di sconto sul corrispettivo, non trasferisce a suo favore tale detrazione d’imposta, ma fruendo dello sconto, realizza il presupposto per l’attribuzione ex lege a favore del fornitore di un credito d’imposta di importo pari alla detrazione d’imposta. D’altro canto, la lett. b) prevede che il beneficiario della detrazione d’imposta, esercitando l’opzione per la cessione, non trasferisce tale detrazione al cessionario, ma realizza il presupposto per l’attribuzione ex lege a suo favore di un credito d’imposta non rimborsabile.

Del resto, non v’è dubbio che il credito d’imposta attribuito ex lege al cessionario o al fornitore è un diritto nuovo e diverso rispetto alla detrazione d’imposta attribuita al beneficiario. Ed infatti, le detrazioni d’imposta sono utilizzabili a compensazione esclusivamente dell’IRES o dell’IRPEF dovute fino a concorrenza del relativo importo e, quindi, costituiscono soltanto in un mero elemento di determinazione di tali imposte giammai cedibile a terzi.

Per contro, i crediti d’imposta, oltre ad essere cedibili, sono utilizzabili a compensazione non solo dell’IRPEF o dell’IRES, ma anche di ogni altro tributo, contributo ed entrata pubblica senza limiti di importo. Pertanto, il beneficiario, essendo titolare soltanto di una mera detrazione d’imposta, non può trasferire al cessionario un credito d’imposta per il fondamentale principio secondo cui nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet.

Inoltre, è soltanto la comunicazione all’AdE da parte del beneficiario dell’esercizio dell’opzione per lo sconto o la cessione, proprio per il fatto di essere titolare di una detrazione d’imposta, nonché, da parte del fornitore o del cessionario, della relativa accettazione che comporta l’attribuzione ex lege a loro favore del credito d’imposta e non lo scambio dei consensi fra le parti. Ed infatti non solo il par. 4.1. del provvedimento del Direttore dell’AdE specifica che l’esercizio dell’opzione per lo sconto o la cessione deve essere “comunicato all’Agenzia delle entrate utilizzando il Modello … denominato ‘Comunicazione dell’opzione’ … esclusivamente in via telematica”, ma il successivo par. 4.9. statuisce anche che il “mancato invio della comunicazione nei termini e con le modalità previsti dal presente provvedimento rende l’opzione inefficace nei confronti dell’Agenzia delle entrate”. Di conseguenza, il contratto con cui il beneficiario della detrazione d’imposta abbia convenuto con il fornitore o il primo cessionario lo sconto in fattura o la cessione, in difetto dell’esercizio dell’opzione, non può che risultare improduttivo di effetti reali per il fatto che, non risultando efficace nei confronti dell’AdE, rimane inefficace anche fra le parti, non essendo le detrazioni d’imposta giammai trasferibili, stante la loro natura giuridica di sconto sulle imposte.

Per contro, è configurata come un’ordinaria vicenda traslativa la successiva cessione del credito d’imposta posta in essere dal fornitore o dal primo cessionario ad altri successivi cessionari. Ed infatti, in tal caso, le lett. a) e b) dell’art. 121 accordano al fornitore o al primo cessionario la facoltà di cedere il credito d’imposta loro attribuito ex lege per effetto dell’esercizio da parte del beneficiario dell’opzione per lo sconto e per la cessione con le limitazioni pro tempore vigenti.

Tuttavia, tale successiva cessione, avendo ad oggetto il predetto credito d’imposta e non la detrazione d’imposta, comporta il subentro a titolo derivativo del successivo cessionario nella posizione soggettiva del fornitore o del primo cessionario. Pertanto, tale successivo cessionario, avendo acquistato il credito a titolo derivativo, non può essere chiamato a rispondere per la non spettanza della detrazione d’imposta al beneficiario laddove non sia chiamato a risponderne il fornitore o il primo cessionario.

La responsabilità dei fornitori e dei cessionari a titolo di concorso e in via solidale con i beneficiari

Inoltre, il recupero a carico dei cessionari di buona fede dei crediti d’imposta utilizzati in compensazione non può ritenersi legittimo in quanto, coerentemente con la configurazione dell’esercizio dell’opzione per lo sconto o per la cessione come una vicenda estintivo-costitutiva l’art. 121 del D.L. n. 34/2020, ha escluso che la non spettanza della detrazione d’imposta a favore del cedente possa di per sé comportare una responsabilità del cessionario.

Ed infatti, il comma 5 di tale articolo, “qualora sia accertata la mancata integrazione, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta”, considera recuperabile esclusivamente “l’importo corrispondente” a tale detrazione a carico dei beneficiari e non il credito d’imposta a carico dei cessionari o fornitori. Inoltre, il precedente comma 4, prevede che i fornitori e i cessionari “rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta” e non anche quindi per la non spettanza della detrazione d’imposta a favore dei beneficiari. Pertanto l’AdE fin dalla circolare n. 24/E/2020 ha precisato che, “se un soggetto acquisisce un credito d’imposta, ma durante i controlli dell’ENEA o dell’Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d’imposta”.

Infine, il comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020, non solo ha accordato all’AdE il diritto di recuperare a carico del fornitore e del cessionario soltanto il controvalore della detrazione d’imposta non spettante e non anche il credito d’imposta loro riconosciuto, ma ha subordinato tale diritto alla condizione che costoro abbiano concorso nella violazione tributaria commessa dal beneficiario. Ed infatti, tale disposizione mantiene ferma “in presenza di concorso nella violazione, oltre all’applicazione dell’art. 9, comma 1 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472” e cioè della disposizione che disciplina il concorso delle persone fisiche nelle violazioni amministrative tributarie esclusivamente “la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo di cui al comma 5 e dei relativi interessi”. Pertanto, il fornitore ed il cessionario possono essere chiamati a rispondere in via solidale per l’indebito utilizzo della detrazione d’imposta da parte del beneficiario nel caso in cui abbiano concorso ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997 nella violazione medesima in quanto abbiano fornito un contributo causale per colpa o dolo alla sua commissione.

Tanto l’art. 33-ter del D.L. 9 agosto 2022, n. 115, c.d. Decreto Aiuti bis, quanto l’art. 1 del D.L. 16 febbraio 2023, n. 11[3], depongono chiaramente a favore della ricostruzione appena delineata. La prima disposizione ha infatti subordinato la configurabilità del concorso del fornitore o del cessionario nella violazione tributaria commessa dal beneficiario di cui al comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020 alla sussistenza della colpa grave, invece che di quella lieve, per i “crediti per i quali siano stati acquisiti, nel rispetto delle previsioni di legge, i visti di conformità, le asseverazioni e le attestazioni di cui all’art. 119 e di cui all’art. 121, comma 1-ter, del … Decreto-Legge n. 34”, nonché “per i crediti … sorti prima dell’ introduzione degli obblighi di acquisizione” di tale documentazione, nel caso in cui tale documentazione siano acquisiti “ora per allora”. Inoltre, la seconda delle predette disposizioni con l’introduzione nel medesimo art. 121 del nuovo comma 6-bis e seguenti, ha subordinato alla sussistenza del solo dolo la configurabilità del predetto concorso, nel caso in cui siano acquisiti i numerosi documenti ivi elencati. Pertanto la previsione di specifiche cause di esonero da responsabilità solo per il concorso nella violazione di utilizzo di detrazioni non spettanti commessa dal beneficiario, non può che costituire implicita conferma del fatto che il cessionario può essere chiamato a rispondere solo di tale violazione.

Del resto, il legislatore nell’ipotesi in cui avesse inteso ammettere il recupero dei crediti d’imposta derivanti dall’utilizzo di detrazioni non spettanti non solo lo avrebbe previsto espressamente, ma non avrebbe legittimato l’AdE anche ad eseguire il recupero di tali detrazioni a carico dei beneficiari in quanto altrimenti avrebbe duplicato tale recupero. Ed infatti in una siffatta ipotesi l’AdE avrebbe potuto recuperare, una prima volta, la detrazione d’imposta a carico dei beneficiari, nonché del cessionario, a titolo di concorso, e poi, una seconda volta, a carico del cessionario, tramite il recupero dei crediti d’imposta utilizzati in compensazione derivanti dalla predetta detrazione d’imposta.

La nuova tesi dell’AdE della recuperabilità dei crediti d’imposta a carico dei cessionari e la sua infondatezza

Imprevedibilmente, l’AdE nella circolare n. 23/E/2022, pur avendo nuovamente confermato che, “in presenza di concorso nella violazione, oltre all’applicazione dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, resta ferma anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante e dei relativi interessi”, ha sostenuto che “la valutazione circa la sussistenza o meno del profilo della diligenza” sulla base dei “profili oggettivi e soggettivi dell’operazione di compravendita sintomatici della falsità del credito”, nonché dei “profili correlati alla normativa antiriciclaggio” rileverebbe come tale “ in punto di configurabilità del concorso nella violazione”. Inoltre, l’omessa adozione da parte dei cessionari o fornitori della “necessaria diligenza all’atto dell’acquisto del credito con speciale riguardo inter alia a quelli oggetto di sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria …” precluderebbe “ in ogni caso la possibilità di compensare i crediti acquisiti”, ma anche che “ in caso di utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti, interessati dal provvedimento di dissequestro, gli organi di controllo procederanno parimenti alla contestazione delle violazioni e alle conseguenti comunicazioni all’Autorità giudiziaria per le indebite compensazioni effettuate”.

Senonché il preteso difetto di diligenza del cessionario all’atto di acquisto del credito d’imposta non può di per sé fondare il concorso nella violazione tributaria di utilizzo di una detrazione non spettante. Ed infatti, per la configurabilità del concorso di persone in una violazione tributaria, è necessario, oltre al dolo o alla colpa, anche la prestazione di un contributo causale di tipo psichico o materiale alla commissione di tale violazione in quanto l’agente abbia determinato o rafforzato il proposito illecito altrui ovvero abbia commesso o agevolato la condotta illecita.

Un siffatto contributo causale in entrambe le sue forme è da escludere laddove la violazione tributaria di utilizzo di detrazione non spettante si sia già perfezionata prima che il cessionario sia entrato in contatto con il cedente per l’acquisto del credito in quanto, in tal caso, ogni condotta successiva risulta come un postfatto irrilevante. L’AdE è sembrata originariamente ritenere perfezionata la violazione di utilizzo di detrazioni non spettanti per il mero esercizio di tale opzione ai sensi del comma 5 dell’art. 121. Ed infatti nella circolare n. 24/E/2020 ha precisato che, “qualora sia accertata la mancata integrazione, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta” essa “provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante nei confronti del soggetto che ha esercitato l’opzione …”. In tal caso l’accettazione della cessione da parte del fornitore o del cessionario non dovrebbe comportare la prestazione di un contributo causale alla commissione della violazione di utilizzo della detrazione non spettante ogniqualvolta sia stata prestata dopo l’esercizio dell’opzione da parte del beneficiario.

Tuttavia, anche nel caso in cui si ritenga perfezionata la violazione di utilizzo di detrazione non spettante soltanto con l’accettazione da parte del fornitore o del primo cessionario, la prestazione di un contributo causale alla commissione di una siffatta violazione da parte del successivo cessionario sarebbe da escludere nel caso in cui sia entrato in contatto con il fornitore od il primo cessionario soltanto dopo che abbiano prestato tale accettazione. In tal caso, l’intervento di tale cessionario sarebbe infatti successivo al perfezionamento della predetta violazione e pertanto non assumerebbe alcuna rilevanza.

Comunque, il comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020 considera il concorso del cessionario nella violazione tributaria di utilizzo di detrazione non spettante commessa dal beneficiario come presupposto non per il recupero dei crediti d’imposta utilizzati in compensazione, bensì soltanto per la responsabilità solidale dei cessionari per la predetta detrazione d’imposta. Pertanto, l’AdE, quand’anche i cessionari o fornitori abbiano concorso nella predetta violazione tributaria, avendo fornito un contributo causale alla sua commissione con colpa grave o dolo, è legittimata a recuperare a loro carico il controvalore della detrazione d’imposta e non dei crediti d’imposta utilizzati in compensazione.

Il revirement dell’AdE sulla recuperabilità dei crediti a carico del cessionario

Da ultimo, l’AdE nella risposta ad istanza di interpello del 28 settembre 2023, n. 440, sembra aver confermato che, nel caso di utilizzo da parte del beneficiario di una detrazione non spettante, è ammesso esclusivamente il recupero di tale detrazione d’imposta a suo carico ovvero, in caso di concorso, a carico del cessionario. Nella predetta risposta è infatti precisato che “l’assenza dei requisiti previsti dalle discipline agevolative, istitutive dei benefici fiscali in parola, determina il recupero dell’ammontare della detrazione indebitamente fruita anche sotto forma di sconto in fattura o attraverso la cessione del credito maggiorato di interessi e sanzioni, sempre in capo al soggetto beneficiario, titolare dell’agevolazione” e che “risponde di tale violazione anche il cessionario solo nell’ipotesi di concorso con dolo e colpa grave”. Pertanto, il recupero non potrebbe avere ad oggetto anche il credito d’imposta derivante dalla detrazione non spettante utilizzato in compensazione dal cessionario per il fatto che altrimenti il recupero sarebbe duplicato. Ed infatti, si legge ancora nella predetta risposta “in assenza di concorso nella violazione spetta esclusivamente al cedente, beneficiario dell’agevolazione fiscale, riversare, mediante Modello F24, il credito in tutto o in parte indebitamente utilizzato in compensazione dal cessionario, oltre agli interessi a decorrere dalla data dell’avvenuta compensazione e alla sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, anche in misura ridotta in applicazione dell’istituto del ravvedimento operoso”.

Senonché l’AdE ha poi sorprendentemente sostenuto che, “ove … l’utilizzo della detrazione avvenga mediante esercizio dell’opzione di cessione a terzi del corrispondente credito, la violazione si configura solo nel momento in cui il credito ceduto è indebitamente utilizzato in compensazione da parte del cessionario, e cioè quando si concretizza il danno erariale”.

L’interpretazione per la prima volta così espressa della configurabilità dell’utilizzo in compensazione del credito d’imposta da parte del cessionario come condizione per il perfezionamento della violazione di utilizzo di detrazione d’imposta non spettante al presumibile fine di rendere configurabile il concorso dei successivi cessionari imputabili per colpa è, ad avviso di chi scrive, infondata. Tale interpretazione si scontra con il principio di stretta legalità sancito dall’art. 3 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, non trovando alcun fondamento nel dettato letterale del comma 5 dell’art. 121. Ed infatti quest’ultima disposizione non solo non fa alcuna parola del predetto utilizzo in compensazione, ma legittima espressamente l’AdE a procedere al recupero per il semplice fatto che sia esercitata l’opzione per l’utilizzo di una detrazione non spettante, anche considerato che, attendendo che il cessionario utilizzi in compensazione il credito d’imposta magari dopo 4 o 5 anni, il beneficiario potrebbe aver nel frattempo dissolto la garanzia patrimoniale. Ma poi v’è da chiedersi, nel caso in cui un operatore abbia comprato una pluralità di crediti d’imposta da una pluralità di soggetti, come possa stabilirsi quale di tali crediti abbia utilizzato in compensazione fino a che non è stato istituito un sistema di tracciamento telematico con un codice identificativo univoco.

D’altro canto, il danno erariale si concretizza già alla data di esercizio dell’opzione per l’utilizzo della detrazione non spettante perché, se il credito d’imposta derivante da tale detrazione è utilizzabile in compensazione con ogni entrata pubblica la perdita di gettito per lo Stato è pressoché certa, rendendo configurabile tale credito come un “credito pagabile” (o non-wastable) che va iscritto tra le uscite nel momento in cui il credito diventa per l’Erario definito, secondo un criterio di competenza”[4].

Comunque, a prescindere dall’individuazione del momento in cui la violazione di utilizzo di detrazioni non spettanti deve ritenersi perfezionata, la risposta dell’AdE potrà essere invocata per resistere ad eventuali contestazioni dell’utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta, qualora gli organi accertatori locali siano di difforme avviso.

La conferma dei sequestri dei crediti d’imposta e le ragioni della loro illegittimità

Di regola le Procure della Repubblica hanno contestato la truffa aggravata a danno dello Stato tentata o consumata ai soggetti che si sono limitati a richiedere le detrazioni d’imposta e a compensarle con le proprie imposte ovvero a tenerle a propria disposizione, mentre hanno contestato la truffa consumata o tentata a danno dei cessionari a carico dei soggetti che hanno richiesto le detrazioni d’imposta e poi, dopo l’esercizio dell’opzione per la cessione, hanno tentato di cedere o ceduto i crediti d’imposta dietro corrispettivo a terzi estranei alla frode.

Inoltre, le Procure hanno di regola disposto a carico dei cessionari dei crediti d’imposta il sequestro impeditivo di tali crediti ai sensi del comma 1 dell’art. 321 c.p.p., nell’impossibilità di eseguire il sequestro dei relativi corrispettivi di cessione[5] ovvero in aggiunta a tale sequestro[6], in quanto sarebbero configurabili come cose pertinenti al reato la cui disponibilità potrebbe aggravare o protrarre le conseguenze dannose dei reati già commessi ovvero il sequestro destinato alla confisca ai sensi del comma 2 di tale articolo in quanto sarebbero configurabili come il prodotto od il profitto del reato.

La Cassazione penale ha finora confermato la legittimità dei sequestri dei crediti d’imposta a carico dei cessionari tanto impeditivi, poiché sarebbero pertinenti al reato[7], quanto anticipatori della confisca in quanto i cessionari non sarebbero estranei al reato, avendone tratto vantaggio[8].

In primo luogo, la Suprema Corte ha sostenuto che con la cessione del credito “il beneficiario si spoglia … del proprio diritto alla detrazione che assume la veste – nell’identico contenuto patrimoniale – di un credito suscettibile di circolare nei termini indicati dalla legge … come confermato dall’originaria versione dello stesso art. 121 comma 1 lett. b), che menzionava un’opzione, per l’appunto, per la trasformazione del corrispondente importo in credito d’imposta con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti …”. Da ciò la Cassazione ne ha quindi tratto il corollario che “non si riscontra … l’estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al beneficiario) e la contestuale costituzione ex nihilo di un credito (in capo al cessionario), né un fenomeno novativo di sorta ma soltanto l’evoluzione – non la sostituzione – del primo nel secondo” cosicché “un credito di imposta originatosi da un diritto alla detrazione non spettante ed oggetto dell’esercizio dell’opzione di ‘cessione’ non può mai considerarsi ‘esistente’”[9].

Senonché la Suprema Corte, così argomentando, non sembra aver adeguatamente considerato che la detrazione d’imposta ha una natura ontologicamente diversa da quella del credito d’imposta posto che, come si è visto, la prima è uno sconto sull’imposta, mentre la seconda è un mezzo di pagamento non rimborsabile di qualunque entrata patrimoniale senza limiti di importo. Tant’è vero che la compensazione di una detrazione d’imposta con le imposte sui redditi non comporta giammai la commissione del delitto di indebita compensazione di crediti di cui alla lett. c-quater) dell’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000 diversamente dall’utilizzo in compensazione di un credito d’imposta con altri tributi. Pertanto, poiché il diritto attribuito al cessionario è ontologicamente diverso da quello del cedente, l’esercizio dell’opzione da parte del beneficiario non può che dar luogo ad una vicenda di natura estintivo-costitutiva.

Del resto, proprio la scelta di considerare come oggetto dell’opzione la “cessione del credito d’imposta”, invece che la “trasformazione del credito d’imposta” depone a favore di tale ricostruzione per il fatto che conferma che il credito attribuito al cessionario non deriva appunto dalla “trasformazione” o “evoluzione” della detrazione d’imposta, ma è originato ex lege per essere attribuito al cessionario.

In secondo luogo, la Cassazione penale ha sostenuto che “la diretta ed immediata derivazione di questo credito dall’originario diritto alla detrazione si ricava anche dall’art. 121, comma 3, D.L. n. 34 del 2020”, laddove statuisce che i crediti d’imposta “sono utilizzati in compensazione ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, sulla base delle rate residue di detrazione non usufruite” ed “il credito d’imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata da detrazione”[10].

Senonché tale disposizione non solo si limita a stabilire che il credito d’imposta è utilizzabile negli stessi tempi e importi della detrazione d’imposta e non anche con le stesse modalità, ma è stata derogata per le spese relative agli interventi eseguiti nel 2024 e 2025 dai commi 4 e 5 dell’art. 4-bis del D.L. 29 marzo 2024, n. 39, convertito dalla Legge 23 maggio 2024, n. 67, laddove consentono di compensare le detrazioni d’imposta in 10 anni ed i crediti d’imposta derivanti dal loro utilizzo in 4 o 5 anni.

In terzo luogo, la Cassazione penale ha sostenuto che il comma 3 dell’art. 28 del D.L. n. 4, convertito dalla Legge 28 marzo 2022, n. 25, c.d. Sostegni ter, prevedendo la “nullità dei contratti di cessione conclusi in violazione” dei nuovi divieti di cessione sanciti dai precedenti commi di tale articolo alla cedibilità dei crediti, consentirebbe di confermare che “proprio di cessione di un credito già esistente si tratta e non di una vicenda estintivo-costitutiva”.

Senonché tale disposizione non può riferirsi ai contratti conclusi per regolamentare l’esercizio da parte dei beneficiari dell’opzione per l’utilizzo della detrazione per la cessione di un credito d’imposta al primo cessionario per il semplice fatto che l’esercizio di tale opzione non è soggetto ai divieti così introdotti, non dando proprio luogo ad una cessione per quanto si è rilevato nel par. 2.

In quarto luogo, la Cassazione penale ha apoditticamente negato ogni rilevanza penale ai commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020, senza esaminarli[11]. La Suprema Corte ha infatti arguito che tali disposizioni “non appaiono introdurre affatto una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo” posto che “il vincolo impeditivo implica soltanto l’esistenza di un collegamento fra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito di buona fede” ragion per cui “non rileva in questa sede l’eventuale responsabilità del terzo cessionario”[12].

Ebbene, è sicuramente vero che le disposizioni sopra richiamate non comportano una deroga all’art. 321 c.p.p. e che la mancanza di una responsabilità tributaria del cessionario non è sufficiente ad escludere la sussistenza di un nesso di pertinenzialità fra la cosa ed il reato.

Tuttavia i commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020 escludono la sussistenza di un nesso di pertinenzialità fra la cosa ed il reato in quanto, come si è visto supra, escludono che il credito d’imposta possa costituire oggetto di recupero a carico dei cessionari anche nel caso di non spettanza della detrazione d’imposta e quindi impongono di considerare tale credito, anche in tal caso, come giuridicamente esistente. In definitiva, la questione relativa all’esistenza di un credito d’imposta è una questione di natura fiscale che deve essere risolta sulla base dell’analisi delle disposizioni fiscali che lo disciplinano.

Né vale obiettare che “proprio la possibilità che il fornitore ed il cessionario siano chiamati a rispondere ai sensi del comma 6, in caso di concorso, evidenzia ulteriormente il nesso derivativo che il credito ceduto ha rispetto all’originario diritto alla detrazione stessa, non ravvisandosi presupposti, diversamente, per ‘un recupero’ anche nei confronti di questi dell’importo corrispondere alla detrazione medesima”[13].

È semmai proprio il comma 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020 a confermare che la spettanza del credito d’imposta non è dipendente dalla spettanza della detrazione d’imposta. Ed infatti tale disposizione non àncora la responsabilità solidale del fornitore o del cessionario per la detrazione d’imposta alla sua non spettanza, bensì all’ulteriore presupposto del loro concorso nella violazione tributaria commessa dal beneficiario. Il cessionario che ha acquistato un credito d’imposta derivante dall’utilizzo di una detrazione d’imposta non spettante, se il credito d’imposta costituisse una mera “evoluzione” della detrazione d’imposta, dovrebbe rispondere sempre e comunque per la mancata spettanza della detrazione d’imposta e non soltanto nel caso di concorso con i beneficiari.

Comunque, i commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020 consentono di escludere la sussistenza di uno dei requisiti a cui è subordinato il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p. e cioè quello di antigiuridicità ed offensività delle conseguenze derivanti dalla libera disponibilità delle cose pertinenti al reato contestato. In particolare, le SS.UU. di tale Suprema Corte hanno precisato che “ il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa … presenti i requisiti della concretezza e dell’attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l’accertamento irrevocabile del reato”[14]. Ed infatti, le disposizioni così individuate, non considerando recuperabili i crediti d’imposta a carico del cessionario per la non spettanza della detrazione e legittimando il loro utilizzo in compensazione, consentono di escludere che la libera disponibilità di tali crediti possa produrre conseguenze che abbiano una connotazione di antigiuridicità e di offensività.

Del resto, il recupero della detrazione d’imposta non spettante, in via principale, a carico del beneficiario o, in via solidale, a carico del cessionario per concorso, se coesistesse con il recupero del credito d’imposta utilizzato in compensazione derivante da tale detrazione, comporterebbe un’inammissibile duplicazione, con un indebito arricchimento dell’Erario.

Di tale inammissibile duplicazione si è avveduta la Cassazione penale in una sentenza relativa al sequestro anticipatorio della confisca e per scongiurarla ha affermato che il cessionario, in difetto di concorso nella violazione del beneficiario della detrazione d’imposta, potrebbe sempre utilizzare in compensazione i crediti d’imposta. In particolare, nella predetta sentenza la Suprema Corte ha sostenuto che non potrebbe mai parlarsi di “arricchimento senza causa” da parte dell’Erario non solo perché, se “l’Erario riesce a recuperare l’importo ‘corrispondente alla detrazione non spettante’ dal soggetto beneficiario, ed allora nessuna conseguenza negativa vi è nei confronti del cessionario”, ma anche perché se “l’Erario non riesce a recuperare l’importo ‘corrispondente alla detrazione non spettante’ dal soggetto beneficiario, ed il cessionario non è concorrente nella violazione … nessuna conseguenza ne deriverebbe per quest’ultimo, che ben potrebbe opporre in compensazione all’Erario il credito oggetto di cessione (comma 6) quando cessino gli effetti del sequestro penale”. Di conseguenza, soltanto se “l’Erario non riesce a recuperare l’importo ‘corrispondente alla detrazione non spettante’ dal soggetto beneficiario, ed il cessionario è concorrente nella violazione, ed allora subirebbe il ‘recupero’, attesa la sua responsabilità solidale, per espressa previsione di legge (comma 6)”[15].

Le argomentazioni appena riportate potranno costituire la base per l’abbandono dell’assioma secondo cui non potrebbe essere mai esistente un credito d’imposta derivante da una detrazione non spettante almeno nel caso in cui il cessionario non sia concorrente nella violazione tributaria del beneficiario con il conseguente riconoscimento dell’illegittimità del sequestro? Non posso che auspicarlo.

Note:

(*) Avvocato in Roma e Milano e docente a contratto presso Università LUISS Guido Carli

[1] Secondo lo studio Incentives for dwelling renovations: evidence from a large fiscal programme, redatto sotto l’egida della Banca d’Italia da A. Accetturo – E. Olivieri – F. Renzi, “Comparing the value added generated by the program with its costs and using standard revenue-to-output elasticities we can safely conclude that the policy did not ‘repay for itself’, i.e. the extra-public revenues generated by the bonus-induced boost to economic activity were significantly lower than their gross cost for the State coffers, leading to further accumulation of public debt which shall be repaid in the future”.

[2] Convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77.

[3] D.L. n. 115/2022, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 settembre 2022, n. 142 e D.L. n. 11/2023, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 aprile 2023, n. 38.

[4] Audizione del maggio 2023 della Corte dei Conti presso la Commissione Finanze del Senato.

[5] Cass. pen. 11 giugno 2024, n. 23402.

[6] Cass. pen. 13 giugno 2023, n. 37138.

[7] Cass. pen. 31 ottobre 2022, nn. 40865, 40866, 40867, 40868 e 40869, 12 gennaio 2023, n. 16728 e 29 novembre 2023, n. 3108.

[8] Cass. pen. 16 novembre 2022, n. 45558.

[9] Così per tutte Cass. pen. n. 40865/2022.

[10] Così per tutte Cass. pen. n. 40865/2022.

[11] Salvo che nella sentenza n. 45558/2022.

[12] Così per tutte Cass. pen. n. 40865/2022.

[13] Così per tutte Cass. pen. n. 40865/2022.

[14] Così Cass., SS.UU., n. 12878 del 20 marzo 2003.

[15] Così Cass. pen. n. 45558/2022.

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