in A.A. V.V. La fiscalità delle società IAS/IFRS, Milano 2018 – pag. 187 e segg.
SOMMARIO: 1. Art. 85 del TUIR: I ricavi 1.1. Gli strumenti finanziari di natura partecipativa non costituenti immobilizzazioni finanziarie per le società IAS adopter; 1.2. Le qualificazioni di azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari; 1.3. La cessione a titolo oneroso di azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari; 2. Art. 87 del TUIR: Plusvalenze Esenti 2.1. Il regime di esenzione delle plusvalenze delle partecipazioni; 3. Art. 89: Dividendi ed Interessi 3.1. L’integrale imponibilità dei dividendi derivanti da azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari; 3.2. Il regime fiscale delle operazioni di pronti contro termine, riporto e prestito di azioni e strumenti finanziari similari; 4. Art. 94: Valutazione dei Titoli; 5. Art. 101: Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite; 6. Art. 109: norme generali sui componenti del reddito d’impresa; 7. Art. 110: norme generali sulle valutazioni.
1. Art. 85 del TUIR: I Ricavi
1.1. Gli strumenti finanziari di natura partecipativa non costituenti immobilizzazioni finanziarie per le società IAS adopter
Nel TUIR continua ad essere previsto un regime fiscale differenziato per le azioni, le quote e gli strumenti finanziari similari costituenti immobilizzazioni finanziarie e per quelli costituenti attivo circolante. In virtù delle lett. c) e d) dell’art. 85, comma 1, del TUIR, anche dopo le modifiche apportate a tale articolo dal comma 58 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la c.d. legge finanziaria 2008, (d’ora in poi «legge n. 244») i corrispettivi delle cessioni di azioni, quote di partecipazione, anche se non rappresentate da titoli, e di strumenti finanziari similari alle azioni, diversi da quelli cui si applica il regime di esenzione previsto dall’art. 87 del medesimo TUIR, sono considerati ricavi, nel caso in cui non costituiscano ·«immobilizzazioni finanziarie», mentre sono considerati plusvalenze, in caso contrario.
Il comma 3 dell’art. 85 del TUIR pone il principio generale secondo cui gli strumenti finanziari di cui alle lett. c), d) ed e) di tale articolo «costituiscono immobilizzazioni finanziarie se sono iscritti come tali in bilancio».
Senonché, poiché i princìpi contabili IAS non prevedono più la bipartizione tradizionale fra immobilizzazioni finanziarie ed attivo circolante, bensì la nuova quadripartizione fra attività finanziarie detenute fino alla scadenza (held to maturity), finanziamenti e crediti (loans and receivables), attività finanziarie disponibili per la vendita (available for sale) e attività finanziarie valutate al fair value imputato a conto economico (fair value through profit and loss account), il principio così posto è stato espressamente derogato per le società che redigono il bilancio secondo tali princìpi fin dall’avvento del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, concernente l’«esercizio delle opzioni previste dall’art. 5 del regolamento (CE) n.1606 /2002 in materia di princìpi contabili internazionali». In particolare, nella relazione illustrativa all’emendamento introduttivo del comma 58 dell’art. 1 della legge n. 244 è rilevato che «proprio al fine di tener conto delle differenti categorie di strumenti finanziari previsti dai princìpi internazionali (…) le disposizioni di cui all’art. 11, comma 2, del D.Lgs. n. 38 del 2005» avevano «precisato che per le società che adottano i princìpi contabili internazionali si considerano immobilizzazioni finanziarie le partecipazioni di controllo e di collegamento, nonché gli strumenti finanziari detenuti fino alla scadenza e quelli disponibili per la vendita. Senonché «l’intervento del legislatore si è (…) rivelato insufficiente posto che non sono state prese in considerazione categorie di strumenti quali quelli classificati tra i loans and receivable (trattasi in particolare di titoli obbligazionari non quotati) per i quali, trattandosi di categorie in cui gli strumenti finanziari sono allocati, in via prioritaria, sulla base di criteri diversi rispetto a quello dell’essere legati durevolmente all’economica dell’impresa, dovrebbe essere mantenuta, ai fini che qui interessano, la destinazione funzionale attribuita all’investimento». In sostanza, il comma 2 dell’art. 11 del D.Lgs. n. 38 non aveva considerato come immobilizzazioni finanziarie per le società IAS adopter anche gli strumenti finanziari della categoria dei finanziamenti e crediti, nonostante che, ai sensi del par. 9 dello IAS 39, siano classificabili in tale categoria anche gli strumenti finanziari non quotati in un mercato attivo che comportino pagamenti fissi o periodici e non siano destinati alla vendita nel breve termine. Pertanto, non risultava chiaro se per tali società gli strumenti finanziari così individuati potevano essere considerati come immobilizzazioni finanziarie, anche se non risultavano classificati in bilancio, né fra quelli detenuti fino alla scadenza, né fra quelli disponibili per la vendita.
L’ABI nella Circolare 21 febbraio 2006, n. 3, Serie Tributaria, aveva risolto tale questione in senso positivo, sostenendo che, per le società IAS adopter, anche gli strumenti finanziari che siano classificati nella categoria dei finanziamenti e crediti devono essere considerati come immobilizzazioni finanziarie se dalla nota integrativa al bilancio risultino destinati ad un utilizzo durevole in forza del generale principio sancito dal comma 3 dell’art. 85 del TUIR, secondo cui gli strumenti finanziari si considerano immobilizzazioni finanziarie se sono iscritti come tali nel bilancio.
Per superare in via definitiva la problematica evidenziata, le disposizioni dell’art. 11 del D.Lgs. n. 38 sono state abrogate e, mediante l’introduzione del nuovo comma 3-bis dell’art. 85 del TUIR, per le predette società, sono ora considerati come immobilizzazioni finanziarie, in via generale, «gli strumenti finanziari diversi da quelli detenuti per la negoziazione». Di conseguenza, risulta confermato che devono essere considerati tali gli strumenti finanziari classificabili non solo nelle categorie di quelli detenuti fino alla scadenza e di quelli disponibili per la vendita, ma anche nella categoria dei finanziamenti e crediti.
Sebbene il comma 3-bis dell’art. 85 del TUIR non rechi un espresso rinvio ai princìpi contabili internazionali, è logico ritenere che, in virtù della generale rilevanza attribuita alle qualificazioni e classificazioni ivi previste dall’art. 83 del TUIR, per strumenti finanziari «detenuti per la negoziazione» devono intendersi quelli che sono considerati tali in forza dei princìpi medesimi e, segnatamente, dal par. 9 dello IAS 39. In particolare, secondo tale disposizione, un’attività si considera posseduta per negoziazione se «(i) è acquisita o sostenuta principalmente al fine di venderla o riacquistarla a breve; (ii) in sede di prima rilevazione è parte di un portafoglio di strumenti finanziari identificati che sono gestiti insieme, per i quali esiste evidenza di una recente ed effettiva strategia rivolta all’ottenimento di un profitto nel breve periodo; o (iii) è un derivato» e rientra, quindi, nella più ampia categoria delle attività finanziarie al fair value imputato a conto economico. Pertanto, gli strumenti finanziari di natura partecipativa non sono qualificabili come im mobilizzazioni finanziarie, allorché siano stati acquistati per le finalità così individuate.
Il comma 3-bis dell’art. 85 del TUIR, a differenza del precedente comma 3 di questo medesimo articolo, non attribuisce rilevanza alla classificazione in bilancio degli strumenti finanziari, bensì alla loro destinazione effettiva, indipendentemente dalla loro classificazione. Tale disposizione è, infatti, formulata nel senso di considerare come immobilizzazioni finanziarie non gli strumenti finanziari «classificati in bilancio fra gli strumenti finanziari diversi da quelli detenuti per la negoziazione», bensì gli «strumenti finanziari diversi da quelli detenuti per la negoziazione». In questo senso si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate nella circolare 19 febbraio 2008, n. 12/E (d’ora in poi “12/E”), ove è precisato che «diversamente da quanto previsto per i soggetti che non applicano gli IAS/ IFRS, per i quali, a norma del novellato art. 85, l’individuazione degli strumenti finanziari che si qualificano come immobilizzazioni finanziarie avviene facendo direttamente riferimento alla classificazione operata in bilancio – per le imprese che adottano gli IAS/IFRS, solo le attività finanziarie detenute per essere negoziate sono escluse dalla categoria delle immobilizzazioni finanziarie».
Per contro, rimane fermo che devono ritenersi qualificabili come immobilizzazioni finanziarie gli strumenti finanziari che, in sede di rilevazione iniziale, sono valutati al fair value mediante l’esercizio della c.d. fair value option e sono quindi classificati fra le attività finanziarie valutate al fair value con imputazione a conto economico, al pari di quelle detenute per la negoziazione. L’esercizio di tale opzione, comportando soltanto una diversa modalità di esposizione contabile di tali strumenti, non è idoneo a comportare un cambio della loro destinazione. È significativo rilevare che a questa conclusione è pervenuta anche l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 12/E, ove ha precisato che «gli strumenti finanziari che per effetto della fair value option sono classificati nella categoria FVTPOL non possono farsi rientrare tra le “attività non immobilizzate”, tra le quali rientrano, per espressa previsione normativa, esclusivamente gli strumenti finanziari “detenuti per la negoziazione”».
1.2. Le qualificazioni di azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari
Il comma 1 dell’art. 85 del TUIR non stabilisce quali strumenti finanziari sono qualificabili come azioni, quote di partecipazione e strumenti similari alle azioni né per le società IAS adopter, né per quelle non IAS adopter. Tuttavia tale disposizione rinvia implicitamente per la loro individuazione alla definizione di partecipazioni in società ed enti non residenti e di strumenti finanziari similari alle azioni contenuta nel comma 2 dell’art. 44 del medesimo TUIR. Ed infatti se da un lato la lett. c), stabilisce che «se le partecipazioni sono nelle società ed enti di cui all’art. 73, comma 1, lett. d) si applica il comma 2 dell’art. 44» del TUIR, dall’altro lato, la lett. d), agli effetti dell’individuazione degli strumenti similari alle azioni emessi da società ed enti soggetti ad IRES, fa sempre rinvio allo stesso art. 44. Pertanto, dopo aver individuato la definizione fiscale di tali qualificazioni, occorre stabilire se tale definizione possa assumere rilevanza anche per le società IAS adopter.
Ebbene, in forza del primo periodo della lett. a) dell’art. 44, comma 2, del TUIR, sono considerati similari alle azioni gli strumenti finanziari emessi da società ed enti commerciali residenti soggette ad IRES la cui «remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi». L’assimilazione di tali strumenti alle azioni si giustifica in quanto il comma 9 dell’art. 109 del TUIR esclude la deducibilità dall’imponibile IRES delle medesime società ed enti della «remunerazione dovuta su titoli, strumenti finanziari di cui all’art. 44, per la quota della remunerazione che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi». Ed infatti, tale remunerazione, essendo sottoposta al regime degli utili da partecipazione a carico delle società ed enti emittenti, per evitarne una doppia imposizione, è sottoposta al regime fiscale degli utili da partecipazione nei confronti dei percipienti e quindi esclusa da IRES nel limite del 95°/o del relativo ammontare.
Peraltro, la lett. a) dell’art. 44, comma 2, del TUIR e il comma 9 dell’art. 109 del TUIR non sono perfettamente speculari per il fatto che, se la seconda disposizione considera indeducibile la remunerazione dovuta sugli strumenti finanziari per la quota che comporti la partecipazione ai risultati economici ivi indicati, la prima considera similari alle azioni soltanto gli strumenti finanziari la cui remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai medesimi risultati economici. Pertanto, la remunerazione dovuta su strumenti finanziari che comportino una partecipazione solo parziale ai risultati economici è soggetta ad una parziale doppia imposizione economica per essere integralmente soggetta ad IRES a carico dei percipienti, pur non risultando integralmente deducibile dall’imponibile IRES degli emittenti.
Per contro, le partecipazioni al capitale e al patrimonio e gli strumenti finanziari emessi da società ed enti non residenti sono invece considerati similari alle azioni ai sensi del secondo periodo della lett. a) dell’art. 44, comma 2, del TUIR, se «la relativa remunerazione sia totalmente indeducibile nella determinazione del reddito nello Stato estero di residenza del soggetto emittente». Di conseguenza, tale remunerazione, qualora sia integralmente assoggettata all’imposta sulle società nello Stato estero di residenza degli emittenti, onde evitarne una doppia imposizione, è esclusa da IRES a carico dei relativi percipienti. Naturalmente, anche la remunerazione degli strumenti finanziari emessi da società ed enti non residenti, qualora sia solo parzialmente deducibile dall’imponibile di tali società ed enti può essere soggetta ad una parziale doppia imposizione economica, risultando integralmente soggetta ad IRES a carico dei relativi percipienti.
Il primo periodo della lett. a) dell’art. 44, comma 2, del TUIR sembra considerare similari alle azioni gli strumenti finanziari emessi da società ed enti non residenti anche all’ulteriore condizione che assicurino una partecipazione ai risultati economici della società emittente, di altre società del gruppo o di un affare, essendo formulato nel senso di qualificare come tali gli strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita totalmente da tale partecipazione che siano emessi non solo dalle società ed enti di cui alle lett. a) e b) dell’art. 73 del TUIR, ma anche da quelli della successiva lett. d) e, quindi, anche da società ed enti non residenti. Tale condizione non è però richiamata dalle disposizioni che prevedono l’esclusione da IRES dei dividendi. Il comma 3 dell’art. 89 del TUIR stabilisce infatti che «l’esclusione di cui al comma 2 si applica agli utili provenienti dai soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. d)» dello stesso TUIR, «qualora si verifichi la condizione di cui all’art. 44, comma 2, lett. a), ultimo periodo» e non anche quella di cui al primo periodo di tale disposizione.
Senonché l’Agenzia delle Entrate nella circolare 18 gennaio 2006, n. 4/E, ha precisato che «ai fini dell’assimilazione alle azioni, le partecipazioni, nonché gli strumenti finanziari emessi da soggetti non residenti» devono rispondere a due distinte caratteristiche e cioè la relativa remunerazione non solo deve essere «totalmente indeducibile dal reddito della società emittente secondo le regole proprie vigenti nel Paese estero di residenza», ma deve essere anche «costituita esclusivamente da utili, ossia essere rappresentativa di una partecipazione ai risultati economici della società emittente (di società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi)». A favore di tale interpretazione dell’Agenzia delle Entrate sembra deporre la relazione illustrativa dell’art. 2 del D.Lgs. n. 247/ 2005, nella parte in cui recita che tale disposizione «ha inteso introdurre identità di trattamento per i titoli esteri di equity e per quelli di finanziamento, laddove la loro remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società estera e nello stato estero di residenza del soggetto emittente sia prevista la totale indeducibilità della remunerazione medesima dal reddito». D’altro canto, diversamente argomentando, potrebbero risultare configurabili come similari alle azioni anche gli strumenti finanziari di debito per il semplice fatto che lo Stato estero di residenza dell’emittente escluda la deducibilità della relativa remunerazione dall’imponibile della società emittente.
L’assimilazione alle azioni risulta operante per gli strumenti finanziari emessi da soggetti residenti soltanto se siano rappresentati da titoli o certificati. Nella relazione è, infatti, chiarito che l’assimilazione alle azioni non è destinata ad operare anche per «gli ordinari contratti indicati nel comma 1 dell’art. 44», ma solo per «i titoli e gli altri strumenti finanziari di incerta qualificazione». A questa conclusione è pervenuta anche l’Agenzia delle Entrate nella circolare 16 giugno 2004, n. 26/E ove è precisato che «l’assimilazione alle azioni riguarda esclusivamente gli strumenti finanziari rappresentati da titoli o certificati (…)» in quanto la locuzione «strumenti finanziari, da assumere in conformità alla più restrittiva accezione civilistica, non abbraccia (…) anche i contratti (non cartolarizzati), quali ad esempio, quelli di associazione in partecipazione e di cointeressenza, per i quali pertanto non opera l’assimilazione alle azioni».
Perché uno strumento finanziario sia considerato similare alle azioni, non basta che la relativa remunerazione dipenda dai risultati economici della società emittente, da quelli del suo gruppo o di un affare, ma occorre che sia costituita da una partecipazione a tali risultati economici. In particolare, secondo la relazione illustrativa dell’art. 109 del TUIR, «l’indeducibilità non è estesa ai proventi per i quali la connessione con i risultati economici dell’impresa riguardi unicamente l’an, ma non il quantum, della corresponsione dei proventi e/o del rimborso ai sottoscrittori», come appunto nel «(…) caso dei titoli con tasso di rendimento prestabilito, per i quali il pagamento degli interessi in una certa misura sia subordinato all’esistenza di utili ovvero alla effettiva distribuzione di dividendi da parte dell’emittente». Di conseguenza, tale assimilazione non è destinata ad operare anche per i titoli che accordino un tasso di interesse più elevato ovvero meno elevato, nel caso in cui il risultato economico dell’emittente risulti al di sopra ovvero al di sotto di un livello prestabilito. L’assimilazione alle azioni risulta sicuramente operante per gli strumenti finanziari emessi da società residenti che, dietro corrispettivo di un apporto di capitale, assicurino una partecipazione diretta od indiretta ai risultati economici positivi e negativi di tali società. È questo appunto il caso degli strumenti finanziari partecipativi in senso proprio di cui all’art. 2346 c.c. ovvero degli strumenti di partecipazione ad un patrimonio di destinazione di cui all’art. 2447-ter c.c. Tali strumenti finanziari possono, infatti, assicurare una partecipazione diretta non solo agli utili, ma anche alle perdite della società emittente. Ma questo può essere anche il caso degli strumenti finanziari non partecipativi soggetti alla disciplina delle obbligazioni di cui al comma 3 dell’art. 2411 c.c. che parametrino l’ammontare del capitale da rimborsare all’andamento economico della società emittente.
Ed ancora, l’assimilazione alle azioni risulta sicuramente operante anche per gli strumenti finanziari che, sempre dietro corrispettivo di un apporto di capitale, assicurino una partecipazione diretta ai risultati economici positivi, ma non a quelli negativi della società emittente. È questo il caso delle obbligazioni che assicurino interessi indicizzati all’andamento economico della società emittente di cui al comma 2 dell’art. 2411 c.c. Ma è questo pure il caso delle obbligazioni che assicurino una partecipazione agli utili della società emittente, quali appunto le obbligazioni c.d. partecipanti. Peraltro, l’assimilazione delle obbligazioni così individuate sembra difficilmente giustificabile non solo sul piano giuridico, ma anche su quello economico. Tali obbligazioni non comportano un’effettiva esposizione al rischio d’impresa, in quanto assicurano il rimborso del capitale.
Più problematico risulta stabilire, invece, se l’assimilazione alle azioni risulti operante anche per gli strumenti finanziari che, pur non comportando una partecipazione ai risultati economici positivi, in quanto assicurino un tasso di interesse prestabilito, possono invece comportare una partecipazione «indiretta» ai risultati economici negativi. É questo appunto il caso dei c.d. titoli irredimibili che prevedano la sospensione del pagamento degli interessi ovvero la loro imputazione a copertura delle perdite. L’Agenzia delle Entrate sembra ritenere che la sola partecipazione alle perdite delle società emittenti, qualora non sia accompagnata da una partecipazione agli utili delle società medesime, non comporta una partecipazione ai loro risultati economici. Ed infatti essa, nella circolare n. 4/ E, dopo aver premesso che «come specificato nella relazione (…) al D. Lgs. n. 344 del 2003, l’indeducibilità non è estesa ai proventi per i quali la connessione con i risultati economici dell’impresa riguardi unicamente l’an, ma non il quantum, della corresponsione dei proventi e/o del rimborso ai sottoscrittori», ha concluso che «non comportano una partecipazione indiretta ai risultati economici della società emittente le obbligazioni e gli altri titoli irredimibili emessi dalle banche ai sensi dell’art. 12 del TUB di cui al D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385». Ed infatti, sebbene «in caso di andamento negativo della gestione, l’emittente può sospendere il pagamento degli interessi e, in determinate ipotesi, imputarli a copertura delle perdite (…) la remunerazione delle predette obbligazioni non assicura una partecipazione agli utili della banca che li ha emessi, essendo tale remunerazione parametrata normalmente a tassi di interesse correnti». Pertanto, «l’eventualità che tali interessi, in caso di perdite, siano sospesi ed imputati alla loro copertura, non incide sulla disciplina strutturale dei titoli in argomento, che è quella tipica delle obbligazioni».
Stando alle trascritte precisazioni, sono dunque considerati similari alle azioni gli strumenti finanziari italiani ed esteri che assicurino una partecipazione ai risultati economici positivi delle società emittenti, di quelle del gruppo o di un affare. Evidentemente, la finalità in tal modo perseguita dal legislatore è quella di evitare una sottrazione di materia imponibile tramite il trasferimento di utili sotto forma di interessi ai sottoscrittori non soggetti ad IRES in Italia. Ed infatti, il riconoscimento di una partecipazione alle perdite non comporta analogo rischio di sottrazione di materia imponibile, per la considerazione che la perdita dedotta dal sottoscrittore non soggetto ad IRES in Italia trova contropartita nella realizzazione di una minore perdita o di un maggior utile da parte dell’emittente soggetto ad IRES.
Infine, non possono ritenersi similari alle azioni gli strumenti finanziari che prevedano una parametrazione della relativa remunerazione al valore di azioni quotate su mercati regolamentati ovvero ad indici azionari per il fatto che non comportano una partecipazione ai risultati economici delle società emittenti o di quelle del gruppo.
Fermo restando quanto precede, rimane a questo punto da stabilire quali strumenti finanziari emessi da società ed enti residenti siano configurabili come «azioni» o «quote di partecipazione», posto che, come si è visto, la lett. c) fa rinvio al comma 2 dell’art. 44 del TUIR solo per quanto attiene alle partecipazioni nelle società ed enti non residenti e, comunque, tale disposizione non stabilisce anche quali strumenti finanziari siano configurabili come «azioni» o «quote di partecipazione».
Ebbene, ritengo che per «azioni» e «quote di partecipazione» si debbano intendere soltanto gli strumenti finanziari considerati tali dal Codice civile. Ed infatti, le nozioni di provenienza civilistica utilizzate dalla normativa fiscale, in mancanza di una diversa ed espressa definizione legislativa, non possono che essere interpretate secondo l’accezione loro propria, salvo che naturalmente tale accezione non sia compatibile con la ratio della normativa tributaria. Presupposto questo che nel caso di specie non sembra risultare integrato.
Stabilito quindi quale sia agli effetti fiscali il significato delle qualificazioni di azioni, quote di partecipazione, e strumenti finanziari similari alle azioni, occorre a questo punto chiedersi se tali qualificazioni assumano rilevanza, oltre che per le società non IAS adopter, anche per quelle IAS adopter. Tale quesito ha ragion d’essere per il fatto che, come già si è ampiamente rilevato, l’art. 83 del TUIR ha attribuito diretta rilevanza fiscale alle qualificazioni previste dai princìpi contabili internazionali.
Tali princìpi, per l’individuazione degli strumenti finanziari di natura partecipativa, non utilizzano le qualificazioni di azioni, partecipazioni e strumenti finanziari, bensì la diversa e ben più ampia qualificazione di strumenti rappresentativi di capitale. In particolare, il par. 11 dello IAS 32 definisce come tale «qualsiasi contratto che rappresenti una interessenza residua nelle attività dell’entità dopo aver dedotto tutte le sue passività», intendendosi per contratto «un accordo tra due o più parti che abbia conseguenze economiche chiare tali che le parti hanno una limitata, o nessuna, possibilità di evitarle, solitamente perché l’accordo è reso esecutivo da una norma di legge», che può «assumere forme differenti» e non necessita «della forma scritta». Pertanto, secondo il successivo par. 19, «qualora un’entità non goda di un diritto incondizionato di esimersi dal consegnare disponibilità liquide o un’altra attività finanziaria per estinguere un’obbligazione contrattuale, l’obbligazione soddisfa la definizione di passività finanziaria1».
Inoltre, secondo il par. 18 dello IAS 32 «la classificazione di uno strumento finanziario nel prospetto della situazione patrimoniale-finanziaria dell’entità è determinata dal suo contenuto sostanziale piuttosto che dalla sua forma giuridica», posto che «la sostanza e la forma giuridica sono solitamente coerenti, ma non lo sono sempre». Tant’è vero che «alcuni strumenti finanziari assumono la forma giuridica di capitale ma, nella sostanza, sono passività e altri possono unire caratteristiche proprie di uno strumento rappresentativo di capitale e caratteristiche proprie di passività finanziarie», quali ad «esempio: a) un’azione privilegiata che preveda il rimborso obbligatorio da parte dell’emittente di un ammontare fisso o determinabile a una data futura fissa o determinabile o che dia al possessore il diritto di richiedere all’emittente il rimborso dello strumento a o dopo una certa data per un ammontare fisso o determinabile» e «b) uno strumento finanziario che dia al possessore il diritto di rivenderlo all’emittente in cambio di disponibilità liquide o di un’altra attività finanziaria (uno “strumento con opzione a vendere”)».
La definizione di strumento di capitale prevista dallo IAS 32 risulta dunque chiaramente divergente dalla definizione fiscale di azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari. Agli effetti dei princìpi contabili internazionali sono considerati strumenti di capitale non solo i titoli di qualunque tipo, ma anche i semplici contratti non rappresentati da titoli che possono essere regolati mediante la consegna di strumenti di capitale dell’emittente ovverosia i contratti di opzione e gli altri contratti derivati su azioni. Inoltre, i titoli ed i contratti sono considerati strumenti di capitale, soltanto allorché comportino una compartecipazione al rischio d’impresa della società che li abbia emessi. Per contro, agli effetti fiscali, sono considerati similari alle azioni solo i titoli italiani che comportino una partecipazione agli utili degli emittenti ed i titoli esteri la cui remunerazione, oltre a comportare la partecipazione ai risultati economici degli emittenti e delle società del loro gruppo, sia indeducibile dal loro imponibile.
Ricostruito, quindi, il significato delle qualificazioni fiscali di azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari alle azioni e della qualificazione contabile di strumenti di capitale, ritengo di poter escludere che, ai sensi dell’art. 83 del TUIR, per le società IAS adopter, possa assumere diretta rilevanza fiscale questa seconda qualificazione, invece della prima.
In primo luogo, le lett. c) e d) dell’art. 85, comma 1, del TUIR, per l’individuazione del significato delle qualificazioni di azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari, fanno espresso rinvio alla definizione fornita dalla lett. a) dell’art. 44, comma 2, del TUIR, in via generale, e, quindi, senza distinguere fra società IAS adopter e società non IAS adopter.
Pertanto, tale disposizione lascia implicitamente intendere che tale definizione assume rilevanza, oltre che per le seconde, anche per le prime.
In secondo luogo, le qualificazioni di azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari continuano ad essere sistematicamente utilizzate non solo dalle disposizioni che hanno come destinatarie tutte le imprese, ma anche da quelle che sono state introdotte proprio per le società IAS adopter.
È questo, appunto, il caso del comma 2-bis dell’art. 89 del TUIR, il quale statuisce che «in deroga al comma 2, per i soggetti che redigono il bilancio in base ai princìpi contabili internazionali (…) gli utili distribuiti relativi ad azioni, quote e strumenti finanziari similari alle azioni detenuti per la negoziazione concorrono per il loro intero ammontare alla formazione del reddito nell’esercizio in cui sono percepiti». Ma è questo pure il caso del comma 1-bis dell’art. 110 del TUIR, laddove stabilisce che «in deroga alle disposizioni delle lettere c), d) ed e) del comma 1, per i soggetti che redigono il bilancio in base ai princìpi contabili internazionali (…) la lett. d) del comma 1 si applica solo per le azioni, le quote e gli strumenti finanziari similari alle azioni che si considerano immobilizzazioni finanziarie ai sensi dell’articolo 85, comma 3-bis». Di conseguenza, tali disposizioni, continuando ad utilizzare le qualificazioni fiscali in luogo di quelle previste dagli IAS, negano implicitamente rilevanza alle seconde.
In terzo luogo, il comma 1 dell’art. 83 del TUIR non può ritenersi idoneo a derogare la lett. a) dell’art. 44, comma 2, del TUIR. La prima di tali due disposizioni è chiaramente formulata nel senso di derogare soltanto le disposizioni della sezione relativa alla determinazione dell’imponibile IRES delle società ed enti commerciali e non anche le disposizioni della sezione relativa all’IRPEF. D’altro canto, la seconda è speciale rispetto alla prima in quanto è volta ad introdurre una qualificazione fiscale autonoma per evitare che siano esclusi da IRES anche proventi che non abbiano scontato tale imposta a carico della società emittente.
In quarto ed ultimo luogo, come meglio si vedrà nel par.1.3., il comma 3 dell’art. 3 del regolamento del Ministro dell’Economia e delle Finanze 1° aprile 2009, n. 48 (d’ora in poi «regolamento»), contenente il «Regolamento recante: “Disposizioni di attuazione e di coordinamento delle norme contenute nei commi 58 e 59 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 in materia di determinazione del reddito dei soggetti tenuti alla adozione dei princìpi contabili internazionali”», ha espressamente stabilito che, «fermi restando i criteri di imputazione temporale previsti dagli IAS eventualmente applicati, il regime fiscale è individuato sulla base della natura giuridica delle operazioni: a) quando oggetto delle operazioni di cui sopra siano i titoli di cui all’articolo 85, comma 1, lett. c) e d) del testo unico, anche costituenti immobilizzazioni finanziarie» e cioè le azioni e strumenti finanziari similari «con esclusione delle azioni proprie e degli altri strumenti rappresentativi del patrimonio proprio (…)». Di conseguenza, lo stesso legislatore ha manifestato la chiara intenzione di dare prevalenza alle qualificazioni giuridiche per quanto attiene agli strumenti finanziari così individuati.
Sulla base delle considerazioni esposte può dunque concludersi che anche per le società IAS adopter, al pari di quanto stabilito per le altre società, devono ritenersi qualificabili come azioni o quote di partecipazione emesse da società ed enti residenti quelle che siano considerate tali dal Codice civile, nonché come quote di partecipazione al capitale o al patrimonio e strumenti finanziari similari alle azioni di società ed enti non residenti soltanto quelli che siano considerati tali dalla lett. a) del comma 2 dell’art. 44 del TUIR.
1.3. La cessione a titolo oneroso di azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari
Le lett. c) e d) dell’art. 85, comma 1, del TUIR, anche per gli strumenti di natura partecipativa, al pari di quanto stabilito dalle altre lettere di tale articolo per gli altri beni, considerano come ricavi i corrispettivi derivanti dalla loro cessione. Allo stesso modo, per quanto attiene all’individuazione dell’esercizio in cui tali strumenti finanziari si devono considerare come ceduti, non essendo previste regole specifiche, non può che farsi riferimento a quelle dettate in via generale per tutti i beni dall’art. 109 del TUIR.
Ebbene, la predetta disposizione, dopo aver stabilito al comma 1 che i ricavi devono essere imputati alla formazione dell’imponibile nell’esercizio di competenza economica ovvero, nel caso in cui siano privi dei caratteri di certezza e determinabilità obbiettiva, nell’esercizio in cui assumano tali caratteri, al successivo comma 2 stabilisce che, agli effetti della sua determinazione, «i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti (…) alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale». Pertanto, i beni e quindi anche gli strumenti finanziari di natura partecipativa si devono in via generale considerare come ceduti nell’esercizio in cui ne sia stata trasferita la proprietà o altro diritto reale.
Le regole appena individuate peraltro si pongono chiaramente in conflitto con quelle dettate dai princìpi contabili internazionali. Lo IAS 39, per stabilire quando i beni si devono considerare ceduti, non attribuisce, infatti, rilevanza al trasferimento della proprietà o di altro diritto reale, bensì al trasferimento dei rischi e benefici economici. In particolare, tale principio, dopo aver premesso nel par. 17 che un’entità deve eliminare un’attività finanziaria quando i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dall’attività finanziaria scadono ovvero l’entità trasferisce l’attività finanziaria e il trasferimento si qualifica per l’eliminazione, nel successivo par. 18 prevede altresì che un’attività finanziaria si considera trasferita se l’entità trasferisce il diritto a ricevere i relativi flussi finanziari ovvero mantiene tale diritto, ma assume un’obbligazione a pagare i flussi finanziari ad uno o più beneficiari, e che il trasferimento di un’attività finanziaria si qualifica per l’eliminazione se sono trasferiti tutti i rischi e benefici connessi all’attività finanziaria. D’altro canto, se i rischi e benefici relativi ad un’attività finanziaria sono trasferiti solo parzialmente, l’entità deve, ove non ne abbia il controllo, eliminarla, rilevando come attività e passività i diritti ed obblighi originati o mantenuti nel trasferimento e, ove invece ne abbia il controllo, continuare a rilevarla nella misura del coinvolgimento residuo. Il par. AG 39 dello IAS 39 considera esempi di trasferimento di tutti i benefici e rischi relativi ad un’attività finanziaria, fra l’altro, le vendite di un’attività finanziaria insieme ad un’opzione di riacquisto dell’attività finanziaria al suo fair value e le vendite di un’attività finanziaria insieme alla sottoscrizione di un’opzione ad acquistare fortemente out of the money.
V’è da chiedersi a questo punto se, per stabilire quando gli strumenti di natura partecipativa, devono considerarsi come ceduti occorre fare riferimento alle regole dettate dal comma 2 dell’art. 109 del TUIR o a quelle dettate dai princìpi contabili internazionali. Prima dell’entrata in vigore delle disposizioni che hanno attribuito diretta rilevanza fiscale ai princìpi contabili internazionali nella risoluzione 16 maggio 2007, n. 100/ E, l’Agenzia delle Entrate aveva risolto tale questione nel primo senso sulla base delle seguenti considerazioni «se ai fini IAS la semplice circostanza dell’avvenuto trasferimento della proprietà giuridica non costituisce condizione sufficiente per giustificare l’eliminazione dal bilancio delle poste oggetto di cessione, tale regola non può, tuttavia, trovare riconoscimento fiscale immediato, in quanto l’attuale ordinamento tributario attribuisce rilievo, al fine dell’individuazione del momento in cui si verifica l’effetto traslativo relativamente, ad esempio, alle cessioni dei beni, a circostanze di carattere giuridico o fattuale, non necessariamente coincidenti con il completo e definitivo trasferimento dei rischi connessi all’attività oggetto di cessione. Il generale criterio di competenza fiscale, quale attualmente emergente dall’art. 109, commi 1 e 2, del TUIR, si presenta, in altri termini, non coordinato con l’impostazione contabile del continnuing involvement tipica degli IAS con la conseguenza che il recepimento nella sfera fiscale dell’impostazione seguita sotto il profilo civilistico-contabile (in cui si sostanzia il più volte ricordato principio di “derivazione”) non può in tal caso avere luogo, in considerazione della mancanza nell’attuale ordinamento di una previsione che riconosca rilevanza fiscale alla circostanza (sostanziale) del trasferimento dei rischi e dei benefici tra le parti».
Tale orientamento deve oramai ritenersi superato con l’attribuzione di diretta rilevanza fiscale ai princìpi contabili internazionali. È bensì vero che il comma 1 dell’art. 83 del TUIR non ha attribuito in via espressa valenza fiscale anche ai criteri di imputazione soggettiva delle attività e passività e dei relativi proventi ed oneri. Peraltro, l’attribuzione di diretta valenza fiscale ai criteri di qualificazione previsti dagli IAS comporta l’attribuzione di valenza fiscale anche ai criteri d’imputazione così individuati. L’art. 2 del regolamento ha, infatti, stabilito che «ai sensi dell’ articolo 83, comma 1, terzo periodo, del testo unico, per i soggetti IAS assumono rilevanza, ai fini dell’applicazione del Capo II, Sezione I, del testo unico, gli elementi reddituali e patrimoniali rappresentati in bilancio in base al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma previsto dagli IAS» e che «conseguentemente, devono intendersi non applicabili a tali soggetti le disposizioni dell’ art. 109, commi 1 e 2, del testo unico, nonché ogni altra disposizione di determinazione del reddito che assuma i componenti reddituali e patrimoniali in base a regole di rappresentazione non conformi all’anzidetto criterio». Pertanto, è espressamente esclusa l’applicabilità nei confronti delle società IAS compliant non solo del comma 1, ma anche del comma 2 dell’art. 109 del TUIR e, quindi, anche del principio secondo cui i corrispettivi delle cessioni di beni si considerano conseguiti quando si verifica l’effetto traslativo della proprietà o di altro diritto reale.
L’attribuzione di diretta rilevanza fiscale ai criteri di imputazione soggettiva IAS non dovrebbe in via di principio generare salti o duplicazioni d’imposta, nel caso in cui la cessione di uno strumento finanziario sia conclusa fra soggetti IAS adopter. In tal caso, infatti, tale strumento finanziario sarebbe imputabile ad uno solo di tali due soggetti e cioè a quello che sia titolare dei relativi rischi e benefici, sempreché naturalmente essi applichino coerentemente i predetti princìpi.
Peraltro, qualora la cessione sia conclusa fra una società IAS adopter e un altro soggetto, sia esso costituito da un’impresa, una persona fisica, un ente non commerciale o un non residente, questo non sarebbe più vero. In tal caso gli strumenti finanziari e, quindi, i relativi proventi potrebbero risultare imputabili a due soggetti diversi qualora il soggetto IAS adopter sia titolare dei relativi rischi e benefici ed il soggetto non IAS adopter ne abbia acquisito la proprietà. Ma potrebbe anche accadere che gli strumenti finanziari e, quindi, anche i relativi proventi non risultino imputabili a nessuno dei due, qualora l’impresa IAS adopter, pur avendone la proprietà, non risulti titolare dei relativi rischi e benefici, mentre il soggetto non IAS adopter, pur essendo titolare dei relativi rischi e benefici, non ne abbia la proprietà.
La doppia imputazione o la doppia non imputazione di proventi non dovrebbe dar luogo a distorsioni quando i componenti di reddito sono soggetti allo stesso trattamento agli effetti della determinazione del reddito d’impresa. L’adozione dei princìpi contabili internazionali comporta di regola una diversa imputazione temporale dei componenti di reddito, ma non anche l’imputazione di utili o perdite diverse da quelli determinabili sulla base dei princìpi contabili nazionali. È questo appunto il caso, ad esempio, del metodo del costo ammortizzato.
Tuttavia, tale assunto non può invece più ritenersi valido quando i componenti di reddito non siano soggetti al medesimo regime fiscale perché fruiscano di regimi di parziale non imponibilità o di parziale deducibilità o diano diritto a crediti o detrazioni d’imposta. In tal caso la doppia imputazione o la mancata imputazione di proventi può generare non solo una diversa imputazione temporale di componenti di reddito, ma anche la determinazione di un diverso imponibile e di una diversa imposta. Questa even tualità si verifica, ad esempio, per le azioni, quote o strumenti finanziari similari in quanto, nel caso in cui una società IAS adopter ed una società non IAS adopter si imputino i relativi proventi, tale doppia imputazione potrebbe consentire a due diverse società di fruire dell’esclusione da IRES ovvero della participation exemption e cioè dell’esenzione sulle plusvalenze delle partecipazioni, la c.d. PEX.
Il comma 60 dell’art. 1 della legge n. 244 aveva pertanto delegato il Ministro dell’Economia e Finanze ad individuare con proprio decreto: «a) i criteri per evitare che la valenza ai fini fiscali delle qualificazioni, imputazioni temporali e classificazioni adottate in base alla corretta applicazione dei princìpi contabili internazionali (…) determini doppia deduzione o nessuna deduzione di componenti negativi ovvero doppia tassazione o nessuna tassazione di componenti positivi; b) i criteri per la rilevazione e il trattamento ai fini fiscali delle transazioni che vedano coinvolti soggetti che redigono il bilancio di esercizio in base ai richiamati princìpi contabili internazionali e soggetti che redigono il bilancio in base ai princìpi contabili nazionali».
Ed infatti, nella normativa tributaria, se è previsto un divieto di doppia imposizione interna dall’art. 163 del TUIR, non è invece previsto un divieto di doppia non imposizione interna e cioè una sorta di tax clause. Tant’è vero che il conseguimento di risparmi d’imposta è inopponibile all’Amministrazione Finanziaria ai sensi dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ovvero, quando non sia utilizzata una delle operazioni ivi elencate, del divieto di abuso del diritto fiscale soltanto se tali risparmi sono indebiti, perché comportino l’aggiramento di divieti ed obblighi tributari, e derivano da operazioni prive di valide ragioni economiche. Dando attuazione alle trascritte disposizioni, il comma 1 dell’art. 3 del regolamento, ha confermato il divieto di doppia o nessuna deduzione e quello di doppia e nessuna deduzione, ma ha stabilito che tale divieto può operare soltanto a carico della stessa società e non anche a carico di società diverse. Tale disposizione recita infatti che «il riconoscimento ai fini fiscali dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio adottati in base alla corretta applicazione degli IAS non determina, in ogni caso» solo «in capo al medesimo soggetto passivo d’imposta doppia deduzione ovvero nessuna deduzione di componenti negativi, né doppia tassazione ovvero nessuna tassazione di componenti positivi». Coerente mente, il comma 2 dell’art. 3 del regolamento stabilisce che: «nel caso di operazioni fra soggetti che redigono il bilancio in base agli IAS e soggetti che non li applicano la rilevazione ed il trattamento ai fini fiscali di tali operazioni sono determinati per ciascuno dei predetti soggetti, sulla base della corretta applicazione dei princìpi contabili da essi adottati, – analogo principio si applica nel caso in cui entrambi i soggetti applicano gli IAS anche quando siano utilizzati differenti criteri di iscrizione e di cancellazione del bilancio di attività e passività». La relazione illustrativa precisa che «al riguardo si è stabilito che (…) il divieto di doppia tassazione o di doppia deduzione è riferito al singolo contribuente e, in particolare sia un criterio da seguire nel passaggio dalla disciplina fiscale precedente a quella introdotta con la legge finanziaria 2008». Diversamente, «in tutti i rapporti contrattuali che vedono come parti contrapposte soggetti IAS e soggetti non IAS che adottano rilevazioni contabili diverse» si sarebbe dovuto «introdurre un doppio binario, o per l’uno o per l’altro di tali soggetti» e «imporre ai soggetti IAS un monitoraggio delle operazioni con soggetti non IAS difficilmente attuabile».
Senonché, il Consiglio di Stato nel parere reso sul predetto regolamento è sembrato condividere solo parzialmente la scelta di riferire il divieto di doppia tassazione soltanto al singolo contribuente. Ed infatti, tale organo, pur prendendo «atto della scelta operata in particolare nel comma 1 di limitare il divieto al singolo contribuente», ha ricordato «tuttavia l’applicabilità del limite generale del divieto della doppia imposizione recato dall’articolo 163 del TUIR, nonché dallo Statuto del contribuente». Di conseguenza, laddove l’adozione di diversi criteri di contabilizzazione possa generare una duplicazione d’imposta, tale duplicazione d’imposta dovrebbe essere scongiurata mediante il ricorso alla predetta disposizione.
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 7/E del 28 febbraio 2011, ha sostenuto che, nel caso di operazioni fra soggetti IAS e non IAS adopter ovvero fra soggetti IAS adopter, «la rilevanza ai fini fiscali, del trattamento riservato all’operazione da ciascuno di essi in base alla corretta applicazione dei propri princìpi contabili ha valenza non assoluta, presupponendo, in linea di principio che dalle operazioni di cui al comma 2 non emergano fenomeni di doppia deduzione ovvero nessuna deduzione di componenti negativi né doppia tassazione ovvero nessuna tassazione di componenti positivi», restando «valido il principio di cui al comma 1 del presente articolo, ancorché lo stesso non sia espressamente richiamato dal comma in esame». La presa di posizione così espressa non sembra condivisibile in quanto disattende non solo l’inequivoca formulazione dell’art. 1 del regolamento, ma anche della relativa relazione illustrativa, ove recita che «si è stabilito – e questa è la scelta qualificante dell’intervento attuato nel comma 1 – che il divieto di doppia tassazione o di doppia deduzione è riferito al singolo contribuente e, in particolare, sia un criterio da seguire nel passaggio dalla disciplina fiscale precedente a quella introdotta con la legge finanziaria 2008» e del parere del Consiglio di Stato, ove recita a sua volta che «la Sezione prende atto della scelta operata in particolare nel comma 1 di limitare il divieto al singolo contribuente». Pertanto, è da ritenere che i soggetti IAS adopter e quelli non IAS adopter debbano applicare il regime fiscale loro proprio, fatta salva la sussistenza dei presupposti per invocare l’applicazione del divieto di doppia imposizione sancito dall’art. 163 del TUIR e della norma antielusiva prevista dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 ovvero, quando non sia utilizzata una delle operazioni ivi elencate, del divieto di abuso del diritto fiscale.
Comunque, proprio per evitare doppie imposizioni e doppie non imposizioni, il comma 3 dell’art. 3 del regolamento ha espressamente derogato il principio di diretta valenza fiscale dei criteri di qualificazione previsti dai princìpi contabili internazionali non solo per le operazioni su attività finanziarie produttive di proventi soggetti a ritenuta o che assicurino crediti d’imposta, ma anche per quelle su azioni e strumenti finanziari similari. Ed infatti, tale disposizione stabilisce che, «fermi restando i criteri di imputazione temporale previsti dagli IAS eventualmente applicati, il regime fiscale è individuato sulla base della natura giuridica delle operazioni: a) quando oggetto delle operazioni di cui sopra siano i titoli di cui all’articolo 85, comma 1, lett. c) e d) del testo unico, anche costituenti immobilizzazioni finanziarie» e cioè le azioni e gli strumenti finanziari similari «con esclusione delle azioni proprie e degli altri strumenti rappresentativi del patrimonio proprio» e «b) quando si tratti di individuare il soggetto cui spetta l’attribuzione di ritenute o di crediti d’imposta».
Per quanto attiene alla ratio della deroga così introdotta la relazione illustrativa si limita a spiegare che «è stata fatta eccezione solo per alcuni istituti di carattere fiscale che per le loro caratteristiche impongono un identico trattamento per tutti i partecipanti, indipendentemente dai criteri contabili adottati (…)», quali «in particolare, il trasferimento dei titoli partecipativi, con esclusione delle azioni proprie e degli altri strumenti rappresentativi del patrimonio, l’imputazione, in generale, delle ritenute e dei crediti per imposte pagate all’estero (…)», senza indicare perché tali istituti impongano un identico trattamento fiscale. È facile intuire però che tale deroga è volta ad evitare che gli utili da partecipazione e le plusvalenze delle azioni e degli strumenti finanziari similari e, quindi, i relativi regimi di parziale non imponibilità siano imputabili contemporaneamente a due soggetti distinti ovvero che non siano imputabili a nessun soggetto, posto che tale doppia imputazione o doppia non imputazione potrebbe dar luogo a salti d’imposta o a duplicazioni d’imposta.
L’individuazione del regime fiscale delle operazioni aventi ad oggetto azioni e strumenti finanziari similari sulla base della loro natura giuridica implica che occorre dare prevalenza alle qualificazioni giuridiche rispetto a quelle contabili. Di conseguenza, per stabilire quando tali attività finanziarie si devono considerare trasferite si deve tornare ad aver riguardo al trasferimento della proprietà o altro diritto reale, invece che al trasferimento dei relativi rischi e benefici economici.
Secondo il comma 3 dell’art. 3 del regolamento deve essere individuato sulla base della loro natura giuridica il regime fiscale di tutte le «operazioni di cui sopra» aventi oggetto azioni e strumenti finanziari similari e, quindi, tanto quelle poste in essere fra società IAS adopter e non IAS adopter, quanto quelle poste in essere fra soggetti IAS adopter, posto che il precedente comma 2 prende in considerazione entrambe le tipologie di operazioni.
Tale principio sembra innanzitutto applicabile alle operazioni che diano luogo al trasferimento della proprietà o di altro diritto reale sui predetti strumenti, non potendosi dubitare che le operazioni così individuate abbiano ad oggetto azioni e strumenti finanziari. Pertanto, il regime fiscale non solo delle cessioni a pronti, ma anche di quelle a termine di azioni e strumenti finanziari similari deve essere individuato avendo riguardo alla natura giuridica delle predette operazioni.
Peraltro, il principio della prevalenza della natura giuridica sancito dal comma 3 dell’art. 3, del TUIR sembra da ritenere valido anche per le operazioni che, pur non dando luogo al trasferimento della proprietà o di altro diritto reale su azioni o strumenti similari, ne comportino il trasferimento secondo i princìpi contabili IAS in quanto consentano di trasferire a carico di altri soggetti i relativi rischi e benefici economici quali, ad esempio, i derivati su questi medesimi strumenti finanziari. È evidente infatti che, nel caso in cui tali operazioni siano poste in essere fra società IAS adopter e soggetti non IAS adopter, ben si potrebbero verificare salti o duplicazioni d’imposta. Da ciò deriva che, qualora una società IAS adopter mantenga la proprietà di azioni o strumenti finanziari similari, ma trasferisca i relativi rischi e benefici economici ad altra società mediante un derivato, tali strumenti finanziari agli effetti fiscali non devono considerarsi come ceduti.
Per contro, è da escludere che il principio di prevalenza della natura giuridica risulti operante anche per le operazioni diverse dalle «operazioni di cui sopra» e cioè da quelle intercorrenti fra soggetti IAS adopter e non IAS adopter, nonché fra soggetti IAS adopter. Pertanto, nel caso in cui una società IAS adopter si limiti a detenere azioni o strumenti similari cli cui abbia acquisito i rischi e benefici economici i relativi proventi devono essere imputati alla formazione dell’imponibile IRES secondo i criteri stabiliti dai princìpi contabili internazionali.
Di questo avviso si è mostrata l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 7/E, laddove ha sottolineato come essa «non sia riferibile a tutte le operazioni riguardanti azioni e titoli similari, ma solo a quelle che contemplino il trasferimento, totale o parziale, dei diritti connessi a titoli partecipativi di cui alle lettere c) e d) dell’art. 85 del TUIR» in quanto «è solo con riferimento a queste . . . che la citata relazione di accompagnamento stabilisce che “non rilevano i (. . .) criteri di “derecognition” ma la nozione giuridica di realizzo ordinariamente applicabile ai soggetti non IAS».
Il comma 3 dell’art. 3 del regolamento per le operazioni aventi ad oggetto azioni e strumenti finanziari similari fa salvi i criteri di imputazione temporale previsti dai princìpi contabili internazionali. Sebbene tale disposizione non rechi un’espressa limitazione in questo senso, è da ritenere che tali criteri siano fatti salvi soltanto nel caso in cui non sussista l’obbligo di individuare il regime fiscale delle operazioni così individuate sulla base della loro natura giuridica. È evidente infatti che altrimenti si legittimerebbe un’inammissibile commistione fra criteri fra di loro confliggenti in quanto si dovrebbe far riferimento ai princìpi contabili internazionali (o ai princìpi giuridici) per l’individuazione dei criteri d’imputazione temporale di proventi che non potrebbero considerarsi come realizzati secondo questi medesimi princìpi contabili (o princìpi giuridici).
A questa conclusione sembra pervenire anche l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 7/E. Si legge infatti nel par. 4.4. di tale circolare che «diversamente, nell’ipotesi di operazioni – aventi anch’esse ad oggetto i titoli partecipativi di cui alla lettera a) del citato comma 3 dell’articolo 3 del Regolamento IAS – la cui rappresentazione contabile IAS compliant comporti esclusivamente una differente imputazione temporale dei relativi componenti reddituali rispetto a quanto previsto dalla rappresentazione giuridico formale, si ritiene che il regime fiscale sia individuato sulla base delle qualificazioni, classificazioni ed imputazioni temporali previste dagli IAS/ IFRS».
L’applicabilità del principio della prevalenza della natura giuridica, come si è visto, è espressamente esclusa dal comma 3 dell’art. 3 del regolamento per le azioni proprie e gli altri strumenti rappresentativi del capitale proprio.
Com’è ben noto, agli effetti dell’IRES, le operazioni di acquisto e vendita di azioni proprie sono considerate come operazioni di cessione a titolo oneroso e possono quindi comportare il realizzo di plusvalenze e minusvalenze. Lo presuppone implicitamente l’art. 82 del TUIR, laddove considera come produttiva di plusvalenze la cessione obbligatoria di azioni proprie, statuendo che «alle plusvalenze imponibili relative alle azioni o quote alienate a norma degli art. 2357, quarto comma, 2357-bis, secondo comma, e 2359-ter, del codice civile e a norma dell’articolo 121 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, si applicano le disposizioni del comma 4 dell’articolo 86».
Tant’è vero che l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto applicabile ai sensi dell’art. 87 del TUIR il regime della PEX anche alla vendita di azioni proprie. Nella Circolare 4 agosto 2004, n. 36/E, è infatti precisato che «anche le plusvalenze relative al realizzo di azioni proprie sono ammesse al regime della participation exemption, a condizione che ricorrano tutti i requisiti previsti dall’art. 87 (ed, in particolare, quelli relativi alla durata minima del possesso ed alla classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie)».
Per contro, le operazioni di acquisto e vendita di azioni proprie sono considerate come operazioni sul capitale dai princìpi contabili internazionali e non comportano quindi il realizzo di plusvalenze e minusvalenze. Stabilisce, infatti, il par. 33 dello IAS 32 che «qualora un’entità riacquisti propri strumenti rappresentativi di capitale, quegli strumenti (“azioni proprie”) devono essere dedotti dal capitale» e che «nessun utile o perdita deve essere rilevato nel prospetto di conto economico complessivo all’acquisto, vendita, emissione o cancellazione degli strumenti rappresentativi di capitale di un’entità».
Ebbene, il comma 3 dell’art. 3 del regolamento, escludendo l’applicabilità del principio di prevalenza della natura giuridica alle operazioni su azioni proprie e strumenti rappresentativi del proprio patrimonio, ha evidentemente inteso dare rilevanza ai princìpi contabili internazionali per individuare il trattamento fiscale di tali operazioni. Ed infatti, già la relazione illustrativa dell’emendamento introduttivo dei commi da 58 a 60 dell’art. 1 della legge n. 244, dopo aver rilevato che «anche le operazioni di acquisto e vendita di azioni proprie sono equiparate, ai sensi dello IAS 32, ad estinzione e nuovi emissioni» e che «all’atto dell’acquisto si deve procedere alla riduzione diretta del patrimonio netto, mentre al momento della vendita si deve procedere al suo incremento», aveva concluso che «la descritta rappresentazione di bilancio (…) assume rilevanza anche ai fini fiscali». Pertanto, per le società IAS adopter, la vendita di azioni proprie in portafoglio deve ritenersi soggetta al regime delle operazioni di aumento di capitale, mentre l’acquisto di azioni proprie a quello delle operazioni di riduzione di capitale.
Naturalmente resta inteso che, nel caso in cui l’operazione di acquisto o di vendita di azioni proprie sia posta in essere fra una società IAS adopter e un soggetto non IAS adopter, il secondo, tanto nel caso in cui sia obbligato alla redazione del bilancio, quanto nel caso in cui non lo sia, può considerare tale operazione come una cessione a titolo oneroso, anche se la prima la consideri come un’operazione sul capitale. Lo prevede espressamente per i soggetti tenuti alla redazione del bilancio il comma 2 dell’art. 3 del regolamento, ove statuisce che «nel caso di operazioni fra soggetti che redigono il bilancio in base agli IAS e soggetti che non li applicano la rilevazione e il trattamento ai fini fiscali di tali operazioni sono determinati, per ciascuno dei predetti soggetti, sulla base della corretta applicazione dei princìpi contabili da essi adottati». D’altro canto, lo lascia implicitamente intendere per i soggetti non tenuti alla redazione del bilancio il precedente comma 1 di questo medesimo articolo. Ed infatti, tale disposizione, nello stabilire a sua volta che «il riconoscimento ai fini fiscali dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio adottati in base alla corretta applicazione degli IAS non determina, in ogni caso» solo «in capo al medesimo soggetto passivo d’imposta doppia deduzione ovvero nessuna deduzione di componenti negativi», ammette che in capo a soggetti diversi possano verificarsi salti o duplicazioni d’imposta e che, quindi, ciascuno possa applicare il regime fiscale di appartenenza.
Indipendentemente dalle considerazioni che precedono, deve essere individuato sulla base della natura giuridica il soggetto che ha diritto allo scomputo delle ritenute o dei crediti d’imposta in relazione ai proventi conseguiti tramite azioni, quote e strumenti finanziari similari in forza del comma 3 dell’art. 3 del regolamento. Il principio ivi sancito secondo cui «il regime fiscale è individuato sulla base della natura giuridica delle operazioni . . . quando si tratti di individuare il soggetto a cui spetta l’attribuzione di ri tenute o di crediti d’imposta» non può che risultare operante anche per i proventi così individuati, sebbene non derivino da operazioni su azioni, quote o strumenti similari intercorrenti fra soggetti IAS e non IAS adopter o fra soggetti IAS adopter, non solo perché la predetta disposizione è di portata generale, ma anche perché sarebbe illogico prevedere un diverso regime per tali proventi rispetto agli altri. Di conseguenza, le società IAS adopter devono ritenersi legittimate a scomputare le ritenute od i crediti d’imposta per imposte pagate all’estero in relazione ai proventi delle azioni, quote o strumenti similari loro giuridicamente spettanti, anche se i princìpi contabili internazionali non le consentano di rilevarli, in tutto od in parte, a conto economico.
2. Art. 87 del TUIR: Plusvalenze Esenti
2.1. Il regime di esenzione delle plusvalenze delle partecipazioni
Per evitare la doppia imposizione degli utili di impresa l’art. 87 del TUIR accorda uno speciale regime di esenzione, ovverosia il regime della PEX, a favore di tutte le società e, quindi, sia quelle lAS adopter, che quelle non IAS adopter per le plusvalenze realizzate mediante strumenti di natura partecipativa. Tali utili sconterebbero un’integrale doppia imposizione se anche le plusvalenze realizzate mediante i predetti strumenti concorressero alla formazione dell’imponibile IRES in quanto, dopo essere stati assoggettati ad IRES come utili di impresa a carico delle società che li abbia prodotti, non risultando deducibili dall’imponibile IRES, sarebbero nuovamente assoggettati a questa medesima imposta come plusvalenze a carico dei soci. Le plusvalenze degli strumenti partecipativi sono, infatti, generate dalla capitalizzazione degli utili accantonati dalla società emittente e da quelli futuri.
L’applicazione del regime della PEX è prevista per le sole plusvalenze realizzate mediante strumenti finanziari che, essendo di natura partecipativa, sono produttivi di utili che possono essere soggetti ad una doppia imposizione, non risultando deducibili dall’imponibile IRES. Ed infatti, se da un lato il comma 1 dell’art. 87 del TUIR considera «esenti nella misura del 95 per cento le plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell’art. 86, commi 1, 2 e 3 relativamente ad azioni o quote di partecipazioni in società ed enti indicati nell’art. 5, escluse le società semplici e gli enti alle stesse equiparate, e nell’art. 73, comprese quelle non rappresentate da titoli», dall’altro lato, il successivo comma 3 estende tale esenzione anche «alle plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell’art. 86, commi 1, 2 e 3, relativamente alle partecipazioni al capitale o al patrimonio, ai titoli e agli strumenti finanziari similari alle azioni ai sensi dell’articolo 44, comma 2, lett. a) ed ai contratti di cui all’art. 109, comma 9, lett. b)». Di conseguenza, il predetto regime può essere fruito per le sole plusvalenze realizzate mediante azioni o quote di partecipazione in società di persone commerciali ed enti assimilati residenti ed in società ed enti soggetti ad IRES, nonché partecipazioni emesse da società ed enti non residenti, strumenti finanziari similari alle azioni di qualunque tipo e contratti di associazione in partecipazione.
Anche in questo caso è da ritenere che, per l’individuazione degli strumenti finanziari per i quali le società IAS adopter possono fruire del regime della PEX, debba farsi riferimento alle qualificazioni fiscali e non a quelle desumibili dai princìpi contabili IAS e, quindi, alla definizione fiscale di azioni e strumenti finanziari similari fornita dalla lett. a) dell’art. 44, comma 2, del TUIR. Ciò non solo per le ragioni già indicate nel par. 1.1. in sede di commento del precedente art. 85 del TUIR alle quali si fa perciò rinvio, ma anche per la ragione che, in caso contrario, tali società potrebbero fruire di un’integrale esenzione degli utili d’impresa in quanto, in tal caso, potrebbero essere considerate esenti anche le plusvalenze realizzate mediante strumenti finanziari la cui remunerazione sia integralmente deducibile dall’imponibile IRES della società emittente.
Sono considerate esenti dal comma 1 dell’art. 87 del TUIR le plusvalenze degli strumenti partecipativi di natura finanziaria «realizzate e determinate ai sensi dell’art. 86 commi 1, 2 e 3 del TUIR» ovverosia quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso, assegnazione ai soci o destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Anche in questo caso per l’individuazione di queste diverse fattispecie di realizzo non può che farsi riferimento anche per le società IAS adopter alle qualificazioni fiscali posto che, come si è visto, il comma 3 dell’art. 3 del regolamento ha stabilito che per le operazioni aventi ad oggetto azioni, quote e strumenti finanziari «il regime fiscale è individuato sulla base della natura giuridica» di tali operazioni.
Gli strumenti finanziari di natura partecipativa precedentemente individuati tanto se siano posseduti da società IAS adopter, quanto se siano posseduti da società non IAS adopter possono qualificarsi per l’applicazione del regime della PEX ai sensi dell’art. 87 del TUIR al ricorrere dei quattro distinti requisiti ivi previsti e cioè: «a) ininterrotto possesso dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione (…); b) classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso; c) residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’art. 168-bis, o, alternativamente, l’avvenuta dimostrazione, a seguito dell’esercizio dell’interpello (…) che dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli individuati nel medesimo decreto di cui all’art. 168-bis; d) esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale secondo la definizione di cui all’art. 55».
Per la verifica della sussistenza del requisito del possesso ininterrotto delle partecipazioni anche per le società IAS adopter, al pari che per quelle non IAS adopter, non può che farsi riferimento alle qualificazioni fiscali posto che il comma 3 dell’art. 3 del regolamento, come si è più volte rilevato, impone di individuare sulla base della loro natura giuridica «il regime delle operazioni» e, quindi, non solo i presupposti d’imponibilità, ma anche i presupposti di esenzione. Di conseguenza, le società IAS adopter devono ritenersi legittimate a fruire del regime PEX anche se, pur avendo mantenuto il possesso delle partecipazioni, le abbiano eliminate dall’attivo dello stato patrimoniale in quanto abbiano trasferito i relativi rischi e benefici a terzi.
Per contro, per le società IAS adopter il requisito relativo alla classificazione degli strumenti finanziari di natura partecipativa nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie, non prevedendo i princìpi contabili internazionali siffatta categoria, si deve ritenere soddisfatto ogniqualvolta tali strumenti non si possano considerare come acquisiti per la negoziazione in forza dello IAS 39. Il comma 3-bis dell’art. 85 del TUIR, come già si è rilevato, per le predette società qualifica come «immobilizzazioni finanziarie gli strumenti finanziari diversi da quelli detenuti per la negoziazione» e cioè da quelli che, secondo i princìpi contabili internazionali, si devono reputare come detenuti per la negoziazione. Pertanto, le società IAS adopter che abbiano acquisito il possesso di strumenti finanziari partecipativi non destinati alla negoziazione, ma non li abbiano iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale, perché non ne abbiano acquisito i relativi rischi e benefici economici, sembrano comunque legittimate a fruire del regime della PEX sulle plusvalenze realizzate mediante la loro cessione.
Poiché la lett. b) del comma 1 dell’art. 87 del TUIR per le società non IAS adopter attribuisce rilevanza esclusiva alla classificazione degli strumenti finanziari partecipativi nel primo bilancio chiuso nel periodo di possesso, sembra logico ritenere che, coerentemente, per le società IAS adopter la detenzione per la negoziazione debba essere verificata nel primo bilancio chiuso nel periodo di possesso. È chiaro infatti che, diversamente argomentando, si legittimerebbe una disparità di trattamento posto che, per le seconde, il cambio di classificazione assumerebbe rilevanza, mentre per le prime rileverebbe solo la prima classificazione.
3. Art. 89: Dividendi ed Interessi
3.1. L’integrale imponibilità dei dividendi derivanti da azioni, quote di partecipazione e strumenti finanziari similari
Per evitare che gli utili derivanti dalla partecipazione a società ed enti soggetti ad IRES siano assoggettati due volte a tale imposta e cioè una prima volta, come utili di impresa, a carico della società distributrice, ed una seconda volta come dividendi, a carico dei percipienti, il comma 2 dell’art. 89 del TUIR esclude da IRES «gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione (…) dalle società ed enti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a), b) e c)» fino a concorrenza del 95% del relativo ammontare. Il comma 3 estende poi tale regime di esclusione anche «agli utili provenienti dai soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. d)» e cioè da società ed enti non residenti, nonché «alle remunerazioni derivanti da contratti di cui all’art. 109, comma 9, lett. b), stipulati con tali soggetti, se diversi da quelli residenti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adottato ai sensi dell’art. 167, comma 4, o, se ivi residenti, relativamente ai quali, a seguito dell’esercizio dell’interpello secondo le modalità del comma 5, lett. b), dell’art. 167, siano rispettate le condizioni di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 87».
Senonché il comma 2-bis dell’art. 89 del TUIR «in deroga al comma 2» prevede che, per le società IAS compliant, «gli utili distribuiti relativi ad azioni, quote e strumenti finanziari similari alle azioni detenuti per la negoziazione concorrono per il loro intero ammontare alla formazione del reddito nell’esercizio in cui sono percepiti». Sebbene tale disposizione deroghi espressamente il solo comma 2, essa è da ritenere operante anche per il successivo comma 3.
L’introduzione di un regime di integrale rilevanza fiscale dei dividendi secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa dell’emendamento introduttivo del comma 58 dell’art. 1 della legge n. 244 trova giustificazione in esigenze di semplificazione del regime impositivo. Nella predetta relazione illustrativa è, infatti, precisato che «al fine di eliminare la normativa in materia di indeducibilità delle minusvalenze da cessione su titoli (c.d. dividend washing), che si è rilevata foriera di rilevanti complicazioni e di rendere maggiormente coerente il regime impositivo delle partecipazioni, con le modifiche proposte dalle lett. d) ed e) si provvede a disapplicare per i soli soggetti IAS i commi 3-bis, 3-ter e 3-quater dell’art. 109 del TUIR, che ne disciplinano l’applicazione e a introdurre nuove disposizioni, ancora più efficaci che, per le partecipazioni di trading quotate e non, attribuisce rilevanza fiscale ai maggiori o minori valori iscritti e stabilisce l’integrale tassazione dei dividendi», così da superare «il vigente regime che comporta la necessità di una gestione di doppi valori (contabili e fiscali)». In sostanza, poiché le società IAS adopter incontravano notevoli difficoltà ad applicare le norme antielusive in materia di indeducibilità dei componenti negativi di reddito derivanti dalla cessione di strumenti finanziari di natura partecipativa il legislatore ha escluso l’applicabilità di tali norme nei loro confronti, ma al tempo stesso ha inteso evitare che possano verificarsi i fenomeni elusivi che tali norme erano volte a colpire mediante l’introduzione di un regime di integrale imposizione non solo dei maggiori valori iscritti, ma anche dei dividendi. Ed infatti, le società IAS adopter che cedano strumenti finanziari di natura partecipativa detenuti per la negoziazione subito dopo la distribuzione dei dividendi non possono più imputare alcuna differenza negativa a riduzione dell’imponibile IRES per il fatto che le minusvalenze integralmente deducibili generate dalla distribuzione medesima trovano contropartita nel conseguimento di dividendi integralmente imponibili.
Comunque, si è ritenuta «più razionale e anche più efficace per l’erario una disciplina che assoggetti allo stesso trattamento fiscale gli utili che derivano dalla partecipazione sia se distribuiti come dividendi dalla partecipata sia se realizzati mediante cessione della partecipazione o se imputati a conto economico in contropartita della rivalutazione della partecipazione stessa». Ed infatti, «se si parte dal presupposto che per i titoli di trading dei soggetti che adottano gli IAS si dà rilevanza fiscale al fair value con cui questi titoli sono valutati nel conto economico, assoggettando a tassazione i maggiori valori iscritti oltreché la deducibilità dei minori valori, è giocoforza attribuire rilevanza impositiva anche ai dividendi: ciò in deroga alla disciplina generale dell’art. 89 del TUIR» per il fatto che «se risultano tassati presso il socio gli utili prodotti dalla società partecipata a prescindere dalla loro distribuzione» per effetto della rilevanza fiscale della valutazione al fair value degli strumenti finanziari «non può non assumere rilevanza fiscale anche il dividendo distribuito che rappresenta un posterius dell’anzidetta tassazione: rilevanza che deve essere evidentemente realizzata attraverso l’assunzione a reddito del dividendo imputato a conto economico e la deduzione del minor valore della partecipazione che deriva dallo stacco».
Le giustificazioni addotte per motivare la scelta di considerare sempre fiscalmente rilevanti i componenti di reddito generati dagli strumenti finanziari di natura partecipativa sono tutt’altro che soddisfacenti.
Innanzitutto le rilevanti complicazioni di cui le norme antielusive in materia di indeducibilità delle minusvalenze derivanti dalla cessione di tali strumenti erano foriere per le società IAS adopter giustificavano sì un intervento legislativo, ma non certo una deroga al sistema generale d’imposizione dei dividendi per le sole società così individuate. È illogico introdurre una deroga al predetto regime per taluni soggetti solo perché vi sono norme che risultano foriere di complicazioni nei loro confronti, in quanto mal congegnate.
Inoltre, è sicuramente vero che è più razionale «Una disciplina che assoggetti allo stesso trattamento fiscale gli utili che derivano dalla partecipazione» e che, quindi, consideri integralmente imponibili i dividendi, qualora siano considerate integralmente imponibili le rivalutazioni delle partecipazioni. Tuttavia non è sicuramente vero anche che un regime di integrale rilevanza fiscale dei componenti di reddito generati dagli strumenti finanziari di natura partecipativa destinati alla negoziazione è più razionale di un regime di integrale irrilevanza fiscale di tali componenti in quanto sovverte completamente il sistema di tassazione dei dividendi, legittimandone una sistematica doppia imposizione economica.
Com’è ben noto, nel caso in cui una società od ente residente soggetto ad IRES venda ad altra società od ente residente soggetto ad IRES azioni cum cedola e, quindi, dopo che sia stata deliberata la distribuzione dei dividendi, ma prima che siano messi in pagamento dalla società emittente, tali dividendi sono soggetti ad una integrale doppia imposizione: una prima volta, sotto forma di utili d’impresa, a carico della società emittente che li abbia prodotti, ed una seconda volta, sotto forma di plusvalenze di negoziazione, a carico del venditore. I dividendi non possono infatti essere imputati al venditore e scorporati quindi dalle plusvalenze da lui realizzate, al pari degli interessi e degli altri proventi finanziari, in quanto, essendo imponibili per cassa e non per competenza, sono imputabili a colui che li incassi della società emittente2.
Tuttavia, la doppia imposizione dei dividendi gravante a carico del venditore è controbilanciata dal riconoscimento al compratore ai sensi del comma 2 dell’art. 89 del TUIR dell’esclusione da IRES del 95% dei dividendi che sarebbe spettata al primo se avesse venduto le azioni al secondo soltanto dopo aver incassato i dividendi. Quest’ultima disposizione accorda, infatti, tale esclusione alle società ed enti residenti soggetti ad IRES che abbiano incassato i dividendi, indipendentemente dal fatto che li abbiano economicamente maturati. Di conseguenza, possono fruire di tale esclusione anche le società che abbiano acquistato le azioni cum cedola dopo la chiusura del periodo d’imposta nel corso del quale i dividendi siano maturati.
Senonché, in condizioni ordinarie di mercato, il riconoscimento dell’esclusione da IRES al compratore consente al venditore di evitare una doppia imposizione dei dividendi tramite la traslazione economica del relativo risparmio d’imposta. Ed infatti, il venditore, avendo messo in condizione il compratore di fruire dell’esclusione da IRES sui dividendi tramite la vendita delle azioni, ha titolo a farsi retrocedere il relativo controvalore tramite il riconoscimento di una corrispondente maggiorazione del prezzo di vendita delle azioni. Il primo può pertanto riuscire a scongiurare la doppia imposizione dei dividendi, proprio compensando l’onere derivante dal pagamento dell’imposta sulle plusvalenze con la maggiorazione di prezzo a lui riconosciuta dal secondo.
È significativo rilevare che la stessa disciplina dei mercati regolamentati gestiti da Borsa Italiana dà per presupposto che il venditore, in condizioni ordinarie di mercato, abbia titolo a farsi retrocedere il controvalore di eventuali risparmi d’imposta connessi ai dividendi. L’art. IA. 4.3.1 delle Istruzioni al regolamento di tali mercati stabilisce, infatti, che «qualora i contratti di compravendita non siano liquidati nel termine previsto per mancanza di titoli e intercorra un’operazione di distribuzione di dividendi, il venditore è tenuto a consegnare il titolo ex dividendo e a riconoscere all’acquirente un importo monetario, pari al dividendo non percepito da quest’ultimo, maggiorato di una percentuale che tenga conto degli effetti economici correlati al pagamento dei dividendi, ivi inclusi quelli fiscali». In sostanza, nel caso in cui il venditore di un’azione cum cedola, non consegni l’azione per mancanza di titoli, il prezzo di vendita deve essere rettificato non solo dell’importo dei dividendi, ma anche del controvalore del risparmio d’imposta generato dall’incasso dei dividendi proprio per il fatto che tale prezzo dovrebbe includere anche il controvalore del risparmio d’imposta di cui avrebbe altri menti potuto fruire il compratore.
Da quanto precede emerge dunque che, nel caso in cui una società od ente residente soggetto ad IRES venda ad altra società od ente residente soggetto a tale imposta azioni cum cedola, l’esclusione da IRES dei dividendi consente non già al compratore di lucrare l’imposta prelevata sugli utili di impresa, bensì al venditore delle azioni cum cedola di evitare una doppia imposizione economica dei dividendi, facendosi retrocedere il relativo risparmio d’imposta grazie ad una corrispondente maggiorazione del prezzo di vendita. Pertanto, in tal caso, il compratore, pur fruendo giuridicamente dell’esclusione da IRES, non ne fruisce anche economicamente, essendo il relativo risparmio d’imposta controbilanciato da una maggiorazione del prezzo di acquisto delle azioni.
Soltanto qualora il prezzo a cui le azioni siano poste in vendita non riflettesse il controvalore del risparmio d’imposta derivante dall’esclusione da IRES dei dividendi, gli operatori, tramite il loro acquisto, potrebbero realizzare un guadagno di importo pari alla differenza. Peraltro tale guadagno avrebbe natura economica e non fiscale, derivando dalla non rispondenza di detto prezzo al prezzo determinabile secondo ordinarie condizioni di mercato. Di conseguenza gli operatori che acquistino le azioni per realizzare tale guadagno pongono in essere un’opera zione di arbitraggio finanziario e non fiscale.
Tanto considerato, non v’è dubbio che il disconoscimento dell’esclusione da IRES dei dividendi e la conseguente integrale imponibilità dei dividendi, nel caso in cui gli strumenti finanziari di natura partecipativa siano venduti cum cedola da una società ed ente soggetto ad IRES ad altra società od ente soggetto ad IRES, comporta il definitivo consolidamento della doppia imposizione degli utili potenzialmente gravante a carico del venditore in quanto non consente al secondo di imputare a riduzione dell’imponibile una minusvalenza o perdita che controbilanci la plusvalenza imponibile realizzata dal primo. Inoltre, anche nel caso in cui gli strumenti finanziari partecipativi siano stati acquistati ex cedola, il disconoscimento dell’esclusione da IRES comporta una doppia imposizione economica dei dividendi riscossi dal compratore successivamente all’acquisto per il fatto che tali dividendi, dopo esser stati assoggettati ad IRES a carico delle società distributrici, come utili d’impresa, sono nuovamente assoggettati ad IRES a suo carico, come dividendi. In conclusione, i dividendi degli strumenti di natura partecipativa di trading posseduti da società residenti IAS adopter sono sistematicamente soggetti ad un’integrale doppia imposizione economica.
Ma v’è di più. L’introduzione di un regime di integrale rilevanza fiscale dei componenti di reddito derivanti dagli strumenti finanziari di natura partecipativa nei confronti delle società IAS adopter non può neppure risultare giustificata dall’adozione di tali princìpi. L’adozione di un diverso sistema contabile, se può giustificare l’applicazione di diversi criteri di determinazione dell’imponibile, non può giustificare anche un diverso sistema di tassazione dei dividendi in quanto, comportando la scelta di diverse modalità di rappresentazione del risultato economico della società, non può sottendere una diversa manifestazione di capacità contributiva. Le considerazioni esposte legittimano, dunque, il dubbio che il regime d’integrale rilevanza fiscale dei componenti di reddito derivanti da strumenti finanziari partecipativi introdotto per le società IAS adopter comporti nei loro confronti un trattamento ingiustificatamente penalizzante.
3.2. Il regime fiscale delle operazioni di pronti contro termine, riporto e prestito di azioni e strumenti finanziari similari
Il comma 6 dell’art. 89 del TUIR detta una disciplina fiscale specifica per le operazioni di riporto e pronti contro termine su obbligazioni e strumenti finanziari similari. In particolare, tale disposizione considera le operazioni così individuate come un duplice prestito incrociato di denaro e di titoli. Ed infatti, se da un lato il primo periodo di questa stessa disposizione considera titolare dei titoli e, quindi, degli interessi maturati medio tempore sui titoli sottostanti, il compratore a pronti e rivenditore a termine, statuendo che «gli interessi derivanti da obbligazioni e titoli similari acquisiti in base a contratti pronti contro termine che prevedono l’obbligo di rivendita a termine dei titoli, concorrono a formare il reddito del cessionario per l’ammontare maturato nel periodo di durata del contratto», dall’altro lato, il successivo secondo periodo considera come un onere di carattere finanziario la differenza fra il prezzo di vendita a pronti ed il prezzo di riacquisto a termine, ove a sua volta statuisce che «la differenza positiva o negativa tra il corrispettivo a pronti e quello a termine, al netto degli interessi maturati sulle attività oggetto dell’operazione nel periodo di durata del contratto, concorre a formare il reddito per la quota maturata nell’esercizio».
L’applicabilità del comma 6 dell’art. 89 del TUIR è stata fin dall’origine espressamente estesa anche alle operazioni di pronti contro termine, riporto e prestito di azioni e strumenti finanziari similari dall’art. 7 del D.L. 8 gennaio 1996, n. 6, convertito dalla legge 6 marzo 1996, n. 110. Recita, infatti, tale disposizione che «per contratto di finanziamento in valori mobiliari si intende il contratto di mutuo di valori mobiliari garantito, nonché ogni altro contratto che persegue le medesime finalità economiche. A tali contratti si applicano le disposizioni contenute negli articoli 56, primo periodo del comma 3-ter (ora comma 6 dell’art. 89 del TUIR), e 61, comma 1-bis, del TUIR (ora comma 2 dell’art. 94)». Secondo quanto precisato dal Governo nella relativa relazione illustrativa, visto che «è possibile perseguire le finalità del prestito titoli attraverso il ricorso a diversi istituti giuridici (ispirati, ad esempio, al mutuo, al riporto ovvero al contratto di pronti contro termine), nei quali comunque il corrispettivo a fronte dell’ottenuta disponibilità dei titoli, ove previsto, assuma esclusivamente funzione di garanzia dell’operazione», ha chiarito che «si prevede che alle operazioni di prestito di titoli» e, quindi, anche alle operazioni di pronti contro termine e riporto che perseguano le medesime finalità economiche «siano applicate le disposizioni previste dal TUIR per i contratti di contro pronto termine» e che pertanto «considerato che i titoli oggetto di finanziamento sono destinati a circolare, i relativi proventi ed il connesso scomputo delle ritenute, ove consentito non possono che essere attribuiti all’effettivo possessore dei titoli medesimi».
Senonché il trattamento così stabilito è derogatorio non solo dei princìpi contabili internazionali, ma anche dei princìpi contabili nazionali, per il fatto che tanto gli uni quanto le altre considerano le operazioni di pronti contro termine, riporto e prestito di titoli come operazioni di prestito di denaro garantito da titoli. Ed infatti, se da un lato il par. AG 40 dello IAS 39 esclude che le attività finanziarie possano essere eliminate dal bilancio qualora costituiscano oggetto di «un’operazione di vendita e di riacquisto (retrocessione) dove il prezzo di riacquisto è un prezzo fisso o il prezzo di vendita più il rendimento del finanziatore» ovvero di «un accordo di prestito di titoli», dall’altro il Codice civile stabilisce, all’art. 2424-bis, che «le attività oggetto di contratti di compravendita con obbligo di retrocessione devono essere iscritte nello Stato Patrimoniale del venditore» e al successivo art. 2425-bis che «i proventi e gli oneri delle operazioni di compravendita con obbligo di retrocessione a termine, ivi compresa la differenza fra prezzo a termine e prezzo a pronti devono essere iscritti per le quote di competenza dell’esercizio». La questione che dunque si pone è se l’attribuzione di diretta rilevanza fiscale ai criteri di qualificazione previsti dai princìpi contabili internazionali non imponga di attribuire diretta rilevanza fiscale ai criteri di contabilizzazione delle operazioni di pronti contro termine, riporto e prestito di strumenti finanziari partecipativi.
Ebbene il comma 4 dell’ar t. 3 del regolamento ha chiaramente risolto tale questione in senso negativo. Tale disposizione ha fatto salva in via espressa l’applicazione proprio dell’«art. 89, comma 6, del TUIR con riferimento agli interessi, dividendi ed altri proventi dei titoli acquisiti, sotto il profilo giuridico, in base ai rapporti di cui alle lett. g-bis) e g-ter) dell’art. 44, comma 1, del TUIR» ovverosia i rapporti di pronti contro termine e riporto su titoli, nonché di prestito di titoli garantito. Di conseguenza, rimane confermato che, anche per le società IAS adopter, i dividendi e gli altri proventi divenuti esigibili medio tempore sugli strumenti finanziari di natura partecipativa oggetto di tali operazioni devono ritenersi imputabili al compratore a pronti e rivenditore a termine. La scelta così operata si giustifica pienamente in quanto le disposizioni che disciplinano il regime fiscale delle operazioni così individuate hanno carattere speciale rispetto alla disposizione del comma 1 dell’art. 83 del TUIR che attribuisce in via generale valenza fiscale ai criteri di qualificazione IAS.
Nella formulazione originaria dell’ultimo comma dell’art. 3 del regolamento era stata inserita un’espressa clausola di salvezza dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 ed erano state specificate «le condizioni per l’applicabilità di quanto disposto nei commi 3 e 4 in caso di distribuzione dei proventi o ritenute o crediti d’imposta ivi previsti a soggetti diversi dal beneficiario».
Senonché il Consiglio di Stato nel suo parere aveva sostenuto che la prima disposizione esorbitasse dall’oggetto del regolamento che non poteva porre vincoli all’apprezzamento di manovre elusive in sede di accertamento, mentre la seconda dovesse trovare collocazione in una norma primaria, avendo valenza generale. Accogliendo l’invito del Consiglio di Stato, il Governo ha così riformulato il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, «nel caso dei rapporti di cui alle lettere g-bis) e g-ter) del comma 1 dell’art. 44 del TUIR (…) e delle operazioni che producono analoghi effetti economici, al soggetto cui si imputano i dividendi, gli interessi e gli altri proventi, si applica il regime previsto dall’art. 89, comma 2, del medesimo testo unico (…) ovvero spettano l’attribuzione di ritenute o il credito per imposte pagate all’estero, soltanto se tale regime, ovvero l’attribuzione delle ritenute o il credito per imposte pagate all’estero, sarebbe spettato al beneficiario effettivo dei dividendi, degli interessi e degli altri proventi».
Poco chiaro risulta quando il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 461 sia destinato ad operare. Non v’è dubbio, infatti, che, agli effetti fiscali, il beneficiario effettivo dei proventi dei titoli oggetto delle predette operazioni è il contribuente che li abbia acquistati a pronti per poi rivenderli a termine, non solo perché tali contratti comportano il trasferimento della piena proprietà dei titoli, ma anche e soprattutto perché, per l’espresso disposto del comma 6 dell’art. 89 del TUIR, sono considerati a lui imputabili a questi medesimi effetti. Tuttavia è evidente che, se dovesse essere così interpretata, sarebbe da considerare come inutiliter data. Pertanto, sembra logico concludere che essa sia volta a precludere la fruizione dell’esclusione da IRES, delle ritenute e del credito d’imposta, allorché il contribuente che sarebbe risultato beneficiario effettivo dei proventi dei titoli, non avrebbe avuto titolo a fruirne, se non li avesse concessi a riporto, pronti contro termine ovvero prestito.
4. Art. 94: Valutazione dei titoli
Il comma 1 dell’art. 94 del TUIR estende in via espressa l’applicabilità delle disposizioni che disciplinano la determinazione del valore minimo delle merci anche ai titoli indicati nelle lett. c), d) ed e) e, quindi, ai titoli di debito in serie e di massa ed a quelli partecipativi che non siano qualificabili come immobilizzazioni finanziarie. Di conseguenza, anche le rimanenze finali di tali titoli devono essere assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinabile mediante il metodo del LIFO a scatti annuali ovvero il FIFO, il costo medio ponderato o varianti del LIFO a scatti.
Senonché il comma 4 dell’art. 94 del TUIR, solo per i titoli di cui alla lett. e) dell’art. 85, comma 1, del TUIR e, quindi, per i titoli in serie e di massa diversi da quelli di natura partecipativa non qualificabili come immobilizzazioni finanziarie, consente di fare applicazione del comma 5 dell’art. 92 del medesimo TUIR, ove stabilisce che «se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4 è superiore al valore normale di essi nell’ultimo mese dell’esercizio il valore minimo di cui al comma 1 è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione per il valore normale» e che «il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni del presente comma vale anche per gli esercizi successivi, sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello stato patrimoniale per un valore superiore». Pertanto, sono in via di principio fiscalmente irrilevanti le svalutazioni dei titoli di natura partecipativa non qualificabili come immobilizzazioni finanziarie, nonché le riprese di valore derivanti dal riassorbimento delle svalutazioni medesime, anche se siano imputate a conto economico.
L’irrilevanza fiscale delle svalutazioni dei titoli di natura partecipativa fin dall’entrata in vigore della riforma dell’imposizione sulle società ha suscitato forti perplessità, posto che tali svalutazioni derivano dall’imputazione di perdite che, se realizzate, sono considerate fiscalmente rilevanti. Le plusvalenze realizzate mediante titoli di natura partecipativa che siano stati classificati nell’attivo circolante nel primo bilancio chiuso nel periodo di possesso sono, infatti, considerate fiscalmente rilevanti per il fatto che, come si è visto, il regime della PEX risulta applicabile ai sensi dell’art. 87 del TUIR soltanto alle plusvalenze dei titoli di natura partecipativa che nel primo bilancio chiuso nel periodo di possesso siano classificati fra le immobilizzazioni finanziarie. Peraltro, il regime d’irrilevanza fiscale delle svalutazioni dei titoli di natura partecipativa può trovare giustificazione in ragioni antielusive. Tale regime consente di evitare che le società, che abbiano acquistato strumenti finanziari di natura partecipativa in società con utili non distribuiti, possano dedurre dall’imponibile IRES le svalutazioni derivanti dalla distribuzione di tali dividendi, ancorché siano esclusi da imposizione, imputando alla formazione dell’imponibile IRES una differenza netta di importo pari alla differenza fra l’ammontare delle svalutazioni dedotte e la quota del 5% dei dividendi imponibili. La deduzione di tale differenza netta potrebbe, infatti, generare un salto d’imposta qualora le plusvalenze realizzate dal cedente mediante la cessione della partecipazione non siano state assoggettate ad imposizione per il fatto che le minori imposte corrisposte dalla società cessionaria non troverebbero contropartita nelle imposte corrisposte dalla società cedente.
Senonché il regime di irrilevanza fiscale delle svalutazioni degli strumenti finanziari partecipativi non qualificabili come immobilizzazioni finanziarie e delle relative riprese di valore è espressamente derogato per le società IAS adopter dal comma 4-bis dell’art. 94 del TUIR. Tale disposizione statuisce infatti che, «in deroga al comma 4, per i soggetti che redigono il bilancio in base ai princìpi contabili internazionali (…) la valutazione dei beni indicati nell’articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), operata in base alla corretta applicazione di tali princìpi assume rilievo anche ai fini fiscali». Coerentemente, la lett. b) dell’art. 110, comma 1-bis, del TUIR stabilisce che «la lett. d) del comma 1» e, cioè, la disposizione che non considera comprensivo il costo degli strumenti finanziario di natura partecipativa «(…) dei maggiori o minori valori iscritti i quali conseguentemente non concorrono alla formazione del reddito, né alla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle rimanenze» degli strumenti medesimi «si applica solo per le azioni, le quote e gli strumenti finanziari similari alle azioni che si considerano immobilizzazioni finanziarie ai sensi dell’art. 85, comma 3-bis». Di conseguenza, le valutazioni degli strumenti finanziari partecipativi posseduti da società IAS adopter che non siano qualificabili come immobilizzazioni finanziarie ai sensi del comma 3-bis dell’ar t. 85 del TUIR in quanto siano detenuti per la negoziazione sono sempre in via di principio fiscalmente rilevanti.
La deroga per le sole società IAS adopter del regime di irrilevanza fiscale delle valutazioni degli strumenti finanziari di natura partecipativa detenuti per la negoziazione sembra trovare giustificazione nell’insussistenza per tali società della principale esigenza antielusiva che ne ha giustificato l’introduzione e, cioè, evitare che possano essere dedotte svalutazioni che, essendo generate dalla distribuzione di dividendi, trovino contropartita nel conseguimento di proventi esclusi da IRES e consentano quindi di imputare alla formazione dell’imponibile IRES una perdita netta di un importo pari alla differenza fra l’ammontare delle svalutazioni medesime e la quota imponibile dei dividendi. Come si è visto, infatti, il comma 2-bis dell’art. 89 del TUIR considera i dividendi percepiti da società IAS adopter come integralmente assoggettabili ad IRES. Pertanto, la deduzione delle svalutazioni generate dalla distribuzione di utili pregressi non può mai generare una differenza negativa imputabile a riduzione dell’imponibile, per il fatto che trova contropartita nell’integrale assoggettamento ad IRES dei dividendi.
5. Art. 101: Minusvalenze patrimoniali, sovravvenienze passive e perdite
Per quanto attiene alla valutazione degli strumenti finanziari di natura partecipativa costituenti immobilizzazioni finanziarie, il comma 2 dell’art. 101 del TUIR fa ora integrale rinvio all’art. 94 del TUIR che disciplina la valutazione degli strumenti finanziari di natura partecipativa costituenti attivo circolante. La prima di tali disposizioni introduce una deroga alla seconda soltanto «per i titoli di cui alla citata lett. e)», negoziati in mercati regolamentati e cioè le obbligazioni, i titoli similari e gli altri titoli in serie e di massa, stabilendo che per tali titoli «le minusvalenze sono deducibili in misura non eccedente la differenza tra il valore fiscalmente riconosciuto e quello determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo semestre». Di conseguenza, per le società non IAS adopter anche gli strumenti finanziari partecipativi costituenti immobilizzazioni finanziarie, al pari di quelli costituenti attivo circolante, devono essere valutati ai sensi dell’art. 94 del TUIR ad un valore minimo non inferiore a quello che risulta raggruppandoli in categorie omogenee per natura e per valore e assegnando a ciascun gruppo il valore determinabile mediante il metodo del c.d. LIFO a scatti annuali ovvero il FIFO, il costo medio ponderato o varianti del LIFO a scatti, ma sono fiscalmente irrilevanti le relative svalutazioni e rivalutazioni.
Per contro, per le società IAS adopter, il comma 2-bis dell’art. 101 del TUIR deroga al precedente comma 2 e, quindi, anche all’art. 94 del TUIR ivi richiamato, laddove, come si è visto, per tali società considera fiscalmente rilevanti le svalutazioni e rivalutazioni degli strumenti finanziari partecipativi non costituenti immobilizzazioni finanziarie. Tale disposizione, per la «valutazione dei beni indicati nell’ art. 85, comma 1, lett. e) c), d)» e cioè degli strumenti finanziari di natura partecipativa «(…) che si considerano immobilizzazioni finanziarie» detenuti da società IAS adopter fa espresso rinvio alle «disposizioni dell’art. 110, comma 1-bis» che, a sua volta, fa rinvio per la valutazione di questi medesimi strumenti finanziari alla lett. d) del comma 1 di tale articolo. Pertanto, poiché quest’ultima disposizione statuisce che «il costo delle azioni, delle quote e degli strumenti finanziari similari alle azioni si intende non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali conseguentemente non concorrono alla formazione del reddito, né alla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle rimanenze di tali azioni, quote o strumenti», le svalutazioni e rivalutazioni degli strumenti finanziari partecipativi costituenti immobilizzazioni finanziarie detenuti da società IAS adopter sono fiscalmente irrilevanti, al pari delle svalutazioni e rivalutazioni degli strumenti finanziari detenuti da società non IAS adopter.
6. Art. 109: Norme generali sui componenti del reddito d’impresa
Con l’art. 41 del disegno di legge finanziaria 2006 era stata originariamente proposta l’introduzione di un’apposita disposizione antielusiva per colpire le cessioni di partecipazioni «utili compresi», che secondo quanto si legge nella relativa relazione illustrativa, recava «una norma antielusiva finalizzata al contrasto delle operazioni di cessione delle partecipazioni utili compresi, che consentono la percezione di dividendi detassati e la deduzione di minusvalenze da realizzo, ferma restando l’applicazione dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 incluso il comma 8». Senonché, tale disposizione, per garantirne una più immediata entrata in vigore, è stata successivamente trasfusa con alcune limitate modifiche nell’art. 5-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, che prevede l’introduzione di tre nuovi commi 3-bis, 3-ter e 3-quater nell’art. 109 del TUIR.
Con i nuovi commi 3-bis e 3-ter sono state rese indeducibili le minusvalenze realizzate mediante azioni, quote e strumenti finanziari privi dei requisiti oggettivi per l’applicazione della PEX costituenti immobilizzazioni finanziarie fino a concorrenza dei dividendi non imponibili percepiti nei trentasei mesi precedenti, nonché alle differenze negative fra i ricavi ed i costi dei medesimi strumenti finanziari non costituenti immobilizzazioni finanziarie acquisite nei trentasei mesi precedenti il realizzo.
Inoltre, con il comma 3-quater «è stata confermata l’applicabilità della norma generale antielusiva dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, anche con riferimento ai differenziali negativi di natura finanziaria derivanti da operazioni iniziate nel periodo d’imposta o in quello precedente sulle azioni, quote o strumenti finanziari similari alle azioni di cui al comma 3-bis. Secondo quanto precisato nella relazione tecnica all’art. 41 del disegno della legge finanziaria, con tale disposizione si è stabilito che «costituiscono operazioni potenzialmente elusive (con conseguente eventuale non deducibilità dei componenti negativi) anche le cessioni di partecipazioni effettuate tramite il pronti contro termine, riporto su titoli e fattispecie similari».
Il comma 3-bis dell’art. 109 del TUIR considera indeducibili dall’imponibile esclusivamente «le minusvalenze realizzate ai sensi dell’art. 101 sulle azioni, quote e strumenti finanziari similari», nonché le «differenze negative fra i ricavi e cui all’art. 85, comma 1, lett. c) e d) e i relativi costi>>. Pertanto, tale disposizione non risulta applicabile, qualora mediante detti strumenti finanziari siano realizzate plusvalenze o differenze positive, perché la riduzione di valore generata dal pagamento dei dividendi sia assorbita da un aumento del relativo valore di mercato.
Le minusvalenze e perdite realizzate sulle azioni, quote e strumenti finanziari sono considerate indeducibili dal comma 3-bis dell’art. 109 del TUIR «fino a concorrenza dell’importo non imponibile dei dividendi ovvero dei loro acconti, percepiti nei trentasei mesi precedenti il realizzo». Dal dettato letterale della norma non emerge quale correlazione debba sussistere fra la percezione dei dividendi ed il realizzo delle minusvalenze e perdite. Come rilevato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare del 14 giugno 2006, n. 21/E, i nuovi commi 3-bis e 3-ter dell’art. 109 del TUIR non forniscono «alcun criterio né ai fini dell’individuazione dei titoli oggetto di cessione, né ai fini dell’individuazione dei dividendi correlati (relativi agli stessi titoli) con cui confrontare la minusvalenza (o la differenza negativa) realizzata», non risultando «specificamente disciplinati dalla norma primaria le modalità che in presenza di più titoli omogenei consentano di individuare», tanto «l’anzianità di possesso delle partecipazioni, rispetto alla quale si rende necessario mantenere distinta evidenziazione dei titoli acquisiti da più o da meno di trentasei mesi rispetto alla data di cessione», quanto «i relativi dividendi non imponibili percepiti nel corso dei trentasei mesi precedenti il momento della cessione, al cui importo è parametrata la misura della sterilizzazione fiscale delle minusvalenze (o delle differenze negative tra ricavi e costi) conseguenti al realizzo dei titoli». Pertanto, non è chiaro se i dividendi comportino l’indeducibilità delle minusvalenze e perdite realizzate mediante le medesime azioni in relazione a cui siano stati pagati ovvero delle minusvalenze e perdite realizzate mediante azioni appartenenti alla medesima categoria omogenea.
L’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 21/E ha scelto una soluzione differenziata secondo che le azioni costituiscano immobilizzazioni finanziarie o attivo circolante. In particolare, «nel caso di titoli iscritti in bilancio tra le immobilizzazioni finanziarie sarà ordinariamente più agevole, trattandosi di titoli immobilizzati, individuare in modo analitico il singolo titolo venduto, che ha dato luogo alla minusvalenza (o alla differenza negativa), e individuare anche i dividendi percepiti, in relazione a quel titolo, nei trentasei mesi precedenti», sebbene «nella diversa ipotesi in cui i titoli immobilizzati siano valutati con criteri analoghi a quelli normalmente utilizzati per la valutazione dei titoli iscritti nell’attivo circolante» devono essere utilizzati per questi ultimi. Per contro, «nel caso della cessione di titoli iscritti in bilancio nell’Attivo circolante, ai fini dell’individuazione dell’anzianità dei titoli oggetto cli cessione e dell’importo dei dividendi esenti in relazione ad essi percepiti (…) si ritiene che ciascun contribuente possa applicare: a) il metodo ordinariamente adottato in bilancio per la movimentazione e la valutazione del proprio magazzino titoli; b) ovvero, qualora il metodo di cui al punto precedente non preveda la memorizzazione delle date di acquisto dei titoli in portafoglio, un criterio uniforme che, ai limitati fini dell’applicazione della disposizione di contrasto al dividend washing, consenta di individuare puntualmente l’anzianità dei singoli titoli ceduti, nonché l’importo dei dividendi percepiti in relazione a questi ultimi nei trentasei mesi precedenti il realizzo».
Senonché «non solo non è consentito compensare i risultati positivi e negativi delle transazioni avvenute nell’ambito di una medesima giornata, ma (…) è necessario individuare, nell’ambito di una medesima operazione di cessione di titoli (appartenenti alla medesima categoria omogenea, ma acquistati in momenti diversi), le eventuali differenze negative o positive che compongono il risultato globale». Pertanto «anche nel caso in cui dovessero emergere – nell’ambito di una medesima cessione – differenze negative di importo diverso relativamente ai vari titoli ceduti, ciascuna di esse dovrà essere analiticamente confrontata con la quota non imponibile dei dividendi relativi a ciascun titolo, senza possibilità di compensazione con eventuali plusvalenze o differenziali positivi relativi ad altri titoli contestualmente ceduti».
L’applicazione delle norme antielusive in materia di cessione di partecipazioni con utili compresi previste dai commi 4-bis e 4-ter, anche in virtù dell’interpretazione fornitane dall’Agenzia delle Entrate, risultava estremamente problematica e gravosa per gli intermediari finanziari, nonché per altre società che pongono in essere attività di negoziazione di azioni in quanto impone di memorizzare le date di acquisto delle azioni e quelle di incasso dei relativi dividendi e poi di correlarle a quelle di cessione. Per ovviare a tale situazione, come si è visto, il comma 4-quater dell’art. 109 del TUIR ha espressamente escluso l’applicabilità di tali disposizioni nei confronti delle società IAS adopter.
Tuttavia, per evitare che l’inapplicabilità delle norme antielusive appena individuate possa legittimare la realizzazione di comportamenti elusivi, come si è visto nel par. 3.1., il comma 2-bis dell’art. 89 del TUIR ha reso integralmente imponibili i dividendi percepiti dalle società IAS adopter in relazione a strumenti finanziari di natura partecipativa acquisiti per la negoziazione. Conseguentemente, la cessione a titolo oneroso di tali strumenti non può più consentire l’imputazione a riduzione dell’imponibile di differenze negative in quanto le minusvalenze e le perdite derivanti da tale cessione trovano contropartita nell’integrale inclusione dei dividendi nel predetto imponibile.
7. Art. 110: Norme generali sulle valutazioni
Per quanto attiene alla determinazione del costo fiscale degli strumenti finanziari partecipativi la lett. d) dell’art. 110, comma 1, del TUIR pone il principio generale secondo cui «il costo delle azioni, delle quote e degli strumenti finanziari similari alle azioni si intende non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali conseguentemente non concorrono alla formazione del reddito, né alla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle rimanenze di tali azioni, quote o strumenti». L’introduzione di tale principio trova giustificazioni nel fatto che l’art. 94 del TUIR, nonché l’art. 101 del TUIR considerano in via generale irrilevanti fiscalmente le svalutazioni e rivalutazioni di tali strumenti.
Senonché la trascritta disposizione è ancora una volta parzialmente derogata per le società IAS adopter. Il comma 1-bis dell’art. 110 del TUIR stabilisce, infatti, che la disposizione medesima «(…) si applica solo per le azioni, le quote e gli strumenti finanziari similari alle azioni che si considerano immobilizzazioni finanziarie ai sensi dell’art. 85, comma 3-bis». Da ciò consegue che per le predette società il costo degli strumenti finanziari partecipativi non si intende comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti, se tali strumenti costituiscono immobilizzazioni finanziarie, mentre è comprensivo invece anche di tali valori, se non costituiscono immobilizzazioni in quanto sono detenuti per la negoziazione.
Il diverso regime di determinazione del costo fiscale degli strumenti finanziati partecipativi così previsto risulta coerente con il regime a cui sono soggette le relative svalutazioni e rivalutazioni. Ed infatti, come si è visto, per le società lAS adopter le svalutazioni e rivalutazioni di strumenti finanziari partecipativi costituenti immobilizzazioni finanziarie sono sempre irrilevanti fiscalmente, mentre sono sempre fiscalmente rilevanti le svalutazioni e rivalutazioni di strumenti finanziari partecipativi detenuti per la negoziazione.
Uno speciale criterio di determinazione del costo fiscale è stato previsto dalla lett. c) dell’art. 110, comma 1-bis, del TUIR per evitare che le società IAS adopter, cedendo dopo la distribuzione di dividendi, strumenti partecipativi che presentino i requisiti del regime PEX, ma non quello relativo al periodo di possesso, possano realizzare differenze fiscalmente deducibili. In particolare, secondo tale disposizione, per gli strumenti finanziari così individuati «il costo è ridotto dei relativi utili percepiti durante il periodo di possesso per la quota esclusa dalla formazione del reddito». Secondo quanto precisato nella relazione illustrativa della disposizione che ha introdotto il predetto comma e cioè il comma 58 dell’art. 1 della legge n. 244, per tali strumenti finanziari, sebbene siano assimilabili in sostanza a quelli di trading e dovrebbero essere, quindi, soggetti al relativo regime, «tenuto conto che solo il verificarsi dell’evento realizzativo stabilisce il “destino” impositivo della plus/ minusvalenza (rilevanza fiscale integrale entro l’holding period e regime PEX oltre l’holding period) , si è ritenuto di mantenere fermo il regime ordinario di irrilevanza dei maggiori o minori valori iscritti (coerente con il regime PEX potenzialmente applicabile) e di parziale detassazione dei dividendi e di prevedere la rettifica, in caso di realizzo nell’holding period, del costo fiscale – da confrontare con il valore di realizzo per stabilire la plus o la minusvalenza da far concorrere alla formazione del reddito – in misura corrispondente agli utili relativi alla partecipazione ceduta incassati in tale periodo, per la parte esclusa dalla formazione del reddito».
Stando a quanto emerge da tale precisazione, il legislatore ha dunque inteso riservare anche agli strumenti finanziari partecipativi che presentino i requisiti del regime PEX, ma non quello relativo al periodo di possesso un trattamento nella sostanza equivalente a quello degli strumenti finanziari detenuti per la negoziazione, pur senza tuttavia derogare il principio di irrilevanza fiscale dei componenti di reddito derivanti dagli strumenti finanziari costituenti immobilizzazioni finanziarie, rettificando il relativo costo fiscale fino a concorrenza dell’ammontare dei dividendi esclusi percepiti prima della cessione. Ed infatti, per effetto di tale rettifica, la cessione dei predetti strumenti finanziari, anche se sia posta in essere dopo la distribuzione dei dividendi, ma prima del compimento del periodo minimo di possesso, non comporta il realizzo di differenze negative deducibili per il fatto che l’esclusione da IRES dei dividendi trova contropartita nell’indeducibilità di una quota del costo di pari ammontare. Pertanto, il trattamento riservato a tale cessione risulta equivalente nella sostanza a quello riservato alla cessione di strumenti finanziari partecipativi detenuti per la negoziazione posto che, come si è visto nel precedente par. 3.1., anche tale cessione non può consentire di imputare a riduzione dell’imponibile di differenze negative, essendo compensate le minusvalenze che ne derivano da dividendi integralmente imponibili.
Note:
(1) Conseguentemente uno strumento è considerato come rappresentativo di capitale se: «a) non include alcuna obbligazione contrattuale: i) a consegnare disponibilità liquide o un’altra attività finanziaria o un’altra entità; o ii) a scambiare attività o passività finanziarie con un’altra entità a condizioni che sono potenzialmente sfavorevoli all’emittente. b) qualora lo strumento sarà o potrà essere regolato tramite strumenti rappresentativi di capitale dell’emittente, è: i) un non derivato che non comporta alcuna obbligazione contrattuale per l’emittente a consegnare un numero variabile di propri strumenti rappresentativi di capitale; o ii) un derivato che sarà estinto soltanto dall’emittente scambiando un importo fisso di disponibilità liquide o di altra attività finanziaria contro un numero fisso di strumenti rappresentativi di capitale».
(2) Nella relazione illustrativa dell’art. 81 del TUIR, ora art. 67 del medesimo TUIR è espressamente precisato che «come emerge chiaramente sia dalla formulazione della disciplina delle comunicazioni allo schedario generale dei titoli azionari, che dall’art. 14, comma 6-bis, del TUIR, tali utili sono sempre imponibili esclusivamente a carico del socio che li abbia materialmente riscossi dalla società emittente, anche se quest’ultimo non rivestiva la qualifica di socio al momento di approvazione della delibera di distribuzione».
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