Corr. Trib. 10/2021, pag. 835 e segg.
Avendo l’Agenzia delle entrate ritenuto qualificabili come valute estere le criptovalute, i redditi delle criptovalute conseguiti da privati sono imponibili nelle stesse ipotesi in cui lo sono i redditi di capitale derivanti da rapporti di impiego di capitali in valuta, nonché i redditi diversi realizzati mediante cessioni a titolo oneroso di valute o attività finanziarie in valuta e contratti a termine collegati a valute.
I token o cripto-attività, e cioè le rappresentazioni digitali di valori o diritti generate mediante la c.d. tecnologia del registro distribuito, si sono oramai diffusi a livello globale nelle loro tre diverse configurazioni (1) di payment o currency token, ovverosia delle criptovalute e delle stable coin, cioè dei token rappresentativi di valute aventi corso legale, dei security token, cioè dei token rappresentativi di diritti patrimoniali e/o amministrativi nei confronti degli emittenti, e degli utility token, cioè dei token rappresentativi del diritto a beni o a servizi.
Delle tre diverse fattispecie di token così individuate, quella di cui risulta più problematica l’individuazione del regime fiscale è costituita dalle criptovalute in quanto risulta del tutto incerta la loro natura giuridica, almeno secondo la legge italiana.
Le criptovalute non sembrano innanzitutto configurabili come beni materiali ai sensi dell’art. 810 c.c., perché, pur essendo autonomamente negoziabili, non costituiscono “cose” per essere prive di una consistenza fisica, essendo di regola costituite da codici alfanumerici, né tantomeno beni immateriali, perché tali beni sono un numerus clausus(2).
D’altro canto, le criptovalute non sono neppure qualificabili, oltre che come strumenti finanziari, che sono tassativamente individuati nella sez. 1 dell’allegato C del T.U.F., anche come prodotti finanziari per il fatto che non presentano quantomeno uno dei tre requisiti che in forza della lett. u) dell’art. 1, comma 1, del T.U.F. la Consob ritiene essenziale a questo fine (3) e cioè il riconoscimento di un rendimento finanziario.
Infine, le criptovalute, pur essendo utilizzate come mezzo di pagamento su base volontaria, non avendo corso legale in nessuno Stato, con l’eccezione dello Stato di El Salvador (4), secondo la dottrina non presentano gli altri due requisiti che caratterizzano le valute per il fatto che non sono utilizzate come unità di conto e, comunque, non possono essere utilizzate come riserva di valore per essere il loro valore molto volatile. Pertanto, la natura giuridica delle criptovalute, risultando incerta sulla base della normativa vigente, dovrà essere individuata dal legislatore.
Senonché l’AdE ha più volte espresso l’avviso che le criptovalute siano assimilabili alle valute estere agli effetti dell’imposizione dei redditi dei privati (5).
La scelta così operata sembra ora trovare una sponda legislativa nelle integrazioni apportate dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90 all’art. 1 del D.L. 28 giugno 1990, n. 167 (6), che individua gli obblighi di comunicazione all’AdE dei trasferimenti da o verso l’estero di mezzi di pagamento. Ed infatti, se da un lato il comma 1 di tale disposizione, stabilendo che le “operazioni di trasferimento da o verso l’estero di mezzi di pagamento di cui all’art. 1, comma 2, lett. s)” da comunicare includono anche quelle “effettuate in valuta virtuale”, ha dato per presupposto che anche le valute virtuali sono riconducibili fra i predetti mezzi di pagamento, dall’altro lato, la lett. qq) dell’art. 1 del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, definendo come “valuta virtuale” ogni “rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’Autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento”, ha riconosciuto alle criptovalute la duplice funzione di mezzo di scambio e di strumento di investimento, che fra i mezzi di pagamento ivi individuati è tipica proprio delle valute estere. Comunque, considerate le obiettive incertezze esistenti sulla qualificazione delle criptovalute agli effetti dell’imposizione dei redditi dei privati, sarebbe auspicabile l’introduzione di una sanatoria fiscale per il passato.
I redditi dall’impiego di capitali in criptovalute imponibili come redditi di capitale
L’assimilazione delle criptovalute alle valute estere comporta innanzitutto che i redditi realizzati mediante la concessione della disponibilità temporanea, attuale o potenziale, di criptovalute, sono qualificabili come redditi di capitale, ai sensi delle lett. da a) a g-quinquies) dell’art. 44, comma 1, del T.U.I.R., nel caso in cui derivino da mutui, depositi o conti correnti, garanzie, titoli e certificati di massa e da uno degli altri rapporti tipici ivi indicati in criptovalute ovvero, ai sensi della lett. h) del predetto articolo, nel caso in cui derivino da altri rapporti che abbiano ad oggetto l’impiego di capitali in criptovalute in quanto con tali rapporti siano trasferiti a terzi tali capitali con obbligo di restituzione. Pertanto tali redditi, se non siano conseguiti nell’esercizio di impresa, sono soggetti alle ritenute a titolo di imposta o alle imposte sostitutive di cui è prevista l’applicazione sui redditi di capitale ovvero, in mancanza, sono assoggettabili ad IRPEF o ad IRES nell’esercizio in cui sono percepiti.
LA QUESTIONE INTERPRETATIVA
Individuazione del regime legale delle criptovalute
Le criptovalute non sembrano configurabili come beni materiali, perché, pur essendo autonomamente negoziabili, non costituiscono “cose” per essere prive di una consistenza fisica, essendo di regola costituite da codici alfanumerici, né tantomeno beni immateriali, perché tali beni sono un numerus clausus; non sono neppure qualificabili, oltre che come strumenti finanziari, anche come prodotti finanziari, per il fatto che non presentano quantomeno uno dei tre requisiti che la Consob ritiene essenziale a questo fine, e cioè il riconoscimento di un rendimento finanziario. Infine, pur essendo utilizzate come mezzo di pagamento su base volontaria, secondo la dottrina non presentano gli altri due requisiti che caratterizzano le valute per il fatto che non sono utilizzate come unità di conto e, comunque, non possono essere utilizzate come riserva di valore per essere il loro valore molto volatile. Senonché l’Agenzia delle entrate ha più volte espresso l’avviso che le criptovalute siano assimilabili alle valute estere agli effetti dell’imposizione dei redditi dei privati
I redditi realizzati mediante criptovalute imponibili come redditi diversi di natura finanziaria
Inoltre, l’assimilazione delle criptovalute alle valute estere comporta che i redditi realizzati mediante tali attività sono qualificabili come redditi diversi di natura finanziaria nelle stesse ipotesi previste per i redditi realizzati mediante valute estere dalle lett. da c-ter) a c-quinquies) dell’art. 67, comma 1, del T.U.I.R. (7).
Le plusvalenze delle criptovalute imponibili ai sensi della lett. c-ter)
Tanto considerato, la cessione a titolo oneroso di criptovalute deve innanzitutto ritenersi produttiva di plusvalenze ogniqualvolta lo è la cessione a titolo oneroso di valute estere.
Ebbene, la lett. c-ter) dell’art. 67, comma 1, del T.U.I.R. considera come produttiva di plusvalenze la cessione a titolo oneroso di valute estere in due sole ipotesi, e cioè se le valute estere sono detenute su depositi o conti correnti nel periodo d’imposta per almeno 7 giorni lavorativi continui, cioè consecutivi, e per un importo superiore a 51.545,69 euro, determinato sulla base del cambio al 1° gennaio di ciascun periodo d’imposta, e se sono oggetto di cessione a termine.
La ragione di tale scelta può essere compresa tenendo presente la duplice funzione a cui, come si è visto, possono assolvere le valute estere e cioè quella di mezzi di scambio in quanto possono essere acquistate per pagare beni o servizi ovvero quella di oggetto di scambio in quanto possono essere acquistate come strumento di investimento. Ed infatti, secondo quanto si desume dalla relativa relazione illustrativa, la lett. c-ter), prevedendo le due sole ipotesi di imponibilità prima individuate, ha inteso ricondurre ad imposizione “soltanto le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso delle valute di cui si sia acquisita ovvero mantenuta la disponibilità per finalità d’investimento”. Pertanto, tale disposizione è volta ad escludere l’imponibilità delle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di valute estere nel caso in cui siano acquisite o detenute come mezzo di scambio, quali le valute acquisite per il pagamento di beni o servizi, per il fatto che, in tal caso, difetta la finalità di speculare sull’andamento del rapporto di cambio, essendo la generazione delle plusvalenze incidentale.
Tuttavia, come si apprende dalla relativa relazione illustrativa, “dato che … sarebbe risultato assai problematico accertare, volta per volta, quando la disponibilità di una determinata valuta sia stata acquisita o mantenuta per la predetta finalità” di investimento, “si è ritenuto preferibile introdurre una presunzione assoluta”, considerando sussistente tale finalità solo nelle due ipotesi precedentemente evidenziate. Inoltre, alla cessione a titolo oneroso delle valute estere è stato equiparato il loro prelievo da depositi o conti correnti poiché, sempre stando a quanto precisato nella relazione illustrativa, “una volta che la valuta sia uscita dal conto corrente o dal deposito, non è più possibile stabilire se e quando essa è stata successivamente ceduta”.
Le plusvalenze da cessione a titolo oneroso e prelievo di criptovalute detenute su depositi e conti correnti
Stante l’assimilazione alle valute estere delle criptovalute ed il riconoscimento della loro duplice funzione di mezzo di scambio e di strumento di investimento, è giocoforza concludere che sono imponibili le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso o il prelievo di criptovalute che sono state acquistate o detenute come strumento di investimento in quanto sono state mantenute su depositi e conti correnti nel periodo d’imposta per almeno 7 giorni lavorativi consecutivi, per un importo superiore al limite di 51.645,69 euro, determinato sulla base del cambio delle criptovalute rilevato alla data del 1° gennaio sull’exchange sul quale sono state acquistate (8). Pertanto, non sono invece imponibili le plusvalenze delle criptovalute che sono state cedute a titolo oneroso immediatamente dopo l’acquisto o che sono state detenute su depositi o conti correnti nel periodo d’imposta per meno di 7 giorni lavorativi consecutivi ovvero per importi non superiori al predetto limite (9), anche se in precedenti periodi d’imposta erano state detenute per importi superiori.
Quanto appena rilevato rende dunque necessario stabilire quando le criptovalute possano considerarsi detenute su depositi o conti correnti, considerato che consistono in meri codici alfanumerici registrati sulla blockchain. Ebbene tale presupposto non può che ritenersi integrato qualora la disponibilità delle criptovalute sia imputabile ad un soggetto terzo in quanto la lett. c-ter) intende chiaramente far riferimento a rapporti di deposito e conto corrente che presuppongono una controparte.
Senonché, posto che è la chiave privata che, consentendo di trasferire le criptovalute, conferisce il potere di disporne, v’è motivo di ritenere che la disponibilità delle criptovalute sia imputabile ad un soggetto terzo soltanto se tale soggetto detenga la chiave privata. Pertanto i custodial account intrattenuti presso exchange o custodian sono configurabili come depositi o conti correnti in quanto, in tal caso, la chiave privata è detenuta da tali intermediari e non dai depositanti. Per contro, non sembrano configurabili come depositi o conti correnti i wallet on line, i wallet software ed i wallet hardware in quanto, in tal caso, la chiave privata non è detenuta da terzi, ma dallo stesso titolare delle criptovalute.
Di avviso almeno parzialmente difforme è sembrata mostrarsi l’AdE in una risposta non ufficiale (10) in quanto, pur avendo correttamente rilevato che i wallet sono distinti anche in base “al controllo o meno della chiave privata da parte dell’utente (custodial/non custodial wallet)”, ha sostenuto che occorrerebbe tener conto delle criptovalute detenute su wallet, indipendentemente dalla loro tipologia. Tuttavia sarebbe auspicabile che l’AdE riveda tale posizione per il fatto che renderebbe sempre irrilevante per le criptovalute il requisito della detenzione della valuta estera su depositi o conti correnti, potendo le criptovalute essere detenute solo per il tramite di un wallet.
Rimane a questo punto da stabilire quando le criptovalute depositate su depositi o conti correnti possano ritenersi cedute a titolo oneroso.
Sembra innanzitutto dar luogo ad una cessione a titolo oneroso di criptovalute ai sensi della lett. c-ter) il loro cambio con euro, valute estere ovvero con altre criptovalute (11) in quanto, comportando il trasferimento della relativa titolarità dietro corrispettivo, integra una cessione a titolo oneroso. Meno chiaro è se analoga conclusione sia valida anche per l’impiego di criptovalute per il pagamento di obbligazioni posto che, se potrebbe realizzarsi una datio in solutum laddove tali obbligazioni siano in euro o in valuta, essendo resa una prestazione diversa da quella dovuta, non sembra possa dirsi altrettanto laddove invece siano in criptovaluta, essendo in tal caso posto in essere un mero atto di adempimento.
Comunque, il cambio o l’utilizzo come mezzo di pagamento di criptovalute per le quali sia realizzato il presupposto d’imponibilità della detenzione su depositi o conti correnti, anche nel caso in cui non integrasse una cessione a titolo oneroso, integrerebbe pur sempre l’ipotesi di imponibilità del prelievo da depositi o conti correnti in quanto richiederebbe sempre un tale prelievo (12) e sarebbe imponibile per la differenza fra il suo valore normale alla data del prelievo ed il suo costo di acquisto.
Tuttavia sembra da escludere che sia configurabile un prelievo di criptovalute qualora sia concessa la loro disponibilità temporanea a terzi tramite contratti di impiego del capitale, quali pronti contro termine, riporto o mutuo, posto che, in tal caso, l’uscita dal deposito o conto corrente è solo temporanea.
Naturalmente rimane inteso che, nel caso in cui sia posta in essere una cessione a titolo oneroso di criptovalute, le plusvalenze realizzate mediante tale cessione devono ritenersi imponibili soltanto nel periodo d’imposta in cui sia percepito il relativo corrispettivo anche mediante l’accredito del controvalore su un conto corrente o un deposito detenuto dal cedente.
Nel caso in cui le criptovalute cedute a titolo oneroso siano direttamente trasferite da depositi o conti correnti, deve ritenersi integrata l’ipotesi della cessione a titolo oneroso e non quella del prelievo di criptovalute in quanto questa seconda ipotesi è stata introdotta in funzione di chiusura per rendere imponibili le plusvalenze delle valute prelevate da depositi o conti correnti nel caso in cui il prelievo non sia già ricollegabile ad una cessione a titolo oneroso di valute estere. Pertanto la fattispecie del prelievo può essere integrata soltanto se non sia già integrata una fattispecie di cessione a titolo oneroso.
Per la determinazione del limite di 51.645,69 euro occorre sommare tutti i depositi e conti correnti detenuti dai contribuenti e, quindi, anche quelli in valuta estera in quanto il comma 1-bis dell’art. 67 del T.U.I.R. prevede espressamente che occorre considerare la “giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente”.
Nel caso in cui criptovalute acquistate in date diverse siano cedute solo parzialmente, devono essere considerate come cedute per prime ai sensi del comma 1-bis dell’art. 67 del T.U.I.R. le criptovalute acquistate in data più recente.
Tuttavia, nel caso in cui il contribuente detenga valute e criptovalute su depositi e conti correnti nel periodo d’imposta per più di 7 giorni lavorativi consecutivi e per più di 51.645,29 di euro, ma ceda a titolo oneroso ulteriori valute o criptovalute acquistate a pronti, è da escludere che la cessione di tali valute sia imponibile, per il fatto che la lett. c-ter) considera imponibili come redditi diversi soltanto le valute effettivamente rivenienti da depositi e conti correnti e il comma 1-ter di tale articolo pone come condizione per l’imponibilità la detenzione nel periodo d’imposta di una giacenza superiore a tale importo per più di 7 giorni lavorativi consecutivi soltanto per tali valute e non anche per quelle acquistate a pronti, proprio nel presupposto che le plusvalenze di tali valute non sono imponibili.
La cessione a titolo oneroso a pronti di criptovalute detenute su depositi o conti correnti è imponibile in misura pari alla differenza fra il relativo costo di acquisto ed il loro corrispettivo di cessione in quanto il comma 6 dell’art. 68 del T.U.I.R. impone di determinare il costo con criteri di natura forfetaria, in mancanza della relativa documentazione, solo per “le valute prelevate da depositi e conti correnti”.
Il costo fiscale delle criptovalute che siano state autoprodotte al di fuori dell’esercizio di impresa sembra identificabile nei costi sostenuti per produrle, purché sia documentato in quanto il comma 6 dell’art. 68 del T.U.I.R., facendo generico riferimento al costo di acquisto, consente di attribuire rilevanza a tutti i costi che siano stati sostenuti per acquistare attività finanziarie eccettuati solo quelli esclusi.
Per le criptovalute può essere assunto come costo fiscale, ove siano percepite a titolo di liberalità, il costo del donante, mentre, ove siano percepite a titolo di pagamento di obbligazioni, in mancanza di un costo, il loro valore di acquisto e cioè il loro valore normale che deve essere determinato in forza del comma 6 dell’art. 67 del T.U.I.R. con i criteri indicati nel comma 2 dell’art. 9 del T.U.I.R., ma soltanto se tale valore “sia stato assoggettato ad imposizione” posto che, secondo quanto chiarito nella relativa relazione, “il riferimento al prezzo di acquisto può essere abbandonato in tutto o in parte solo se l’attività finanziaria ha già avuto rilievo ed è stata assoggettata a tassazione sulla base dei criteri relativi alle altre categorie reddituali”.
Le plusvalenze da cessione a titolo oneroso a termine di criptovalute
Stante l’assimilazione delle criptovalute alle valute estere, la seconda ipotesi in cui le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di criptovalute sono imponibili è quella in cui siano cedute a termine indipendentemente dal fatto che siano detenute su depositi e conti correnti.
Tuttavia, nella predetta ipotesi, tali plusvalenze sono costituite soltanto da una quota delle plusvalenze realizzate e cioè dalla differenza fra il cambio a pronti in vigore alla data di stipula del contratto di cessione e il corrispettivo di cessione a termine e quindi dalla differenza fra il cambio a pronti e il cambio a termine in vigore alla predetta data in quanto il comma 6 dell’art. 68 del T.U.I.R. prevede che “per le valute estere cedute a termine si assume come costo il valore della valuta al cambio a pronti vigente alla data di stipula del contratto di cessione”. Pertanto, non risulta imponibile in forza della predetta disposizione anche la differenza esistente fra il cambio a pronti di acquisto delle criptovalute ed il cambio a pronti in vigore alla data della loro cessione a titolo oneroso.
Inoltre, tale differenza non è imponibile neppure sulla base della lett. c-quater), in quanto tale disposizione è volta ad assoggettare ad imposizione soltanto i redditi diversi da quelli indicati nelle precedenti lettere, secondo quanto precisato nella relativa relazione illustrativa, ove recita che la predetta fattispecie impositiva è volta a sottoporre ad imposizione “soltanto quei redditi che non sono riconducibili fra le fattispecie di redditi già precedentemente indicati” e che “pertanto, qualora in dipendenza dei contratti in parola venga posta in essere la cessione a titolo oneroso di titoli, certificati di massa, valute o metalli preziosi, le eventuali plusvalenze o minusvalenze realizzate attraverso la cessione devono essere sottoposte ad imposizione sulla base delle precedenti lettere c), c-bis) e c-ter)”.
La cessione a titolo oneroso a termine di criptovalute detenute su depositi e conti correnti nel periodo d’imposta per più di 7 giorni lavorativi consecutivi e per un importo superiore a 51.645,29 euro sembra comportare l’integrazione di entrambe le ipotesi di imponibilità delle plusvalenze su valute estere previste dalla lett. c-ter), legittimando una doppia imposizione o doppia deduzione della medesima plusvalenza o minusvalenza in quanto la differenza fra cambio a pronti alla data della cessione e cambio a termine concorrerebbe due volte alla formazione dell’imponibile (13).
Senonché, in tal caso, il concorso fra le due ipotesi d’imponibilità sembra solo apparente e non può che essere risolto per il principio di assorbimento a favore della prima delle predette due ipotesi relativa alla cessione di valute estere detenute su depositi o conti correnti per il fatto che già comprende la base imponibile della seconda ipotesi (14).
SOLUZIONI INTERPRETATIVE
Cessione a termine di criptovalute
Nell’ipotesi in cui le criptovalute siano cedute a termine, indipendentemente dal fatto che siano detenute su depositi e conti correnti, stante l’assimilazione delle medesime alle valute estere, le plusvalenze realizzate sono imponibili. Tuttavia, nell’ipotesi in esame, tali plusvalenze sono costituite soltanto da una quota delle plusvalenze realizzate e cioè dalla differenza fra il cambio a pronti in vigore alla data di stipula del contratto di cessione e il corrispettivo di cessione a termine e quindi dalla differenza fra il cambio a pronti e il cambio a termine in vigore alla predetta data.
Le plusvalenze da cessione o rimborso di titoli, certificati e partecipazioni in OICVM con pagamento di criptovalute
Sono imponibili sempre ai sensi della lett. c-ter) anche le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso o il rimborso di titoli, certificati di massa o partecipazioni in OICVM dietro pagamento di criptovalute in misura pari alla differenza fra il costo fiscale di tali attività ed il valore normale delle criptovalute percepite. Il comma 6 dell’art. 68 del T.U.I.R. statuisce infatti che le plusvalenze indicate nella predetta disposizione sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito o la somma o il valore normale dei beni rimborsati e il costo o il valore di acquisto assoggettato a tassazione. Pertanto, in forza di tale disposizione, sono imponibili anche le plusvalenze maturate dalla data di acquisto delle attività finanziarie fino alla data del rimborso in quanto l’acquisto di titoli o certificati risponde a quella finalità di investimento che giustifica l’imposizione.
Nel caso in cui i titoli o certificati in criptovaluta siano stati acquistati mediante il pagamento di criptovalute, il costo fiscale deve essere determinato secondo i criteri indicati dal comma 2 dell’art. 9 del T.U.I.R. sulla base del valore delle criptovalute alla data di acquisto. Pertanto, rimangono non imponibili le plusvalenze maturate dalla data di acquisto di tali criptovalute alla data di acquisto dei titoli o certificati di massa, salvo che naturalmente non siano state prelevate da depositi e conti correnti detenuti nel periodo d’imposta per più di 7 giorni lavorativi continui e per più di 51.645,29 euro.
I differenziali realizzati mediante contratti a termine su criptovalute imponibili ai sensi della lett. c-quater)
I differenziali realizzati mediante contratti a termine di tipo traslativo o differenziale su criptovalute sono imponibili come redditi diversi ai sensi della lett. c-quater) dell’art. 67 del T.U.I.R. in quanto quest’ultima disposizione considera tali i redditi comunque realizzati mediante contratti da cui deriva il diritto o l’obbligo di cedere o acquistare a termine valute ovvero di ricevere o effettuare a termine uno o più pagamenti collegati a quotazioni o valori di valute estere. Pertanto sono imponibili a tale titolo non solo i redditi realizzati mediante contratti, forward, future, di opzione e swap, traslativi o differenziali, su criptovalute e relativi indici, anche se rappresentati da titoli, quali i certificates che non garantiscono il rimborso del capitale, ma anche mediante contratti perpetual future su criptovalute non solo perché anche tali contratti accordano il diritto o l’obbligo di cedere o acquistare a termine valute ovvero ricevere o effettuare a termine pagamenti collegati a valute estere, pur non prevedendo un termine prestabilito per l’esercizio di un tale diritto ovvero l’adempimento di un tale obbligo, ma anche perché prevedono l’obbligo di eseguire uno o più pagamenti collegati al cambio a pronti o a termine delle criptovalute ovvero ai tassi di interesse delle valute concambiate.
I contratti derivati e gli altri contratti a termine di tipo traslativo su criptovalute che sono portati ad esecuzione mediante la loro cessione a titolo oneroso sono invece produttivi di plusvalenze soltanto nelle ipotesi individuate dalla lett. c-ter). Il comma 7 dell’art. 68 del T.U.I.R., statuendo che “per le cessioni a titolo oneroso poste in essere in dipendenza dei rapporti indicati nella lettera c-quater), del comma 1 dell’art. 67, il corrispettivo è costituito dal prezzo di cessione, eventualmente aumentato o diminuito dei premi pagati o riscossi su opzioni”, conferma che alle predette cessioni è riservato il medesimo regime fiscale delle ordinarie cessioni a titolo oneroso. Ed infatti nella relativa relazione è precisato che “in tal modo si è inteso assicurare che i differenziali positivi o negativi latenti nel contratto a termine concorrano a formare il reddito, qualora tale contratto sia stato utilizzato per porre in essere la cessione dell’attività sottostante, come componenti delle plusvalenze o minusvalenze realizzate all’atto di tale cessione e, qualora invece sia stato utilizzato per acquistare l’attività sottostante, come componenti delle minusvalenze e plusvalenze realizzate attraverso la successiva cessione dell’attività così acquistata”.
Secondo quanto chiarito nella relazione medesima, i differenziali dei contratti a termine rilevano soltanto nel periodo d’imposta in cui, oltre ad essere stati riscossi o pagati, siano stati conseguiti o sostenuti a titolo definitivo. Pertanto, non rilevano i pagamenti ed incassi che adempiano ad una funzione di garanzia, quali, ad esempio, quelli relativi ai margini iniziali e di variazione.
La non imponibilità delle plusvalenze realizzate mediante criptovalute ai sensi della lett. c-quinquies)
Le plusvalenze realizzate mediante criptovalute non imponibili come redditi diversi di natura finanziaria ai sensi della lett. c-ter) dell’art. 67 del T.U.I.R. non sono imponibili ai sensi della lett. c-quinquies) di tale articolo non solo per il fatto che, come si è visto, le criptovalute sono state ritenute assimilabili alle valute estere, ma anche perché le criptovalute non costituiscono certamente, oltre che “crediti pecuniari” o “rapporti produttivi di redditi di capitale”, non incorporando nessun rapporto, neppure “strumenti finanziari”. Quest’ultima locuzione non può che essere interpretata nel senso di ricomprendere solo gli strumenti che, pur non essendo rappresentati da titoli o certificati, emulino le relative caratteristiche in quanto consentano di far circolare rapporti giuridici che dietro un impiego di capitale assicurino una prospettiva di rendimento per gli investitori posto che, secondo quanto chiarito nella relativa relazione, la predetta disposizione non solo “rappresenta una vera e propria norma di chiusura dell’intero sistema di tassazione dei redditi finanziari”, ma risponde “all’esigenza, segnalata anche dalla Commissione parlamentare, di predisporre un sistema normativo il più possibile esaustivo di tutti i fenomeni economici riconducibili alla categoria dei redditi finanziari”. Pertanto è da escludere che possano essere considerate tali anche le criptovalute per il fatto che non sono come tali produttive di rendimenti finanziari.
Il regime d’imposizione dei redditi delle criptovalute conseguiti da privati
Le plusvalenze e minusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di criptovalute ai sensi delle lett. c-ter) e i differenziali realizzati mediante contratti a termine su criptovalute ai sensi della lett. c-quater) percepiti e sostenuti in ciascun periodo d’imposta devono essere sommati algebricamente agli altri redditi diversi di natura finanziaria e alle relative perdite percepiti e sostenuti in ciascun periodo d’imposta ai sensi dell’art. 67 del T.U.I.R. L’eventuale differenza positiva risultante da tale somma algebrica è assoggettabile ad imposta sostitutiva dal contribuente nella dichiarazione dei redditi con l’aliquota del 26%.
Non è ammesso l’esercizio dell’opzione per il regime del risparmio amministrato per le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di criptovalute detenute su depositi e conti correnti ai sensi della lett. c-ter) in quanto l’art. 6 del D.Lgs. n. 461/1997 non la prevede anche per i depositi e conti correnti di valute estere proprio “per la particolare complessità ed onerosità che inevitabilmente presenterebbe la procedura di applicazione dell’imposta”.
Per contro, è ammesso l’esercizio di tale opzione per le plusvalenze realizzate mediante la cessione a termine di criptovalute ai sensi della lett. c-ter) e per i differenziali realizzati mediante contratti a termine collegati a criptovalute ai sensi della lett. c-quater) posto che l’art. 6 del D.Lgs. n. 461/1997 la ammette espressamente anche per le cessioni a termine e per i contratti a termine collegati a valute estere.
Tuttavia gli intermediari abilitati ad applicare l’imposta sostitutiva sono costituiti esclusivamente dalle banche, SIM e dagli altri soggetti individuati con proprio decreto dal MEF e cioè società fiduciarie, SGR residenti o stabilite in Italia e Poste Italiane S.p.A. (15). Pertanto i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e gli altri intermediari non finanziari non possono ad oggi applicare l’imposta sostitutiva sui redditi realizzati mediante criptovalute.
Note:
(1) Così EBA Report January 9th 2019 with advice for the European Commission on crypto-asset.
(2) Tuttavia, secondo l’IFRS Interpretation Committee, le criptovalute costituirebbero attività immateriali.
(3) Secondo la Consob, Le offerte iniziali e gli scambi di criptoattività, Documenti per la discussione 19 marzo 2019, “Gli investimenti di natura finanziaria ricompresi nella categoria dei prodotti finanziari sono le proposte di investimento che implichino la compresenza dei tre seguenti elementi: (i) impiego di capitale, (ii) promessa/aspettativa di rendimento di natura finanziaria e, (iii) assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego di capitale”.
(4) Occorre chiedersi se il riconoscimento di corso legale alle criptovalute da parte di uno Stato non incida sulla loro qualificazione giuridica.
(5) AdE 16 settembre 2016, n. 72/E, risposta AdE 14 gennaio 2008, n. 956/39 e risposta AdE 20 aprile 2020, n. 110, contra E. Belli Contarini, “La (in)tassablità dei proventi da cessione di criptovalute”, in Boll. trib., 2021, pag. 652.
(6) Convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 agosto 1990, n. 227.
(7) Per un’analisi di tali fattispecie impositive, cfr. G. Escalar, “Il riordino della tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria”, in AA.VV., Commento agli interventi di riforma tributaria, CEDAM, 1999, pag. 547 ss.
(8) Risposta n. 956/39, cit.
(9) Di questo avviso si è mostrata l’AdE nella risoluzione 16 settembre 2016, n. 72/E, laddove ha rilevato che, per quanto riguarda le “persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, si ricorda che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa”.
(10) Risposta n. 956/39, cit.
(11) Risposta n. 956/39, cit.
(12) Risposta n. 956/39, cit.
(13) Ad esempio, nel caso in cui criptovalute acquistate al cambio a pronti di 30.000 euro siano cedute al cambio a termine di 50.000 euro, quando il cambio a pronti sia di 40.000 euro, la differenza di 10.000 euro fra il cambio a pronti e il cambio a termine alla data della cessione, sebbene sia imponibile come componente della plusvalenza di 20.000 euro della cessione di criptovalute detenute su depositi e conti correnti, sarebbe anche imponibile come plusvalenza della cessione di criptovalute a termine.
(14) Tuttavia l’AdE è parsa di avviso contrario per quanto attiene alle valute estere nella risposta 13 luglio 2020, n. 210.
(15) Risoluzione 1° settembre 2016, n. 71/E.
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