I rischi di doppia imposizione generati dal Pillar 1

I rischi di doppia imposizione generati dal Pillar 1

Corr. Trib. 5/2022, p. 446 e segg. 

Con l’accordo politico raggiunto dall’Inclusive Framework, è stato deciso di estendere l’obbligo di riallocazione dei profitti residuali realizzati dai Gruppi Multinazionali previsto dal Pillar 1 a quelli realizzati mediante l’esercizio non soltanto di attività che sfruttano le nuove tecnologie digitali, bensì mediante attività di qualunque tipo. Pertanto, si pone a questo punto l’esigenza di prevedere misure volte a scongiurare la doppia imposizione dei medesimi profitti residuali, oltre che per le imposte sui servizi digitali, anche per le altre imposte che li colpiscano

Le nuove tecnologie digitali consentono ai Gruppi Multinazionali (GM) di realizzare profitti in altri Stati senza necessariamente disporre di una presenza fisica nei relativi territori tramite una società controllata od una stabile organizzazione. Pertanto, i criteri tradizionali di territorialità in materia di imposte sui redditi, consentendo di allocare tali profitti soltanto nelle giurisdizioni in cui i GM dispongano di una siffatta presenza fisica, non sono idonei a garantire un’adeguata imposizione di tali imprese nelle giurisdizioni in cui manchi tale presenza, sebbene ivi collochino beni o servizi (c.d. market jurisdictions).

Nel 2015 con la pubblicazione dell’Azione 1 del Progetto BEPS il G20 e l’OCSE avevano proposto di adottare una soluzione globale delle sfide fiscali della digitalizzazione dell’economia. Sebbene l’adozione di tale soluzione globale non fosse politicamente condivisa dagli Stati Uniti, il G20 ha conferito l’incarico di provvedere alla sua elaborazione ad un comitato composto dai rappresentanti di 141 Stati denominato Inclusive Framework (IF).

Nelle more della definizione di tale soluzione, il 21 marzo 2018 il Consiglio UE aveva presentato una proposta di Direttiva che prevedeva l’introduzione negli Stati membri UE, ma solo in via provvisoria, di un’imposta su taluni servizi digitali (ISD). Sebbene tale proposta non avesse incontrato il necessario consenso, Austria, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito hanno introdotto una propria ISD, anche per acquisire una più forte posizione negoziale nei confronti degli Stati Uniti.

Senonché il 14 ottobre 2020 l’OCSE su mandato del G20, ha formulato una proposta tecnica di soluzione globale alle sfide fiscali della digitalizzazione dell’economia basata su due diversi interventi fra di loro complementari, denominati Pillar 1 e 2, approvando un articolato rapporto su ognuno di essi.

Secondo il primo di tali rapporti il Pillar 1 si articola in tre diverse misure. La prima è l’allocazione di una quota dei profitti residuali realizzati dai GM mediante gli Automated Digital Services (ADS) e i Consumer-Facing Businesses (CFB), che sfruttano le nuove tecnologie digitali, denominata Amount A, alle giurisdizioni in cui si trovano i loro clienti, cercando di evitare che i medesimi profitti siano soggetti ad una doppia imposizione. La seconda è la determinazione del profitto minimo imputabile all’esercizio di attività standard di marketing e di distribuzione poste in essere mediante l’insediamento fisico in un’altra giurisdizione, denominato Amount B. Infine, la terza è l’introduzione di uno strumento vincolante per la prevenzione e risoluzione delle controversie (1).

Il Pillar 2 prevede l’introduzione di un sistema di tassazione internazionale denominato GLOBE volto ad assicurare che i GM paghino un livello minimo di imposte sul reddito prodotto in ciascuna giurisdizione mediante l’applicazione di un’imposta addizionale sui profitti prodotti nelle giurisdizioni in cui l’aliquota di tassazione sia inferiore all’aliquota minima del 15%.

Il 1° luglio 2021 e l’8 ottobre 2021 l’IF con due sue dichiarazioni ha comunicato che 136 dei 141 suoi Stati membri hanno raggiunto un accordo politico sugli elementi essenziali del Pillar 1 e del Pillar 2, individuando sinteticamente tali elementi.

Senonché con tale nuovo accordo politico è stato deciso di prevedere l’obbligo di riallocazione di una quota del 25% dei profitti consolidati eccedenti il margine di profitto del 10% realizzati dai GM con fatturato consolidato superiore a 20 miliardi mediante l’esercizio di qualunque attività e quindi anche di attività che non sfruttino le nuove tecnologie digitali, sostituendo l’approccio di tipo qualitativo basato sull’esercizio di ADS e CFB con un approccio di tipo quantitativo basato su soglie elevate di fatturato e di redditività. Pertanto, una quota così determinata di tutti i profitti realizzati dai GM deve essere riallocata alle giurisdizioni in cui collochino beni o servizi, senza ivi disporre di una presenza fisica.

Inoltre, sempre con tale accordo è stato deciso, per tutte le società, di abolire le ISD già introdotte da taluni Stati e le imposte similari e di non introdurre nuove imposte di tale tipo dall’8 ottobre 2021 al 31 dicembre 2023 ovvero, se anteriore, alla data di entrata in vigore del Pillar 1.

Per quanto attiene ai tempi di attuazione l’IF ha preannunciato che il Pillar 1 sarà attuato mediante l’approvazione di una Convenzione Multilaterale e dovrà esplicare effetto dal 2023, mentre il Pillar 2 sarà attuato mediante l’adeguamento della normativa nazionale alle Model Rules in corso di elaborazione da parte dell’OCSE e l’introduzione di una nuova clausola nelle convenzioni per consentire allo Stato della fonte di assoggettare ad imposta profitti soggetti ad imposta con un’aliquota inferiore a quella minima.

Sempre l’8 ottobre 2021 Austria, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito hanno comunicato con una dichiarazione congiunta di aver raggiunto un compromesso politico con gli Stati Uniti sull’abolizione delle ISD da loro introdotte medio tempore. In particolare, con tale accordo gli Stati Uniti hanno acconsentito al prelievo di tali imposte fino a che non sarà entrato in vigore il Pillar 1, ma i predetti Stati si sono obbligati a consentire di detrarre l’eccedenza delle ISD maturate nel periodo transitorio compreso fra il 1° gennaio 2022 ed il 31 dicembre 2023 ovvero, se anteriore, la data di entrata in vigore della Pillar 1 rispetto all’imposta che si renderebbe in astratto dovuta sui profitti residuali nel medesimo periodo sulla base del Pillar 1 dalle imposte che saranno dovute sui profitti residuali nei periodi d’imposta successivi. Pertanto, anche l’Italia, qualora entrerà in vigore Pillar 1, dovrà abrogare l’ISD per tutti i GM e quindi anche per i GM non soggetti al Pillar 1.

Così ricostruiti i termini della soluzione globale adottata dall’IF, si cercherà qui di seguito di ricostruire sinteticamente la disciplina del Pillar 1 per poi soffermarsi sulle problematiche di doppia imposizione a cui tale disciplina potrebbe dar luogo.

La determinazione degli utili residuali e la loro riallocazione

Con la dichiarazione dell’8 ottobre 2021 l’IF ha comunicato che l’obbligo di riallocazione dei profitti residuali è previsto per tutti i GM che abbiano rilevato nel bilancio consolidato ricavi di importo superiore alla soglia di 20 miliardi di euro e una redditività superiore al 10%, nell’esercizio, in almeno 2 dei 4 esercizi precedenti e in media nei medesimi 5 esercizi (2) con la sola esclusione dei servizi finanziari regolamentati ed estrattivi. Pertanto tale organismo, come si è visto, ha deciso di estendere tale obbligo anche ai GM che, pur integrando i parametri di fatturato e di redditività così individuati, non sfruttano le nuove tecnologie digitali tramite l’esercizio di ADS e di BFC, secondo quanto era stato originariamente proposto nel rapporto del 2020.

Possono beneficiare della riallocazione dei profitti residuali soltanto le giurisdizioni a cui i GM siano collegati in quanto abbiano ivi conseguito ricavi almeno pari ad 1 milione di euro, per le giurisdizioni con PIL almeno pari a 40 miliardi di euro, e a 250.000 euro, per quelle con un PIL inferiore.

Per individuare la giurisdizione di produzione dei ricavi sono stati stabiliti criteri differenziati per distinte categorie di transazioni e cioè la cessione di prodotti finiti (luogo di consegna), cessione di prodotti digitali (B2C localizzazione dei consumatori e B2B utilizzo dei servizi), cessione di componenti (luogo consegna del prodotto finito), servizi (luogo di prestazione dei servizi, localizzazione di chi visualizza la pubblicità), servizi di intermediazione on line (localizzazione venditore e acquirente al 50%), servizi di trasporto (luogo di destinazione passeggeri o provenienza delle merci) programmi premio per i clienti (localizzazione dei partecipanti), prestazione di finanziamenti, altri servizi B2C (localizzazione del consumatore), altri servizi B2B (luogo di utilizzo dei servizi), beni immateriali (luogo di utilizzo), immobili (localizzazione degli immobili), contributi statali (luogo di erogazione) e transazioni concluse con soggetti diversi dai clienti (3).

Il luogo di produzione dei ricavi deve essere individuato transazione per transazione sulla base della loro sostanza economica, ma per i ricavi delle transazioni accessorie può aversi riguardo al luogo di produzione dei ricavi delle transazioni principali.

L’importo dei profitti residuali da riallocare alle altre giurisdizioni deve essere determinato sulla base dei profitti risultanti dal bilancio consolidato redatto dalla capogruppo secondo i principi contabili internazionali ovvero i GAAP. Tali profitti devono essere sottoposti ad un limitato numero di rettifiche fiscali, quali la ripresa a tassazione delle imposte, la detassazione di dividendi e plusvalenze delle azioni e la ripresa a tassazione dei costi indeducibili.

La segmentazione dei profitti può essere ammessa soltanto in quei casi eccezionali in cui già le stesse attività di un segmento integrano le soglie di fatturato e di redditività.

Le perdite devono essere determinate con gli stessi criteri stabiliti per i profitti e possono essere portate a nuovo per compensare i profitti realizzati negli esercizi successivi.

Per il calcolo dell’importo dei profitti residuali riallocabili a favore di ciascuna delle giurisdizioni in cui siano presenti i GM sono necessari tre passaggi successivi in quanto devono essere determinati, nell’ordine, i profitti residuali da loro realizzati, l’importo di tali profitti riallocabile ad altre giurisdizioni e la quota riallocabile a ciascuna giurisdizione.

In particolare, i profitti residuali sono determinati in misura pari all’eccedenza dei profitti rispetto al margine di redditività del 10%, i profitti residuali riallocabili sono determinati in misura pari al 25% dei profitti residuali e, infine, la quota dei profitti residuali riallocabili a ciascuna giurisdizione è determinata in proporzione ai ricavi che si considerano ivi prodotti secondo i criteri precedentemente individuati. Una volta determinati i profitti residuali riallocabili alle altre giurisdizioni, devono essere individuate le entità nei cui confronti tali profitti devono essere tassati. Per la loro individuazione è necessario svolgere quattro test successivi e cioè il test di attività, il test di redditività, il test di connessione prioritaria con il mercato e il test di ripartizione proporzionale.

In particolare, con il test di attività devono essere individuate le entità che svolgono le attività che contribuiscono alla produzione dei profitti residuali dei GM in quanto esercitano funzioni, utilizzano beni o assumono rischi che sono tali da giustificare la riallocazione di tali profitti, utilizzando le informazioni desumibili dalla documentazione relativa ai prezzi di trasferimento.

Con il test di redditività deve essere verificato se le entità così individuate hanno esposto nel bilancio individuale profitti di importo tale da legittimare l’imputazione a loro favore di profitti residuali e cioè di profitti che eccedano i profitti di routine che potrebbero essere determinati sulla base di una remunerazione fissa per i dipendenti e per i beni materiali. Con il test di connessione prioritaria con il mercato sono individuate le giurisdizioni in cui le entità tassabili operano. Infine, con il test di riallocazione proporzionale è stabilito con quali criteri i profitti residuali che non è possibile imputare ad un’entità devono essere ripartiti fra le altre entità tassabili.

LA QUESTIONE INTERPRETATIVA
Eliminazione della doppia imposizione generata dalle ISD
Il rischio di doppia imposizione derivante dall’assoggettamento di una medesima entità obbligata all’imposta sui profitti residuali e all’imposta sui servizi digitali (ISD) è eliminato tramite l’introduzione dell’obbligo di abolizione di tali imposte e di quelle similari rilevanti e del divieto di introdurre nuove imposte di tale tipo fino al 31 dicembre 2023 o, se anteriore, fino all’entrata in vigore del Pillar 1. Il rischio che le ISD già introdotte comportino un livello di imposizione più elevato rispetto a quello consentito dal Pillar 1 nei periodi d’imposta 2022 e 2023 è scongiurato mediante il riconoscimento a credito dell’ISD che ecceda l’imposta che sarebbe dovuta sulla base del Pillar 1 dall’imposta dovuta sulla base del Pillar 1 nei periodi d’imposta successivi. Il rapporto sul Pillar 1 e la dichiarazione dell’Inclusive Framework non chiariscono quali siano le imposte similari alle ISD. Tuttavia, sembra logico ritenere che siano configurabili come tali le imposte che, pur non qualificandosi formalmente come ISD, siano volte a colpire i ricavi derivanti da singoli servizi digitali.

L’eliminazione della doppia imposizione generata dalle imposte sul reddito

Le entità tassabili potrebbero subire una doppia imposizione giuridica nel caso in cui una quota dei loro profitti, dopo essere stata assoggettata ad imposizione dalle giurisdizioni a cui siano riallocati i profitti residuali venga nuovamente assoggettata ad imposta nel loro Stato di residenza.

Secondo l’IF per eliminare tale doppia imposizione dovrebbero essere utilizzati i metodi tradizionali del credito d’imposta e dell’esenzione. Con il metodo del credito d’imposta le entità tassabili potranno detrarre dall’importo dell’imposta dovuta nel loro Stato di residenza l’importo dell’imposta pagata sui profitti residuali loro riallocati nelle giurisdizioni in cui collochino beni o servizi. Pertanto in tal caso la detrazione spetterà in misura pari al minore fra tali due importi. Tuttavia è stata prospettata la possibilità di riconoscere il credito d’imposta con un approccio combinato e cioè comparando l’imposta dovuta dall’entità tassabile sui profitti residuali nel suo Stato di residenza con l’imposta complessivamente pagata sui medesimi profitti nelle giurisdizioni in cui si trovino i suoi clienti. Con il metodo dell’esenzione l’entità tassabile dovrà esentare dall’imposta nel suo Stato di residenza i profitti residuali che siano stati assoggettati ad imposta nelle giurisdizioni in cui collochino beni o servizi.

L’eliminazione della doppia imposizione generata dalle ISD e imposte similari

Il rischio di doppia imposizione derivante dall’assoggettamento di una medesima entità tassabile all’imposta sui profitti residuali e all’ISD è eliminato, come si è visto, tramite l’introduzione dell’obbligo di abolizione di tali imposte e di quelle similari rilevanti e del divieto di introdurre nuove imposte di tale tipo fino al 31 dicembre 2023 o, se anteriore, fino all’entrata in vigore del Pillar 1. Inoltre, come pure si è visto, il rischio che le ISD già introdotte comportino un livello di imposizione più elevato rispetto a quello consentito dal Pillar 1 nei periodi d’imposta 2022 e 2023 è scongiurato mediante il riconoscimento a credito dell’ISD che ecceda l’imposta che sarebbe dovuta sulla base del Pillar 1 dall’imposta dovuta sulla base del Pillar 1 nei periodi d’imposta successivi.

Il rapporto sul Pillar 1 e la dichiarazione dell’IF non chiariscono quali siano le imposte che sono similari alle ISD. Tuttavia sembra logico ritenere che siano configurabili come tali le imposte che, pur non qualificandosi formalmente come ISD, siano volte a colpire i ricavi derivanti da singoli servizi digitali.

È questo appunto il caso dell’Advertising Tax introdotta dall’Austria in quanto tale imposta si applica alle imprese che prestano servizi pubblicitari con mezzi digitali e hanno conseguito un fatturato superiore a 25 milioni di euro e appartengano a gruppi con un fatturato superiore a 750 milioni di euro con l’aliquota del 5%. Tant’è vero che tale Stato ha accettato di abolire tale imposta a partire dal 2023 o, comunque, se anteriore, dalla data di entrata in vigore del Pillar 1.

Meno chiaro è se possano essere considerate come similari alle ISD anche le imposte sul fatturato di tipo ibrido che colpiscono i ricavi derivanti da servizi resi con mezzi digitali e non.

È questo appunto il caso dell’Advertising Tax introdotta dall’Ungheria nel 2014 in quanto tale imposta si applica alle imprese che prestano servizi pubblicitari non solo con mezzi digitali, ma anche con altri mezzi e che hanno conseguito un fatturato superiore a 100 milioni di HUF, equivalenti a 270.000 euro, con l’aliquota del 7,5% ridotta allo 0% fino al 31 dicembre 2022. La legittimità di tale imposta era stata contestata per la violazione della normativa sugli aiuti di Stato, perché essendo progressiva “avrebbe favorito le imprese che realizzano un fatturato poco elevato alleggerendo, in modo ingiustificato, l’onere fiscale che sarebbe loro imposto rispetto a quello gravante sulle altre imprese”, ma la CGUE ha negato l’esistenza di tale violazione perché la progressività non costituisce una deroga al regime ordinario (4).

Ma è questo pure il caso dell’Advertising Tax introdotta dalla Polonia in quanto si applica alle imprese che forniscono servizi pubblicitari via TV, radio, cinema o outdoor con l’aliquota del 7,5% fino a concorrenza di 50 milioni di PNL e del 10% per l’eccedenza e alle imprese che forniscano tali servizi con mezzi digitali e hanno conseguito un fatturato superiore a 5 milioni di euro ed appartengono a gruppi con un fatturato superiore a 750 milioni di euro con l’aliquota del 5%.

Tuttavia v’è da chiedersi se, per garantire il rispetto dell’obbligo di abolizione delle ISD le imposte così individuate, non dovrebbero essere abolite quantomeno limitatamente ai servizi pubblicitari resi con mezzi digitali.

L’eliminazione della doppia imposizione generata da altre imposte sul fatturato

Misure per l’eliminazione della doppia imposizione analoghe a quelle introdotte per le ISD dovrebbero essere previste anche per le altre imposte sul fatturato che già colpiscono, anche se indirettamente, i profitti residuali colpiti con il Pillar 1. In particolare, poiché il Pillar 1 è volto ad assoggettare ad imposta i profitti residuali realizzati dai GM nelle giurisdizioni in cui collochino beni o servizi, senza ivi disporre di una presenza fisica, sarebbe logico estendere i vincoli previsti per le ISD anche alle altre imposte sul fatturato che colpiscono i profitti realizzati da GM in tali giurisdizioni. È chiaro, infatti, che diversamente si legittimerebbe non solo una doppia imposizione di tali profitti in quanto sarebbero assoggettati al Pillar 1, sebbene siano già soggetti ad altra imposta, ma anche un’ingiustificata discriminazione di trattamento a danno dei gruppi non operanti nel settore digitale.

Né sembra potersi obiettare che le imposte sul fatturato poste a carico delle imprese sono configurabili come imposte indirette. Ed infatti, la CGUE ha ritenuto che le predette imposte costituiscano pur sempre imposte dirette (5) e l’Avvocato Generale imposte dirette speciali sui profitti (6). Ciò sia perché le imposte sul fatturato colpiscono la capacità contributiva di tali imprese, e non quella dei loro clienti (7), posto che il fatturato costituisce un rilevante indicatore della capacità contributiva di una persona (8), non essendo realizzabili profitti elevati senza un elevato fatturato, sia perché le imposte medesime ben difficilmente possono essere ribaltate a carico dei consumatori tramite la loro inclusione nel prezzo dei beni e servizi per il fatto che diventano certe soltanto alla fine del periodo d’imposta (9).

Nel caso in cui le imposte sul fatturato, non prevedendo un limite dimensionale minimo, si applichino anche ad imprese di minori o medie dimensioni ovvero nel caso in cui, essendo progressive, colpiscano in maggior misura le imprese con fatturati più elevati, l’applicazione di tali imposte non dovrebbe risultare preclusa, costituendo la loro introduzione legittimo esercizio della sovranità di tali Stati in materia di imposte dirette. Tuttavia v’è da chiedersi se, per evitare una doppia imposizione, tali imposte non dovrebbero essere riconosciute a credito a valere sull’imposta dovuta sulla base del Pillar 1 e su quella dovuta nello Stato di residenza dell’entità tassabile. La questione evidenziata si pone concretamente in quanto taluni Stati negli ultimi anni hanno introdotto, in luogo delle ISD, speciali imposte sul fatturato progressive proprio per colpire più che proporzionalmente i profitti residuali conseguiti da GM di maggiori dimensioni.

È questo innanzitutto il caso dell’Ungheria che ha introdotto imposte progressive sul fatturato derivanti dalle vendite al dettaglio eseguite nel suo territorio da imprese residenti o non resi denti. In particolare, tale imposta si applica a carico delle imprese che abbiano conseguito un fatturato che eccede la soglia di 500 milioni di HUF, equivalenti a circa 1,4 milioni di euro, con un’aliquota minima dello 0,1 fino a concorrenza di un fatturato di 30 miliardi di HUF, equivalenti a circa 82 milioni di euro, con l’aliquota dello 0,4%, sul fatturato eccedente tale limite, ma non eccedente il limite di 100 miliardi di HUF, equivalenti a circa 270 milioni di euro e con l’aliquota del 2,5% elevata da ultimo al 2,7% sul fatturato eccedente. La legittimità di tale imposta era stata contestata dalla Commissione UE per la violazione della libertà di stabilimento proprio perché avrebbe comportato una maggiore imposizione delle imprese di altri Stati membri rispetto a quelle nazionali (10), ma la CGUE, pur dando atto che tale imposta poteva condurre ad un tale risultato, ha ritenuto che tale maggiore imposizione dipendesse dalle caratteristiche del mercato ungherese.

Più problematico risulta stabilire se sia volta a colpire i profitti residuali anche l’imposta progressiva sul fatturato derivante dalle vendite eseguite a favore dei consumatori introdotta dalla Polonia in quanto non si applica alle vendite eseguite in via digitale. In particolare, tale imposta si applica a carico delle imprese che abbiano conseguito un fatturato mensile superiore a 17 milioni di PNL, equivalenti a circa 3,7 milioni di euro, con l’aliquota dello 0,80 fino a concorrenza di un fatturato di 170 milioni di PNL, equivalente a 37 milioni di euro, e con l’aliquota dell’1,4% sul fatturato eccedente.

LA QUESTIONE INTERPRETATIVA
Imposte sul fatturato

Nel caso in cui le imposte sul fatturato, non prevedendo un limite dimensionale minimo, si applichino anche ad imprese di minori o medie dimensioni o nel caso in cui, essendo progressive, colpiscano in maggior misura le imprese con fatturati più elevati, l’applicazione di tali imposte non dovrebbe risultare preclusa, costituendo la loro introduzione legittimo esercizio della sovranità di tali Stati in materia di imposte dirette. Tuttavia, v’è da chiedersi se, per evitare una doppia imposizione, tali imposte non dovrebbero essere riconosciute a credito a valere sull’imposta dovuta sui profitti residuali sulla base del Pillar 1 e su quella dovuta nello Stato di residenza dell’entità tassabile.

L’eliminazione della doppia imposizione generata da altri prelievi sul fatturato

Ma v’è di più. Misure idonee ad eliminare la doppia imposizione dovrebbero essere previste anche per gli altri prelievi pecuniari basati sul fatturato che abbiano la natura di imposte dirette, sebbene non siano espressamente qualificati come tali, e colpiscano, anche se indirettamente, i profitti residuali già colpiti dal Pillar 1 e cioè quelli realizzati dai GM nelle giurisdizioni in cui collochino beni o servizi, senza ivi disporre di una presenza fisica.

È questo il caso dei prelievi pecuniari coattivi introdotti da taluni Stati membri a carico delle imprese del settore audiovisivo, nell’esercizio della facoltà riconosciuta dal par. 2 dell’art. 13 della Direttiva 2010/13/UE del Parlamento e del Consiglio UE del 10 marzo 2010. In particolare, tale disposizione, per favorire un adeguato livello di investimenti nelle opere audiovisive europee, ha sancito la facoltà degli Stati membri di richiedere alle imprese fornitrici di servizi audiovisivi on demand o radiotelevisivi soggetti alla loro giurisdizione o che si rivolgono al pubblico nei loro territori di contribuire finanziariamente alla produzione di tali opere non solo mediante contribuzioni dirette alla loro produzione, ma anche attraverso contribuzioni finanziarie indirette a favore di fondi nazionali. Pertanto ad oggi il Belgio, la Croazia, la Repubblica Ceca, la Francia, la Germania, la Polonia, il Portogallo e la Spagna hanno posto a carico delle predette imprese stabilite nel loro territorio od in altri Stati, nonché l’Austria, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, a carico delle sole imprese stabilite nel loro territorio, l’obbligo di versare a fondi nazionali una contribuzione commisurata ad una percentuale del fatturato ivi realizzato mediante la prestazione di servizi audiovisivi , compresa fra lo 0,5% e il 5,15%.

Ebbene le contribuzioni a fondi nazionali così individuate sembrano configurabili come imposte innanzitutto secondo la normativa unionale. In particolare, tale normativa ad oggi non reca una definizione generale delle nozioni di imposta, tassa o diritto. Tuttavia, la CGUE ha costantemente ribadito che tali nozioni sono indipendenti dalle classificazioni elaborate dagli Stati membri sulla base del loro diritto nazionale (11) e ha reclamato per sé la competenza a definirle, avendo riguardo alle caratteristiche obiettive sulla cui base sono prelevate. Pertanto il giudice comunitario ha individuato i requisiti che un prelievo coattivo deve soddisfare per poter risultare qualificabile come un’imposta, una tassa o un diritto in sede di applicazione delle singole disposizioni unionali che richiamano tali nozioni.

In particolare, la CGUE ha statuito che la nozione di imposizione indiretta utilizzata dall’art. 5 della Direttiva, concernente “l’imposizione indiretta sulla raccolta dei capitali”, laddove “vieta di assoggettare ad ogni forma di imposizione indiretta a) i conferimenti di capitale, b) prestiti, o prestazioni di servizi, effettuati nel quadro dei conferimenti di capitale; c) qualsiasi … formalità preliminare all’esercizio di un’attività … d) modifica dell’atto costitutivo o dello statuto di una società di capitali …”, in coerenza con la finalità di abolire le imposte aventi le medesime caratteristiche delle tasse sul capitale deve soddisfare quattro diversi requisiti. Il primo requisito è che il prelievo pecuniario sia pagato allo Stato (12) o ad enti pubblici (13), direttamente o indirettamente tramite impiegati pubblici che trasferiscano almeno pari del loro import allo Stato, agendo nell’esercizio delle loro funzioni di impiegati pubblici (14). Pertanto è decisiva l’identità del beneficiario finale del contributo invece che quella del primo percipiente (15). Il secondo requisito è che il pagamento del prelievo sia previsto dalla legge come obbligatorio. Il terzo requisito è che il prelievo pecuniario sia utilizzato per il finanziamento di spese pubbliche (16) almeno per una quota del relativo ammontare (17). Il quarto requisito è che il prelievo pecuniario, nel caso in cui sia corrisposto per la fruizione di un servizio pubblico, non sia commisurato ai costi specifici di tale servizio.

Inoltre, la CGUE ha recentemente interpretato la nozione di “imposte indirette” utilizzata dal par. 2 dell’art. 1 della Direttiva 2008/118/CE, ora trasfusa nella Direttiva 19 dicembre 2019, n. 2020/262 relativa alle accise sui prodotti energetici, laddove autorizza gli Stati membri ad assoggettare ad altre imposte indirette i prodotti energetici già soggetti alle accise soltanto per specifiche finalità e cioè per finalità diverse dalle finalità di bilancio, fornendo una definizione della predetta nozione che corrisponde sostanzialmente a quella precedentemente enucleata. Ed infatti il giudice comunitario ha ritenuto che un prelievo pecuniario per essere qualificabile come tale debba soddisfare tre requisiti. Il primo è che sia stabilito dalla legge nazionale come obbligatorio e, nel caso in cui l’obbligazione non sia soddisfatta, il debitore deve essere perseguito dalle Autorità competenti (18). Il secondo requisito è che il prelievo pecuniario sia pagato allo Stato o a enti pubblici (19) o a fondi (20) poiché il fatto che il pagamento sia eseguito ad un fondo separato dal bilancio nazionale e vincolato ad una specifica finalità non può di per sé escludere la sua qualificazione come imposta. Il terzo requisito è che il prelievo pecuniario sia destinato a finanziare obiettivi di interesse generale (21) e sia quindi usato per finanziare spese pubbliche (22). Infine, la CGUE non ha in tal caso richiesto che il prelievo coattivo non sia commisurato ai costi specifici delle prestazioni di servizi fornite dall’amministrazione in quanto la Direttiva 2008/118/CE disciplinando esclusivamente le accise sui prodotti energetici, non riguarda anche tali prestazioni di servizi.

LA GIURISPRUDENZA UE
Prelievi pecuniari
Il giudice comunitario ha ritenuto che un prelievo pecuniario, per essere qualificabile come tale, debba soddisfare tre requisiti. Il primo è che sia stabilito dalla legge nazionale come obbligatorio e, nel caso in cui l’obbligazione non sia soddisfatta, il debitore deve essere perseguito dalle Autorità competenti. Il secondo requisito è che il prelievo pecuniario sia pagato allo Stato o a enti pubblici o a fondi poiché il fatto che il pagamento sia eseguito ad un fondo separato dal bilancio nazionale e vincolato ad una specifica finalità non può di per sé escludere la sua qualificazione come imposta. Il terzo requisito è che il prelievo pecuniario sia destinato a finanziare obiettivi di interesse generale e sia quindi usato per finanziare spese pubbliche.

La CGUE ha dunque fornito una definizione sostanzialmente univoca della nozione di imposte in quanto ha ritenuto qualificabili come tali i prelievi pecuniari previsti come obbligatori dalla legge destinati allo Stato, ad enti o fondi pubblici ed impiegati per finanziarie spese pubbliche che non sono corrisposti a titolo di remunerazione di servizi resi dall’Amministrazione.

Del resto, tale definizione risulta sostanzialmente corrispondente anche a quella fornita dalla stessa OCSE tanto nella Revenue Statistic Interpretative Guide, quanto nel rapporto relativo al Pillar 2 in quanto tale organismo ha precisato che sono qualificabili come imposte i prelievi pecuniari che sono previsti come obbligatori, sono destinati allo Stato ovvero ad enti statali fuori bilancio e non hanno natura corrispettiva.

Le contribuzioni finanziarie dovute dalle imprese del settore audiovisivo a fondi nazionali sembrano allora configurabili come imposte sulla base della relativa definizione fornita dalla CGUE e dall’OCSE in quanto presentano i requisiti appena individuati posto che sono previste come obbligatorie dalla legge, sono versate ad enti o fondi pubblici e sono impiegate per il finanziamento di spese pubbliche e, come imposte dirette, secondo la CGUE, applicandosi al fatturato.

Comunque, la qualificazione come imposte anche delle contribuzioni così individuate è confermata non solo dal Considerando n. 39 della Direttiva 2018/1808, che ha modificato la Direttiva 2010/13/UE, ivi incluso il suo art. 13, laddove chiarisce che, quando uno Stato membro “imponga contributi finanziari ai fornitori di servizi di media, tali contributi dovrebbero esser finalizzati a un’adeguata promozione delle opere europee, evitando nel contempo i rischi di doppia imposizione per i fornitori di servizi di media” e dunque, il rischio che tali contribuzioni siano riscosse sugli stessi ricavi sia dallo Stato in cui i prestatori sono stabiliti sia dallo Stato in cui prestano i loro servizi, poiché la doppia imposizione implica una doppia applicazione dell’imposta sulla stessa manifestazione di capacità contributiva, ma anche dalla Comunicazione della Commissione Europea “Orientamenti a norma dell’art. 13, paragrafo 7, della Direttiva sui servizi di media audiovisivi”, che qualifica le contribuzioni a fondi nazionali proprio come taxes e “imposte”, nella traduzione, rispettivamente, francese e italiana, mentre levies nella traduzione inglese (23).

Da ciò ne consegue che le predette contribuzioni, dovrebbero essere considerate similari alle ISD, laddove siano prelevate sui ricavi dei servizi audiovisivi on demand resi in via digitale e soggiacere al relativo regime almeno per i GM soggetti al Pillar 1, essendo anche tali servizi configurabili come digitali (24). In caso contrario, v’è da chiedersi se, per evitare una doppia imposizione, tali contribuzioni non dovrebbero essere riconosciute a credito a valere sull’imposta dovuta sulla base del Pillar 1 e su quella dovuta nello Stato di residenza dell’entità tassabile.

L’accordo politico raggiunto dall’IF di estendere il Pillar 1 ai profitti residuali realizzati dai GM mediante l’esercizio di attività che non sfruttano le tecnologie digitali pone dunque rilevanti problemi di doppia imposizione di tali profitti, che dovranno essere adeguatamente affrontati nel processo di implementazione in corso.

Note:

(1) Per un esame generale dei Pillar cfr. G. Cottani, “La tassazione dell’economia digitale: i Pillars One & Two”, in AA.VV., Il transfer pricing, Milano, 2022, pag. 505 e ss. e A. Tomassini – A. Dulcetti, “I nuovi pilastri della fiscalità internazionale e l’abbandono delle digital tax”, in Corr. Trib., n. 1/2022, pag. 61.

(2) OCSE, Draft Model Rules for Domestic Legislation on Scope.

(3) OCSE, Draft Model Rules for Nexus and Revenue Sourcing.

(4) CGE 16 marzo 2021, causa C-596/19 P, Commissione UE c. Ungheria.

(5) Par. 50, Commissione UE c. Ungheria e par. 44 CGE 16 marzo 2021, causa C-562/19P Commissione UE c. Polonia. Tuttavia in senso contrario si era inizialmente espressa la Commissione UE nel Memorandum illustrativo della proposta di Direttiva sull’imposta sui servizi digitali.

(6) Così l’AG Kokott, per quanto attiene all’imposta ungherese sul fatturato delle imprese di telecomunicazioni, nei par. 36-37 delle Conclusioni 13 giugno 2019, causa C-75/18, Vodafone, per quanto attiene all’imposta ungherese sul fatturato delle imprese al dettaglio, nei par. 34-35 delle Conclusioni C323/18, Tesco, e per quanto attiene all’imposta sul fatturato delle imprese pubblicitarie, nel par.33 delle Conclusioni 12 settembre 2019, causa C-482/18, Google Ireland Limited.

(7) AG Kokott nel par. 33 delle Conclusioni, Tesco, ha osservato che “the intention is therefore to tax the particular financial capacity of those undertakings and not the financial capacity of customers of the retail undertakings”.

(8) CGE, Commissione UE c. Ungheria e Polonia; CGE 3 marzo 2020, causa C-75/18, Vodafone, par. 50, 3 marzo 2020, causa C-323/18, Tesco, par. 70.

(9) AG Kokott par. 31-32 delle Conclusioni, Tesco. (10) CGE 3 marzo 2020, causa C-323/18, Tesco.

(10) CGE 3 marzo 2020, causa C-323/18, Tesco.

(11) CGE 13 febbraio 1996, causa C-197/94 e C-252/94.

(12) Par. 21 CGE 29 settembre 1999, causa C-56/98, Modelo I; par. 19 CGE 26 settembre 2000, causa C-134/99, IGI; par. 24 CGEU 21 giugno 2001, causa C-206/99, SONAE.

(13) Par. 30 AG Cosmas Conclusioni 25 maggio 2000, causa C-134/99, IGI; nello stesso senso par. 24 CGE 21 giugno 2001, causa C-206/99, SONAE.

(14) Parr. 22-23 CGE, Modelo I; par. 40 CGEU Albert Reiss; par. 28 CGE 21 marzo 2002, causa C-264/00, Gründerzentrum; par. 17 CGE 7 settembre 2006, causa C-193/04, Organon; par. 27 CGE 3 luglio 2014, causa C-524/13, Eycke Braun.

(15) CGE 30 giugno 2005, causa C-165/03, Längst; nello stesso senso AG Trsitenjack nel par. 46 delle Conclusioni dell’8 marzo 2007, causa C-466/03, Albert Reiss.

(16) Par. 22 CGE Modelo I; par. 25 CGE Sonae; par. 40 CGE Albert Reiss; par. 27 CGE Gründerzentrum; par. 37 CGE Längst; causa C-193/04; par. 17 CGE settembre 2006, Organon Portuguesa; par. 27 CGE Eycke Braun.

(17) Par. 22 CGE, Modelo I.

(18) Par. 32 CGE 18 gennaio 2017, causa C-189/15, Fondazione Santa Lucia.

(19) Par. 60-61 AG Campos, Conclusioni 21 aprile 2016, causa C-189/15, Fondazione Santa Lucia.

(20) Par. 35 la CGE, Fondazione Santa Lucia.

(21) Par. 34 CGE, Fondazione Santa Lucia. (22) Par. 61 AG Campos, Conclusioni, Fondazione Santa Lucia.

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