Com’è oramai ben noto, con la sentenza n. 288/2019 la Corte Costituzionale ha ritenuto ammissibili, ma infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’addizionale IRES dell’8,5 per cento introdotta per il 2013 dall’art. 2 del decreto-legge n. 133/2013 a carico di banche, società finanziarie ed assicurazioni sollevate dalla CTR del Piemonte con l’ordinanza n. 354/7/18 del 5 luglio 2018 su istanza di una SIM per la violazione non solo dei principi di eguaglianza e di capacità contributiva sanciti dagli articoli 3 e 53 della Costituzione, perché avrebbe comportato un’ingiustificata discriminazione di trattamento a loro danno, ma anche del vincolo posto dal secondo comma dell’art. 77 della Costituzione a carico del Governo di adottare provvedimenti provvisori con forza di legge soltanto in “casi straordinari di necessità ed urgenza”.
Ebbene, tale sentenza, pur se di rigetto, presenta il pregio di porre alcuni chiari paletti costituzionali all’azione del legislatore. In particolare, per quanto attiene alla prima di tali questioni relativa alla violazione dell’art. 77 della Costituzione il giudice delle leggi, pur avendo riconosciuto che “la giurisprudenza costituzionale ha in diverse occasioni affermato che la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere costituisce un requisito di validità dell’adozione del decreto-legge”, ha ritenuto che non debba essere verificata la ricorrenza di un tale requisito anche per la disposizione che ha introdotto l’addizionale IRES per il fatto che tale disposizione, essendo volta a dare attuazione all’obbligo sancito dall’art. 81 della Costituzione di copertura finanziaria della perdita di gettito derivante dall’eliminazione della seconda rata dell’IMU, trarrebbe la propria legittimazione costituzionale da un siffatto obbligo.
Tuttavia la Corte Costituzionale ha ritenuto che proprio perché l’introduzione dell’addizionale IRES si pone in nesso di interdipendenza funzionale con l’abolizione della seconda rata dell’IMU, essendo volta a garantirne la copertura finanziaria, la ricorrenza del requisito della preesistenza di un caso di straordinaria necessità ed urgenza deve, comunque, essere verificata relativamente alla disposizione che ha reso necessaria l’introduzione della predetta addizionale e cioè la disposizione che ha abolito la seconda rata dell’IMU.
Ebbene, per quanto attiene a tale disposizione la Corte Costituzionale ha sostenuto che tale requisito è soddisfatto per il fatto che, secondo quanto emerge dall’audizione del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 13 dicembre 2013 dinanzi alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato della Repubblica, l’abolizione della seconda rata di tale imposta era volta ad “affrontare la «difficile fase congiunturale» apprestando un rimedio funzionale soprattutto a sostenere i soggetti ritenuti in maggiore difficoltà” posto che l’assolvimento della seconda rata dell’IMU “avrebbe acuito le difficoltà derivanti da una situazione di crisi economica a carattere sistemico” e “la scadenza … era ormai imminente e si rendeva, pertanto, pressante l’esigenza di intervenire prontamente”.
Senonché va rilevato a questo riguardo che la volontà di abolire la seconda rata dell’IMU per affrontare la difficile fase congiunturale non era stata esplicitata dal Governo né nella rubrica, né nel preambolo, né nella relazione illustrativa del decreto-legge n. 133 e il dibattito sulla necessità di abolire l’IMU sulla prima casa aveva preso avvio molto prima della data del 30 novembre 2013 di emanazione del decreto-legge n. 133 e cioè già fin dal 14 maggio 2013 in quanto in tale data il Governo aveva presentato proprio a questo fine al Parlamento il disegno di legge A.S. n. 653. Pertanto l’urgenza di provvedere in realtà era stata più che altro determinata proprio dalla lentezza dell’azione di Governo.
Inoltre, per quanto attiene alla seconda questione relativa alla violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione la Corte Costituzionale, dopo aver premesso che, “nonostante sia stata espressamente qualificata dal legislatore come «addizionale», la suddetta imposta appare, più correttamente, riconducibile al novero delle “sovraimposte”: a fronte dell’identità del parametro (il reddito) con il tributo principale IRES, il prelievo è a carico solo di determinati soggetti passivi e su una base imponibile in parte differenziata da quella dell’IRES stessa”, ha ritenuto che non sia in sé censurabile la scelta del legislatore di assumere come presupposto di tale sovrimposta “l’appartenenza dei soggetti passivi della nuova imposta al mercato finanziario (cui questi sono evidentemente riconducibili), ravvisandovi uno specifico indice di capacità contributiva”, posto che “come osservato dall’Avvocatura in tale mercato: a) «sussistono “barriere all’entrata”, nel senso che le relative imprese possono essere esercitate solo dopo aver ottenuto specifiche autorizzazioni dalle autorità di vigilanza, basate sull’accertamento della stabilità patrimoniale e finanziaria delle imprese interessate»; b) di conseguenza, si determina «una concorrenza che, per quanto ampia, è limitata ai soli operatori parimenti autorizzati»; c) «il carattere pressoché necessitato dei servizi bancari, assicurativi, finanziari» favorisce il determinarsi di domanda sostanzialmente «anelastica rispetto alla curva dei prezzi»”. Pertanto, detta sovraimposta nei termini appena illustrati ha superato il vaglio della connessione razionale considerato che “in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica”.
Senonché non risulta dalla motivazione della sentenza come questo specifico indice di capacità contributiva che l’addizionale IRES era volta a colpire e cioè quello dell’appartenenza dei soggetti al mercato finanziario sia destinato a riflettersi sulla modulazione della base imponibile, posto che la predetta base imponibile rimane sempre individuabile nel reddito netto determinato con gli stessi criteri previsti per tutti gli altri soggetti IRES e non nel possesso di extra-profitti e, comunque, le imprese di assicurazioni operanti nel solo ramo danni possono ben difficilmente essere considerate come appartenenti al mercato finanziario.
Inoltre, il giudice delle leggi ha ritenuto che la non arbitrarietà del presupposto dell’addizionale IRES non la affranchi dall’onere di verificare se non sia arbitraria la misura del prelievo in quanto “il legislatore, quando assume un determinato presupposto, economicamente valutabile, quale indice di una nuova capacità contributiva in riferimento solo a determinati soggetti, rimane sottoposto al vincolo della non arbitrarietà con riguardo alla misura della imposizione, che deve risultare proporzionata al presupposto stesso” e “ciò vale soprattutto quando, come nel caso di specie, non si può certo ritenere che lo stesso mercato finanziario, nonostante le sue caratteristiche strutturali, non sia stato, a sua volta, colpito dalla crisi, come del resto documentato dalle parti private”.
Tuttavia la Corte Costituzionale ha escluso che la misura del prelievo possa essere considerata arbitraria in quanto, con un argomento che non era stato dedotto in giudizio neppure dal Governo, ha ritenuto che l’aggravio derivante dall’introduzione dell’addizionale IRES risulta controbilanciato dalla contestuale introduzione per le banche e le imprese di assicurazione, già con effetto dal periodo d’imposta 2013, di un regime di deducibilità per quinti delle svalutazioni e delle perdite su crediti verso la clientela diverse da quelle realizzate mediante la cessione a titolo oneroso dei crediti ad opera del n. 1), lett. c) del comma 160 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147. Ed infatti tale regime avrebbe “a) considerevolmente attenuato l’impatto della variazione in aumento; b) ridotto la prociclicità del sistema fiscale, consentendo la deduzione di importi maggiori in fasi congiunturali avverse; c) generalmente alleviato l’entità della tassazione sui soggetti del mercato finanziario, in periodi di perdite elevate (anche se queste ultime hanno normalmente una incidenza maggiore per il settore bancario rispetto a quello assicurativo)”.
Inoltre, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che “la temporaneità dell’imposizione non costituisce un argomento sufficiente a fornire giustificazione a un’imposta, che potrebbe comunque risultare disarticolata dai principi costituzionali” e che pertanto tale elemento “assume, nel caso oggetto del presente giudizio, un senso come argomento aggiuntivo rispetto alla valutazione sistematica appena svolta, dal momento che dimostra come a fronte di una attenuazione dell’imposizione ordinaria IRES e IRAP, solo per l’anno 2013 è stato disposto, attraverso il nuovo tributo, un aggravio del prelievo”. Pertanto dovremmo per il futuro essere tutelati da forme di prelievo straordinarie che non abbiano ad oggetto una effettiva manifestazione di capacità contributiva.
Senonché già per le banche e le imprese di assicurazioni il bilanciamento che il giudice delle leggi ha ritenuto esistente fra l’introduzione di una sovraimposta transitoria ed un regime permanente di deducibilità per quinti delle svalutazioni e delle perdite su crediti verso la clientela, oltre a non emergere dai lavori parlamentari, era tutt’altro che immediato, essendo tale regime stato introdotto non per accordare un beneficio, bensì per rimuovere un maleficio e cioè evitare che costoro fossero costrette a versare l’IRES su imponibili inesistenti in violazione del principio di capacità contributiva per l’eccessiva diluzione temporale della deduzione delle perdite medesime.
Tuttavia tale bilanciamento non può evidentemente ritenersi sussistente anche per le SIM e le SGR posto che tali intermediari non solo non esercitano l’attività di erogazione del credito ai propri clienti, ma sono esposte in misura irrisoria al rischio di credito, essendo i loro clienti di regola liquidi e cioè, nel primo caso, gli organismi di investimento collettivo e, nel secondo caso, investitori. E ciò è tanto vero che il legislatore con due successivi interventi legislativi operati in rapida successione ha escluso l’applicabilità della nuova addizionale IRES del 3,5 per cento introdotta dall’art. 1 legge di stabilità 2016, per l’appunto, a carico prima delle SGR e poi delle SIM.
In particolare, il comma 65 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha introdotto un’addizionale dell’IRES del 3,5 per cento “per gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87” e quindi inizialmente anche per le SGR e le SIM, prevedendo che per tali enti “l’aliquota di cui all’articolo 77 del testo unico delle imposte sui redditi è applicata con una addizionale di 3,5 punti percentuali”. L’introduzione di tale addizionale è stata espressamente giustificata dalla necessità di evitare che la riduzione dell’aliquota dell’IRES dal 27,5 per cento al 24 per cento imponesse alle banche e alle società finanziarie di svalutare proporzionalmente a tale riduzione d’aliquota le imposte differite attive iscritte in bilancio per effetto della diluizione in più esercizi della deduzione delle perdite su crediti verso la clientela.
Proprio per evitare che tale addizionale comportasse una discriminazione a carico delle banche e delle società finanziarie è stata compensata dalla contestuale introduzione a loro favore della deducibilità integrale degli interessi passivi, dato che, svolgendo attività di raccolta del risparmio e di emissione di strumenti finanziari, imputano a conto economico un elevato ammontare di tali componenti di reddito. Ed infatti il successivo comma 67 dell’art. 1 della legge n. 208 ha modificato il comma 5-bis dell’articolo 96 del TUIR che in passato riconosceva alle banche e alle società finanziarie la deducibilità degli interessi passivi nei limiti del 96 per cento, prevedendo la loro integrale deducibilità.
Senonché l’introduzione dell’addizionale IRES del 3,5 per cento per le SGR e le SIM risultava ingiustificata proprio per il fatto che tali società hanno contabilizzato in bilancio marginali importi di imposte differite attive in quanto l’importo delle perdite su crediti verso la clientela risulta di regola irrisorio se non addirittura nullo. Ed infatti, il comma 49 dell’art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 e il comma 84 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 hanno modificato l’originaria formulazione del comma 65 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevedendo che la predetta addizionale si applica agli enti creditizi e finanziari, ma “escluse le società di gestione dei fondi comuni d’investimento e le società di intermediazione mobiliare”.
Da ciò ne consegue che l’imposizione dell’addizionale dell’8,5% a carico delle SGR e delle SIM, non potendo trovare un effettivo controbilanciamento in un contestuale intervento compensativo, deve ritenersi costituzionalmente illegittima per l’arbitrarietà della relativa misura proprio per le ragioni indicate dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 288/2019.
Per le considerazioni sopra esposte ritengo dunque che sussistano i presupposti per richiedere quantomeno per le SGR e le SIM una nuova rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto-legge n. 133 per violazione dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva di cui all’art. 3 e 53 della Costituzione, non avendo il giudice delle leggi affrontato tale questione per gli intermediari così individuati.
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