Con l’ordinanza allegata del 12 luglio 2021, n. 19749 la Corte di Cassazione, ha confermato che le imprese possono rivalutare nuovamente agli effetti civilistici e fiscali beni ammortizzabili che abbiamo precedentemente rivalutato sempreché li iscrivano ad un valore non superiore al loro valore economico pro tempore corrente.
Il caso oggetto del giudizio riguardava una società che, dopo aver rivalutato macchinari strumentali ammortizzabili, una prima volta, nel 2000, ai sensi dell’art.10 della legge n. 342/2000 fino a concorrenza del loro valore economico corrente, aveva nuovamente rivalutato tali beni, una seconda volta, nel 2003, ai sensi del comma 25 dell’art. 2 della legge n. 350/2003 e, una terza volta, nel 2005, ai sensi del comma 469 dell’art. 1 della legge n. 266/2005, sempre fino a concorrenza del loro valore economico corrente, poiché il loro valore netto di bilancio era divenuto inferiore al loro valore economico per effetto degli ammortamenti medio tempore dedotti.
L’Ufficio aveva sorprendentemente contestato la deducibilità dall’imponibile IRES ed IRAP degli ammortamenti dei maggiori valori iscritti sui macchinari grazie alle due nuove rivalutazioni eseguite nel 2003 e nel 2005 in quanto aveva sostenuto che il valore economico dei beni ammortizzabili rappresentava l’importo massimo della rivalutazione eseguibile e che pertanto, nel caso in cui con la prima rivalutazione il loro valore era stato rivalutato fino a concorrenza del loro valore economico corrente, non potevano essere eseguite ulteriori rivalutazioni, anche se il valore netto di bilancio dei beni rivalutati era divenuto inferiore al loro valore economico corrente per effetto degli ammortamenti medio tempore eseguiti. Pertanto, a suo avviso, il valore economico dei beni sarebbe stato configurabile come una sorta di plafond massimo della rivalutazione eseguibile sui singoli beni e non come un limite massimo del valore iscrivibile in bilancio.
La CTR del Piemonte aveva integralmente annullato la contestazione così formulata, confermando l’annullamento già disposto dalla CTP di Torino, anche se con una motivazione imprecisa. In particolare, il giudice di appello aveva ritenuto che il valore economico dei beni “attribuibile in base alla loro capacità produttiva e all’effettiva possibilità di utilizzazione economica nell’impresa può risultare superiore rispetto al dato fiscale/contabile ed essere oggetto di una nuova rivalutazione” posto che dal tenore delle leggi di rivalutazione “non si evince alcun limite massimo o preclusione della rivalutazione”. Pertanto l’Agenzia delle Entrate l’aveva impugnata davanti alla Corte di Cassazione, fra l’altro, anche mediante la formulazione di una censura per violazione di legge.
Ebbene, nell’ordinanza allegata la Corte di Cassazione ha rigettato senza rinvio tale ricorso in quanto, pur avendo rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla CTR del Piemonte nella sentenza impugnata, la rivalutazione dei beni risulta soggetta ad un limite massimo e cioè quello del loro valore economico corrente, ha ritenuto che il dispositivo di tale sentenza risultava comunque corretto per il fatto che il giudice di appello aveva accertato che il limite massimo così individuato, nel caso oggetto del giudizio, non era stato superato e che pertanto la rivalutazione era stata legittimamente eseguita. Pertanto, la Suprema Corte non solo ha confermato la sentenza impugnata, correggendone la motivazione, ma ha fissato l’importante principio di diritto secondo cui deve ritenersi “ammissibile la rivalutazione volontaria successiva di beni già in precedenza rivalutati qualora nella prima rivalutazione l’impresa abbia deciso di attestarsi a valori inferiori a quelli massimi consentiti oppure quando il costo di iscrizione in bilancio del bene è stato ridotto degli ammortamenti medio tempore effettuati o ancora nel caso in cui, pur essendosi la prima rivalutazione attestata su valori massimi, il bene abbia registrato un ulteriore incremento di valore”.
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