Con la sentenza relativa alle cause riunite da C-92/24 a C-94/24, che abbiamo patrocinato per conto di Banca Mediolanum S.p.A. con l’avv. Alessandro Siragusa del nostro Studio, la Corte di Giustizia UE ha stabilito che il comma 1 dell’art. 6 del d.lgs. n. 446/1997, laddove include nell’imponibile IRAP delle banche e degli altri intermediari finanziari residenti in Italia il “margine d’intermediazione ridotto del 50 per cento dei dividendi” e, quindi, anche il 50 per cento dei dividendi distribuiti alle predette società, in qualità di società madri dalle società loro figlie residenti in altri Stati UE ai sensi della Direttiva 2011/96/UE del Consiglio del 30 novembre 2011 (“Direttiva madre-figlia”), si pone in contrasto con l’art. 4 della medesima Direttiva, laddove pone carico degli Stati UE che, come l’Italia, abbiano optato per il c.d. metodo dell’esenzione, il divieto di assoggettare ad imposizione i dividendi distribuiti a società madri residenti in uno Stato UE dalle società figlie residenti in altri Stati UE per una percentuale superiore al 5 per cento del loro importo.
In particolare, la Corte di Giustizia UE ha statuito che il predetto divieto risulta applicabile a “qualsiasi imposta che, nello Stato membro di residenza della società madre, include nella propria base imponibile anche solo una parte di detti utili, quale che sia la natura dell’imposta in questione” e, quindi, anche all’IRAP. Pertanto il giudice unionale ha respinto l’eccezione dello Stato Italiano secondo cui il divieto medesimo non si estenderebbe a tale imposta poiché avrebbe ad oggetto le sole imposte sui redditi, disattendendo il parere espresso dall’Avvocato Generale J. Kokott, nel par. 41 e seguenti nelle sue Conclusioni, che aveva invece aderito alla tesi dello Stato Italiano sulla base dell’assunto che “se tale direttiva è intesa a evitare una doppia imposizione riferita a due diversi soggetti, allora l’usuale concetto di doppia imposizione suggerisce che le due imposte devono essere identiche (per la società figlia e per la società madre)”.
La CGUE ha fondato la predetta statuizione accogliendo le seguenti argomentazioni formulate nella memoria depositata in giudizio.
In primo luogo, Essa ha riconosciuto che l’interpretazione secondo cui il divieto in esame risulta applicabile anche all’IRAP è la sola conforme alla formulazione letterale del par. 1 dell’art. 4 della Direttiva, laddove nelle diverse versioni linguistiche prevede un generale divieto di imposizione degli utili. Ed infatti, a suo avviso, da tale formulazione letterale “… risulta chiaramente che uno Stato membro che abbia scelto il sistema dell’esenzione deve astenersi dall’assoggettare a imposizione gli utili che una società madre residente in tale Stato membro percepisce dalle sue società figlie residenti in altri Stati membri”, secondo quanto aveva già sostenuto in una precedente sentenza, constatando che “l’applicazione di detta disposizione non è limitata ad un’imposta in particolare (v., in tal senso, sentenza del 17 maggio 2017, AFEP e a., C‑365/16, EU:C:2017:378, punti 5 e 33)”.
In secondo luogo, la CGUE ha convenuto sull’infondatezza dell’eccezione dello Stato Italiano secondo cui il divieto stabilito dall’art. 4 della Direttiva madre-figlia non potrebbe riguardare l’IRAP per il fatto che tale imposta non è inclusa nell’elenco delle imposte contenuto nell’allegato I, parte B, di tale Direttiva a cui rinvia il punto iii), lett. a), del precedente art. 2 (già lett. c) del previgente art. 2). Ed infatti, il giudice unionale ha confermato che tale allegato “al fine di designare le società degli Stati membri che si reputano incluse nell’ambito di applicazione di tale direttiva” elenca “le imposte nazionali alle quali tali società sono normalmente assoggettate”, secondo quanto aveva già sostenuto in una risalente sentenza “(v., per analogia, sentenza dell’8 giugno 2000, Epson Europe, C‑375/98, EU:C:2000:302, punto 22)” ed ha quindi lo scopo di definire “l’ambito di applicazione ratione personae” della predetta Direttiva. Pertanto non risulta “pertinente al fine di determinare l’ambito di applicazione ratione materiae di detta direttiva” cosicché “il fatto che l’IRAP non faccia parte delle imposte menzionate … non significa affatto che tale imposta sia esclusa dall’ambito di applicazione sostanziale di detta direttiva”.
In terzo e ultimo luogo, la CGUE ha condiviso che l’interpretazione secondo cui il divieto sancito dall’art. 4 della Direttiva madre-figlia è applicabile anche all’IRAP è la sola che realizza “l’obiettivo della neutralità, sul piano fiscale, della distribuzione di utili da parte di una società figlia con sede in uno Stato membro alla sua società madre stabilita in un altro Stato membro”, osservando che “nella misura in cui detta direttiva intende evitare la doppia imposizione di tali utili «in termini economici», occorre ritenere che il sistema dell’esenzione riguardi qualsiasi imposta che, nello Stato membro di residenza della società madre, include nella propria base imponibile anche solo una parte di detti utili, quale che sia la natura dell’imposta in questione”.
Infine, per quanto attiene all’ulteriore eccezione dello Stato Italiano secondo cui la non assoggettabilità ad IRAP dei dividendi distribuiti a banche ed altri intermediari finanziari residenti, in qualità di società madri, dalle loro figlie residenti in altro Stato UE determinerebbe un trattamento di favore per tali dividendi rispetto a quelli distribuiti a banche ed altri intermediari residenti in Italia dalle proprie figlie residenti sempre in Italia, la CGUE ha giustamente evidenziato che tale eccezione si risolve nella prospettazione di una c.d. “discriminazione alla rovescia” che, secondo la consolidata giurisprudenza UE, è “puramente interna alla Repubblica Italiana” posto che “il principio della parità di trattamento sancito dal diritto dell’Unione non può essere fatto valere in una situazione puramente interna”, applicandosi il diritto unionale soltanto alle materie da esso disciplinate. Con la conseguenza che “in una situazione del genere, spetta ai giudici nazionali valutare se vi sia una discriminazione vietata dal diritto interno e, se del caso, stabilire come essa debba essere eliminata”.
Sarà quindi compito della Corte Costituzionale, laddove venga investita della questione, quello di stabilire se il trattamento deteriore a cui saranno assoggettati ai fini dell’IRAP, a seguito della sentenza della CGUE, i dividendi distribuiti da società figlie residenti in Italia rispetto a quelli distribuiti da società figlie residenti in altri Stati UE dia luogo ad una disparità di trattamento irragionevole e pertanto tale da violare gli artt. 3 e 53 della Costituzione.
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