La Cassazione esclude che le somme pagate in base ad una transazione per la rinuncia ad una pretesa giudiziale costituiscano corrispettivi per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere

La Cassazione esclude che le somme pagate in base ad una transazione per la rinuncia ad una pretesa giudiziale costituiscano corrispettivi per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere

Con la sentenza del 15 luglio 2021, n. 20316 la Corte di Cassazione ha escluso che le somme pagate sulla base di una transazione da una banca ad un privato per la rinuncia ad una pretesa giudiziale siano configurabili come corrispettivi per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere e siano quindi assoggettabili ad IRPEF come redditi diversi. 

In particolare, il caso affrontato dalla Suprema Corte riguarda una contribuente socia di una banca popolare che, dopo aver agito in giudizio per chiedere l’annullamento della delibera con cui tale banca aveva approvato un aumento di capitale interamente posto a servizio di un prestito obbligazionario convertibile sottoscritto da altra banca in violazione dei diritti di opzione spettanti ai soci, aveva concluso con la banca medesima una transazione con cui aveva rinunciato a far valere i diritti d’opzione dietro pagamento di una somma proporzionale al loro valore.

La socia della banca, una volta conclusa la transazione, aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate di confermare che le somme ricevute non erano soggette ad imposizione ovvero, in subordine, che erano assoggettabili ad imposta sostitutiva sulle plusvalenze come redditi diversi di natura finanziaria con la previgente aliquota del 12,50 per cento in quanto riconducibili fra le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate di cui alla lettera c-bis) dell’art. 67, comma 1, del TUIR.

Senonché, poiché l’Agenzia delle Entrate aveva invece ritenuto che tali somme sarebbero state assoggettabili ad IRPEF come redditi diversi fra i compensi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere di cui alla lett. l) dell’art. 67 del TUIR, la socia della banca, dopo aver pagato tale imposta, aveva chiesto il rimborso dell’eccedenza e, una volta formatosi il silenzio-rifiuto, lo aveva impugnato in giudizio prima davanti alla CTP competente che aveva confermato il silenzio-rifiuto e poi davanti alla CTR competente che lo aveva invece annullato.

La Corte di Cassazione, avendo l’Agenzia delle Entrate presentato ricorso avverso la favorevole sentenza di appello, lo ha rigettato senza rinvio, dando ragione alla contribuente. In particolare, la Suprema Corte ha escluso che le somme pagate dalla banca alla socia per la sua rinuncia a far valere i diritti di opzione siano riconducibili fra i corrispettivi per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere assoggettabili ad IRPEF come redditi diversi ai sensi della lett. l) dell’art. 67, comma 1, del TUIR.

Ed infatti, a suo avviso, guardare a tali obblighi “come categoria autonoma e generale della transazione, significa accordare a quell’istituto una funzione novativa anche sotto il profilo fiscale, con la conseguenza che ogni operazione – più o meno fiscalmente onerosa ovvero di tassazione incerta – può essere oggetto di transazione su di una lite minacciata, al solo fine di far ricadere quanto corrisposto nella predetta categoria generale e sussidiaria”, demandando “in tal modo … alla disponibilità delle parti uno strumento consensuale per il mutamento surrettizio del regime fiscale imposto dal legislatore nell’esercizio della sua riserva e in contrasto con il principio di capacità contributiva”, cosicché occorre per contro “… guardare alla ragion d’essere ed alla natura dei diritti dedotti in transazione per fondare su quelli (e non su questa) il regime fiscale appropriato”.

Pertanto la Corte di Cassazione ha concluso che le predette somme sono invece riconducibili fra le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate ovvero, più precisamente, mediante la cessione a titolo oneroso di diritti attraverso cui possono essere acquistate partecipazioni non qualificate soggette come redditi diversi di natura finanziaria ad imposta sostitutiva sulle plusvalenze con la previgente aliquota del 12,50 per cento ai sensi della lett. c-bis) dell’art. 67, comma 1, del TUIR.

La conclusione così formulata risulta condivisibile, anche se la predetta disposizione, a ben vedere, non prevede l’equiparazione alla cessione a titolo oneroso della mera rinuncia ai predetti diritti. Ed infatti le somme pagate dalla banca per la rinuncia ai diritti di opzione devono ritenersi imponibili al predetto titolo in forza del comma 2 dell’art. 6 del TUIR, laddove considera i proventi conseguiti in sostituzione di redditi come redditi della stessa categoria di quelli sostituiti, posto che la socia della banca ha conseguito le predette somme in sostituzione delle plusvalenze che avrebbe potuto realizzare mediante la cessione dei predetti diritti. Tuttavia, in tal caso, dal relativo importo avrebbe dovuto essere dedotto il costo fiscale determinato con i criteri a suo tempo dettati dall’Amministrazione Finanziaria, sebbene tale questione non sia stata dedotta in giudizio.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *