Avuta conferma dalla Cassazione che ai fini delle convenzioni modelle, truccatori e parrucchieri non sono artisti mentre le agenzie di intermediazione sono imprese

Avuta conferma dalla Cassazione che ai fini delle convenzioni modelle, truccatori e parrucchieri non sono artisti mentre le agenzie di intermediazione sono imprese

Con l’ordinanza del 3 marzo 2022, n. 7108 allegata la Corte di Cassazione ha affermato alcuni importanti principi sul regime fiscale dei compensi corrisposti da società residenti per le prestazioni di servizi rese da modelle, parrucchieri, stilisti e truccatori non residenti, nonché per i relativi servizi di intermediazione resi da agenzie non residenti.

In particolare, nel caso oggetto del giudizio, una casa di moda residente in Italia, avendo acquisito tramite l’intermediazione di alcune agenzie residenti nel Regno Unito le prestazioni di modelle, parrucchieri, stylist e truccatori non residenti in Italia per l’organizzazione di sfilate, nel corso del periodo d’imposta 2005 aveva corrisposto a tali agenzie somme comprensive dei compensi per la fruizione delle prestazioni così individuate, nonché delle commissioni per la relativa intermediazione, senza assoggettarle a ritenuta, avendole reputate non imponibili in Italia.

Con l’avviso di accertamento notificato alla predetta società l’Agenzia delle Entrate aveva contestato che tali somme erano comunque assoggettabili alla ritenuta alla fonte del 30 per cento prevista dall’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 in quanto risultavano configurabili come redditi di lavoro autonomo e pertanto aveva recuperato a suo carico le ritenute omesse, gli interessi e le sanzioni.       

La CTR della Lombardia, condividendo le conclusioni a cui era già pervenuta la CTP di Milano, aveva integralmente confermato tale avviso di accertamento. In particolare, il giudice di appello aveva sostenuto che le agenzie “sono società intermediarie e che i soggetti intervenuti alle sfilate (stilisti, parrucchieri, truccatori, modelle) sono lavoratori autonomi, per cui i compensi da essi percepiti” rientrerebbero “ai fini della loro tassazione, nel disposto del citato art. 25” del d.P.R. n. 600, avendo la Corte di Cassazione chiarito che “le prestazioni del settore moda sono riconducibili ‘ai canoni dell’attività artistica e/o di spettacolo”. Inoltre, a suo dire, per quanto attiene all’invocata applicazione delle convenzioni fiscali sarebbe stata “non probante la documentazione prodotta dalla parte, atteso che i certificati prodotti si riferiscono, per lo più, ad annualità diverse da quella in esame” e che “non si ha la certezza che il percepito sia stato tassato nel paese di origine”.

La Cassazione con l’ordinanza allegata, accogliendo i primi due motivi del ricorso presentato per conto della società, ha integralmente annullato la sentenza della CTR della Lombardia con rinvio a questa medesima CTR, ma in diversa composizione.

In primo luogo, la Suprema Corte ha ritenuto che le commissioni corrisposte alle agenzie per l’intermediazione nell’acquisizione dei servizi di modelli, parrucchieri, truccatori e stylist non siano assoggettabili alla ritenuta alla fonte prevista dall’art. 25 del d.P.R. n. 600 ai sensi dell’art. 7 della convenzione fiscale conclusa dall’Italia con il Regno Unito, laddove stabilendo che “gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata”, sancisce l’imponibilità esclusiva di tali utili nello Stato contraente di residenza dell’impresa che li abbia conseguiti, ogniqualvolta sia priva di stabile organizzazione nell’altro Stato contraente. Ed infatti, a suo avviso, i compensi così individuati sono qualificabili come utili d’impresa non solo perché “l’attività di intermediazione … rientra … all’interno del perimetro dell’art. 2195 cod. civ., al n. 2 ove si fa riferimento ad “un’attività intermediaria nella circolazione dei beni”, o comunque nel n. 5 (“altre attività ausiliarie delle precedenti”)”, ma anche perché “l’organizzazione manifestata dalle 6 società, in grado di fornire personale altamente qualificato per lo svolgimento della sfilata di moda, comporta la sussistenza di una attività organizzativa in forma di impresa, per le attività che non rientrano nell’art. 2195 cod. civ..”. Pertanto tali compensi non devono ritenersi imponibili in Italia in forza della predetta disposizione convenzionale, essendo pacifico in giudizio che tutte le agenzie erano residenti nel Regno Unito e prive di stabile organizzazione in Italia.

Né d’altro canto secondo la Cassazione la non imponibilità di tali utili può ritenersi in alcun modo subordinata ai sensi dell’art. 7 delle convenzioni fiscali alla condizione che siano stati assoggettati ad imposizione nello Stato di residenza del percipiente per il fatto che “la nozione di persona fisica residente in uno Stato contraente… deve essere intesa nel senso di potenziale assoggettamento della stessa ad imposizione in modo illimitato nello Stato di residenza, indipendentemente dall’effettivo prelievo fiscale subìto, essendo lo scopo delle convenzioni bilaterali quello di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali ed agevolare l’attività economica internazionale, come affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 19 novembre 2009, n. 540 (Cass., sez. 5, 17 aprile 2019, n. 10706; Cass., 29 gennaio 2020, n. 1967, al paragrafo 3.8.)”. Pertanto la non imponibilità degli utili conseguiti da un’impresa residente in altro Stato contraente priva di stabile organizzazione in Italia non può ritenersi subordinata alla loro imponibilità nel suo Stato di residenza.   

In secondo luogo, la Cassazione, dopo aver preliminarmente giudicato come erronea, fra l’altro, l’affermazione della CTR della Lombardia secondo cui non sarebbe stata “probante la documentazione prodotta dalla parte” per richiedere l’applicazione dei benefici convenzionali, posto che “era assolutamente pacifico ed incontestato in giudizio che le persone fisiche avessero residenza fuori dall’Italia, ove non avevano neppure una “base fissa”, ha statuito che i compensi corrisposti a talune modelle, alla truccatrice e ad un parrucchiere non sono soggetti alla ritenuta alla fonte del 30 per cento prevista dall’art. 25 del d.P.R. n. 600 ai sensi dell’art. 14 delle convenzioni fiscali concluse dall’Italia, laddove, statuendo che “i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che tale residente non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività”, sancisce l’imponibilità esclusiva di tali redditi nello Stato di residenza del percipiente, ogniqualvolta non disponga di una base fissa nell’altro Stato contraente. Ed infatti, a suo avviso, i compensi così individuati sono riconducibili fra i redditi derivanti dall’esercizio di attività di carattere indipendente e, come tali, non possono essere ritenuti imponibili in Italia in forza della predetta disposizione convenzionale poiché tutti i professionisti così individuati non erano residenti nel territorio dello Stato e non disponevano ivi di una base fissa.

Inoltre, la Suprema Corte ha negato che i compensi corrisposti per i servizi resi da modelli, parrucchieri, truccatori e stylist siano riconducibili fra i redditi degli artisti dello spettacolo che ai sensi dell’art. 17 delle convenzioni fiscali concluse dall’Italia, possono essere tassati, oltre che nello Stato di residenza del percipiente, anche in quello di residenza dell’erogante in quanto ha ritenuto non pertinente la sentenza “n. 17955 del 19 ottobre 2012”, richiamata dalla CTR della Lombardia, laddove ha “affermato che, in tema di imposte sui redditi, le prestazioni fornite nel settore della moda, e relative all’intera organizzazione di un evento, sono riconducibili, ai sensi dell’art. 19, n. 9, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, all’attività artistica o di spettacolo, essendo i canoni di queste integrabili, in linea generale, da una sfilata di moda, o comunque all’attività professionale, in quanto la predisposizione di tutto il necessario alla realizzazione dell’evento implica lo svolgimento della prestazione in forma organizzata”. Ed infatti, a suo avviso, il caso affrontato nella predetta sentenza, riguardando una società che aveva commissionato ad un’altra società, residente all’estero, “l’intera organizzazione di un evento di moda”, ossia “un vero e proprio evento mondano a tipo sfilata, con relativo allestimento scenico e con finalizzazione all’intrattenimento pubblico”, era diverso da quello oggetto del presente giudizio che riguarda, invece, una società che “si è limitata a conferire l’incarico a 6 società con sede a Londra di reperire professionisti per la realizzazione delle sfilate di moda e, in particolare, per procurare consulenti, stilisti, parrucchieri e truccatori, oltre che modelli”. Infine, la Cassazione ha espressamente sancito che “l’art. 17 del modello di convenzione OCSE non è applicabile all’attività di modelli e modelle … trattandosi di attività destinata alla realizzazione di video pubblicitari e non di spettacoli artisticiin realtà di carattere personale, propria dei prestatori autonomi, con conseguente applicazione dell’art. 14 del modello OCSE”. Di conseguenza, la Cassazione ha lasciato intendere che non sono configurabili come prestazioni artistiche le prestazioni di consulenti, stilisti, parrucchieri e truccatori.      

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